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Infine, mi addormentai.

L’orologio sul tavolo accanto al letto segnava le sette, la mattina successiva, quando mi svegliai. All’esterno, naturalmente, l’oscurità era ancora densa come nella notte più nera.

Dopo essermi alzato, indossai la camicia e i calzoni leggeri e malmessi che avevano ormai visto tante avventure, sopra alcuni indumenti puliti: la biancheria, la camicia e la cravatta. Sebbene fosse presto, l’aria era greve: mi sentivo intontito e intorpidito.

Scostai la tenda e vidi la chiacchieratrice ancora accesa. Mi sembrò di udire brani di musica esaltante: forse una marcia, indubbiamente intesa ad esortare i lavoratori riluttanti a dedicarsi a un’ altra giornata di lavoro per contribuire allo sforzo bellico.

Al piano inferiore, in sala da pranzo, trovai soltanto Puttick, il soldato domestico, che mi servì la colazione: pane tostato, salsicce composte di qualche inidentificabile surrogato di carne, e ciò che secondo Puttick era un’autentica rarità, ossia un uovo leggermente fritto.

Inghiottendo un ultimo pezzo di pane tostato, mi recai nella sala da fumo, dove Mosè e Nebogipfel erano curvi sulla scrivania spaziosa, ingombra di libri, di mucchi di carte, e di tazze di tè ormai freddo.

— Non si è visto Filby? — domandai.

— Non ancora — rispose Mosè, che aveva la chioma scompigliata, il volto non rasato, e indossava ancora la vestaglia.

Sedetti alla scrivania: — Dannazione, Mosè… Sembra che tu non abbia chiuso occhio.

Sorridendo, Mosè si passò una mano nel ciuffo irto sulla fronte ampia: — Be’, è proprio così… Non ce l’ho fatta. Credo di averne viste troppe. Mi sembrava di essere in preda alla vertigine, e sapevo che Nebogipfel era ancora alzato, così sono sceso qui. — Mi guardò, con gli occhi arrossati e le occhiaie scure. — Abbiamo trascorso una notte affascinante: davvero affascinante! Nebogipfel mi ha introdotto ai misteri della meccanica quantistica.

— Della… che?!

— Proprio così — intervenne Nebogipfel. — E Mosè, a sua volta, mi ha insegnato a leggere l’Inglese.

— Per giunta, lui apprende maledettamente in fretta — riprese Mosè. — Una volta imparati l’alfabeto e i fondamenti della fonetica… è partito!

Frugai nella confusione della scrivania, notando alcuni fogli di taccuino scritti con strani simboli criptici: immaginai che fosse la scrittura morlock. Esaminando un foglio, mi resi conto che Nebogipfel aveva usato molto goffamente le matite: in alcuni punti la carta era strappata. D’altronde, il poveretto non aveva mai dovuto servirsi prima di un attrezzo tanto rozzo quanto una penna o una matita: mi domandai come me la sarei cavata io a maneggiare gli arnesi di selce dei miei antenati, che erano meno lontani da me nel tempo di quanto lo fosse il 1938 dalla sua epoca.

— Mi sorprende che tu non abbia acceso il fonografo, Mosè — commentai. — Non t’interessa informarti sul mondo in cui ci troviamo?

— Trasmette quasi esclusivamente musica, o storie moralistiche, di propaganda, del genere che non ho mai trovato digeribile, come tu ben sai. Mi hanno completamente stufato anche le continue sciocchezze che vengono spacciate per notizie. Si vorrebbe affrontare gli interrogativi fondamentali, vale a dire dove siamo, come siamo arrivati qui, dove siamo diretti, e invece si viene sommersi da un profluvio di assurdità sui ritardi dei treni, e sui problemi di approvvigionamento, o sui dettagli incomprensibili delle più remote campagne militari, di cui si dovrebbe già conoscere il contesto.

