Non potei fare a meno di rabbrividire, perché ne avevo già avuto abbastanza di cambiare la storia. E tutto quel gran parlare di guerra temporale, suggerendo che la mia macchina, la quale aveva già inflitto tanti danni, potesse essere usata deliberatamente per arrecare distruzione, suscitò in me un autentico terrore, tanto che non seppi come comportarmi.
— E adesso… Dove preferisce andare a parlare? Vorrebbe venire nel mio ufficio all’Imperiale? Ho certi documenti che…
— In seguito. Senta… Potrà sembrarle strano, ma… Sono arrivato da poco nel vostro mondo, quindi sarei lieto di poterlo visitare un po’ meglio. È possibile?
Il volto dell’uomo s’illuminò: — Naturalmente! Potremo conversare camminando. — E si girò per lanciare un’occhiata al soldato, che concesse il suo permesso annuendo.
— Grazie, signor…
— Per la verità, sono il dottor Wallis: Barnes Wallis.
6
Hyde Park
Come scoprii, l’Imperial College era situato a South Kensington, a pochi minuti di cammino da Queen’s Gate Terrace. Era stato fondato poco dopo la mia epoca, nel 1907, mediante la fusione di tre istituti che conoscevo: il Royal College of Chemistry, la Royal School of Mines, e il City and Guilds College. In verità, da giovane avevo insegnato per breve tempo alla Normal School of Science, che a sua volta era stata successivamente assorbita dall’Imperial College. Nell’entrare a South Kensington, rammentai di avere trascorso gran parte del mio tempo, a Londra, visitando luoghi deliziosi come l’Empire, a Leicester Square. Comunque, avevo imparato a conoscere bene la zona… E quanto la trovai trasformata!
Dopo avere percorso Queen’s Gate Terrace in direzione dell’università, ci dirigemmo a Kensington Gore, a sud di Hyde Park. Eravamo scortati da sei soldati che ci circondavano in silenzio, ma mi chiesi quanti militari sarebbero intervenuti se fosse accaduto qualcosa. Era come trovarsi in un edificio tanto vasto quanto caldo, perciò non passò molto tempo prima che la calura umida cominciasse a fiaccarmi, così mi tolsi la giacca e mi allentai la cravatta. Seguendo il consiglio di Wallis, mi applicai gli spallacci alla camicia e mi appesi la maschera antigas alla cintura.
Mi colpì, nell’osservare le strade trasformate, che non tutti i mutamenti intercorsi dalla mia epoca erano stati dannosi. L’abolizione dei cavalli, con i loro escrementi, nonché del fumo dei focolari e delle esalazioni dei motori, motivata dalla necessità di salvaguardare la qualità dell’aria sotto la Cupola, aveva avuto conseguenze positive. Le strade principali erano pavimentate da una nuova sostanza vetrosa, elastica, che veniva tenuta pulita da squadre di spazzini che manovravano filoveicoli elettrici muniti di spazzole e d’innaffiatoi. Le strade erano affollate di biciclette, di risciò e di tram, con i trolley che sibilavano e suscitavano faville azzurre nell’oscurità. Per i pedoni esistevano le cosiddette “passerelle”, installate lungo le facciate delle case all’altezza del primo, del secondo, e talvolta persino del terzo piano. Ponti alti e leggeri varcavano le strade, unendo spesso le passerelle e conferendo a Londra, persino in quell’oscurità stigea, un qualcosa d’italiano.
In seguito, quando ebbe conosciuto un po’ meglio di me la vita cittadina, Mosè mi riferì che i negozi del West End prosperavano nonostante le ristrettezze imposte dalla guerra, e così pure i nuovi teatri intorno a Leicester Square, con le facciate di porcellana rinforzata e le insegne luminose. Nondimeno, vi si rappresentavano spettacoli noiosi, educativi, o propagandistici, che suscitarono le lamentele di Mosè. Due teatri erano dedicati esclusivamente a un ciclo perpetuo di drammi shakespeariani.
Nella mia epoca, avevo sempre considerato la Royal Albert Hall come una mostruosità: una sorta di cappelliera rosa. Quando vi passai dinanzi con Wallis, nell’oscurità della Cupola, il memorabile ammasso era illuminato da una serie di raggi, proiettati da lampade Aldis, come mi spiegò la mia guida, che lo rendevano ancora più grottesco e pomposo. All’Alexandre Gate, entrammo nel parco, poi tornammo all’Albert Memorial, e percorremmo Lancaster Walk verso settentrione. Dinanzi a noi, vidi guizzare sulla volta i raggi della chiacchieratrice, mentre da lontano giungevano gli echi delle voci amplificate.
Nel passeggiare, Wallis commentò ciò che ci stava intorno, dimostrandosi un compagno abbastanza gradevole: mi resi conto che era proprio il tipo d’uomo che, in una storia diversa, avrei potuto considerare amico.
Rammentavo Hyde Park come un luogo civile, attraente e calmo, con i suoi viottoli ampi e i suoi alberi sparsi. Riconobbi alcune caratteristiche che avevo conosciuto, come la cupola verderame del Bandstand, da cui un coro di minatori gallesi cantava inni burrascosamente. Il parco del futuro, tuttavia, era pieno di ombre, spezzate dalle isole di luce dei lampioni. L’erba era scomparsa, senza dubbio perché la Cupola nascondeva il sole, e il suolo era coperto in gran parte di tavole lignee. Quando gli chiesi perché la zona del parco non fosse stata semplicemente edificata, Wallis mi spiegò che ai londinesi piaceva credere che un giorno sarebbe stato possibile demolire la brutta Cupola e riportare la città alla bellezza di un tempo, inclusi i parchi.
Una zona di Hyde Park, intorno al Bandstand, era stata trasformata in una sorta di baraccopoli, con centinaia di tende raggruppate intorno a rozzi edifici in cemento, che ospitavano cucine e bagni comuni. Sul suolo arido e calpestato, fra le tende, adulti, bambini e cani, si aprivano la strada nel tetro e infinito processo del vivere.
— La povera vecchia Londra ha accolto molti profughi negli ultimi anni — spiegò Wallis. — La densità della popolazione è aumentata moltissimo… Eppure c’è lavoro utile per tutti. È vero che in quelle tende, comunque, si soffre, ma purtroppo non c’è altro modo di ospitare i profughi.
Lasciato Lancaster Walk, ci avvicinammo a Round Pond, nel cuore del parco. Un tempo, quella era stata una zona attraente e tranquilla, da cui si godeva una bella vista su Kensington Palace. Benché esistesse ancora, il lago era recintato, in quanto, come disse Wallis, era stato trasformato in un bacino per servire alle necessità della popolazione accresciuta. Quanto al palazzo, ne restava soltanto un guscio: evidentemente, era stato abbandonato dopo essere stato semidistratto dai bombardamenti.
Sostammo a un chiosco, dove ci servirono limonata piuttosto calda. La zona era affollata, non soltanto di pedoni, ma anche di ciclisti. A breve distanza era in corso una partita di calcio, con mucchi di maschere antigas al posto dei pali delle porte. Di quando in quando si udivano persino brevi risate. Wallis mi raccontò che la gente si recava ancora a Speaker’s Corner per ascoltare l’Esercito della Salvezza, o la Società Laica Nazionale, o l’Associazione per la Dimostrazione Cattolica, o la Lega Contro la Quinta Colonna, che era impegnata in una campagna contro le spie, i traditori, e chiunque sostenesse in qualsiasi modo il nemico.
Quella fu la condizione più felice in cui vidi la popolazione in quell’epoca ottenebrata: a parte gli spallacci e le maschere antigas, nonché il suolo morto e la spaventevole volta incombente sopra le teste di noi tutti, poteva sembrare di vivere in un giorno festivo di qualunque epoca. Ancora una volta rimasi colpito dall’adattabilità dello spirito umano.
7
La chiacchieratrice
A settentrione di Round Pond erano state collocate parecchie file di sporche sedie a sdraio in tela per coloro che desideravano assistere ai notiziari proiettati sulla volta. Le sedie erano quasi tutte occupate. Quando Wallis ebbe pagato a un inserviente, con monete metalliche molto più piccole di quelle della mia epoca, ci accomodammo in due posti liberi, sdraiandoci con le teste reclinate all’indietro.