Percossi amichevolmente un braccio del mio giovane alter ego: — Che cosa ti aspettavi? Pensa… Noi siamo immersi nelle profondità nella storia, come turisti temporali. Ma la gente comune, di solito, è interessata soltanto alla superficie delle cose, e giustamente! Quando mai, nella tua epoca, trovavi i quotidiani zeppi di profonde analisi sulle origini dell’essere e del divenire? Quanta parte della tua conversazione concerneva le interpretazioni delle condizioni generali di vita nel 1873?

— Hai ragione. — Mosè pareva poco interessato al dialogo e per nulla disposto a dedicare grande attenzione al mondo circostante. Infatti, cambiò subito discorso: — Ascolta… Devo parlarti della nuova teoria che mi è stata spiegata dal tuo amico morlock… — Gli occhi gli s’illuminarono, la voce gli si schiarì, perciò compresi che quell’argomento gli era decisamente più congeniale: immaginai che fosse un modo per fuggire, dalle complessità della nostra situazione, agl’immacolati misteri della scienza.

Dato che nei giorni a venire Mosè avrebbe avuto tempo a sufficienza per affrontare il mondo, decisi di accontentarlo: — Se ben capisco, tutto ciò ha qualcosa a che fare con la nostra attuale condizione…

— Proprio così — confermò Nebogipfel, passandosi le dita tozze sulle tempie in un gesto eloquente, e molto umano, di stanchezza. — La meccanica quantistica è il contesto all’interno del quale debbo costruire una teoria che ci consenta di comprendere la molteplicità della storia, di cui stiamo facendo esperienza.

— È uno sviluppo teorico straordinario — si entusiasmò Mosè. — Era del tutto imprevedibile nella mia epoca: anzi, persino inimmaginabile! È sbalorditivo che l’ordine delle cose possa essere rovesciato tanto rapidamente!

Posai il foglietto di Nebogipfeclass="underline"  — Spiegatemi tutto.

5

L’interpretazione della molteplicità dei mondi

Quando Nebogipfel si accinse a incominciare, Mosè sollevò una mano: — No. Lascia parlare me. Voglio vedere se ho capito bene. Ascolta… Tu immagini che il mondo sia fatto di atomi, vero? Non ne conosci la composizione, perché sono troppo piccoli per poter essere osservati, ma in sostanza si tratta di parecchie minuscole particelle che girano e rimbalzano come bocce da biliardo.

L’eccessiva semplificazione mi fece accigliare: — Dovresti ricordare, credo, con chi stai parlando.

— Oh, lasciami fare a modo mio! Ascoltami attentamente, adesso, perché debbo spiegarti che questo punto di vista è sbagliato in ogni particolare.

— Com’è possibile? — chiesi, sempre più accigliato.

— Tanto per cominciare, lascia perdere la particella, perché una bestia del genere non esiste. Si è scoperto che, nonostante la convinzione di Newton, non si può mai stabilire esattamente dove sia una particella, né dove sia diretta.

— Ma se si disponesse di microscopi abbastanza potenti, sicuramente si potrebbero osservare le particelle con un grado di precisione…

— Lascia perdere! — ordinò Mosè. — Esiste un limite invalicabile alle misurazioni, stabilito da quello che viene definito, se ho ben capito, principio di indeterminazione. Per quanto riguarda il mondo, dobbiamo dimenticarci di qualunque natura precisa, di qualunque determinatezza. Dobbiamo pensare in termini di probabilità: la possibilità di trovare un oggetto fisico nel luogo tale, alla velocità tale, e così via. Tutto è per così dire sfuocato, in maniera tale che…

— Un momento! — interruppi risolutamente. — Supponiamo che io esegua un esperimento semplicissimo. Servendomi di un microscopio di una certa precisione, potrei determinare la posizione di una particella in un dato istante. Spero che tu non voglia negare la validità di un simile esperimento… Ebbene, ho la misura che cercavo! Dove sta l’incertezza in tutto questo?

— Il punto è che — intervenne Nebogipfel — se si potesse tornare indietro a ripetere l’esperimento, esisterebbe una possibilità limitata di trovare la particella in un altro luogo, forse molto lontano dal primo…