Prima di bussare, Wallis mi avvertì che mi sarebbe stata concessa soltanto una visita breve.
Una voce esile e acuta rispose: — Avanti!
Entrammo in un ufficio spazioso, dal soffitto alto, con un bel tappeto, una lussuosa carta da parati, e una scrivania con il sottomano in cuoio verde. Un tempo, la stanza doveva essere stata soleggiata: infatti le ampie finestre, chiuse da tende, guardavano a occidente, in direzione, fra l’altro, della casa in cui alloggiavo.
Colui che sedeva alla scrivania continuò a scrivere, con un braccio piegato intorno alla pagina, evidentemente per impedirci di vedere. Era basso, magro, dall’aria malaticcia, con la fronte alta e fragile: giudicai che fosse sulla trentina. Indossava un completo di lana tutto sgualcito.
Con un sopracciglio inarcato, Wallis mi guardò, sussurrando: — È un tipo strambo, ma ha un intelletto notevole.
Le scaffalature che coprivano le pareti erano vuote. Sul tappeto erano ammucchiate parecchie casse, da cui si erano riversati cumuli di libri e di riviste, prevalentemente in Tedesco. In una cassa intravidi alcuni attrezzi scientifici, nonché alcuni recipienti di campioni, uno dei quali conteneva una sostanza che mi fece palpitare d’entusiasmo.
Distolsi risolutamente lo sguardo dalla cassa, nel tentativo di dissimulare la mia emozione.
Finalmente, con un sospiro d’esasperazione, l’uomo alla scrivania scagliò rumorosamente la penna contro una parete, appallottolò con entrambe le mani i fogli su cui aveva scritto, quindi li gettò tutti quanti nel cestino. Come se si accorgesse della nostra presenza soltanto in quel momento, alzò lo sguardo: — Ah… Wallis… — Infilò le mani sotto la scrivania e parve rimpicciolire.
— È stato molto gentile a riceverci, professor Gödel. Questi è… — E Wallis mi presentò.
— Ah! — ripeté Gödel, sorridendo a mostrare i denti irregolari. — Naturalmente… — Si alzò, con movimenti bruschi, rigidi, e girò intorno alla scrivania per offrirmi la mano. Mentre gliela stringevo, sentendola magra, ossuta e fredda, aggiunse: — Sono lieto di conoscerla. Prevedo che avremo parecchie lunghe discussioni. — Parlava un buon Inglese, con un lieve accento.
Prendendo l’iniziativa, Wallis c’invitò ad accomodarci nelle poltrone accanto alle finestre.
— Spero che si ambienterà in questa nuova epoca — mi disse sinceramente Gödel. — Può darsi che sia un po’ più violenta del mondo che ricorda, ma forse anche lei, come me, sarà tollerato in quanto utile eccentrico. Vero?
Con veemenza, Wallis intervenne: — Suvvia, professore…!
— Eccentrico — ribadì Gödel. — Ekkentros: fuori centro. — Di nuovo guardò me. — È proprio quello che siamo entrambi, sospetto: un po’ esterni al centro delle cose. Suvvia, Wallis… So bene che voi inglesi conformisti mi considerate un po’ strano.
— Be’…
— Il povero Wallis non riesce ad adattarsi alla mia abitudine di riscrivere più volte la corrispondenza — mi disse Gödel. — Talvolta eseguo dieci o dodici revisioni, e finisco comunque per buttare via tutto, come lei stesso ha visto poco fa. È strano? Be’, comunque è così.
— Immagino che rimpianga di aver dovuto lasciare la sua patria…
— No, niente affatto. — A voce bassa, in tono da cospiratore, Gödel aggiunse: — Sono stato costretto ad abbandonare l’Europa.
— Perché?
— Per via del kaiser, naturalmente.
In silenzio, Wallis mi lanciò un’occhiataccia d’avvertimento.
— Ho le prove, sa? — continuò Gödel, assorto. — Ho due fotografie, una del 1915 e una di quest’anno, dell’uomo che finge di essere il kaiser Guglielmo. Misurando la lunghezza del naso e calcolando il rapporto con la distanza fra la punta del naso medesimo e la punta del mento… si scopre la differenza!
— Io… Accidenti!
— Proprio così. E con un millantatore al timone… Chi può sapere dove si sta dirigendo la Germania?
— Esatto — si affrettò a intervenire Wallis. — Comunque, quali che siano le sue ragioni, siamo felici che lei abbia accettato l’incarico che le abbiamo offerto, e che abbia scelto la Gran Bretagna come sua nuova patria.
— Già — aggiunsi. — Non avrebbe potuto stabilirsi in America, magari a Princeton, oppure…?
— Certamente. — Gödel parve sconvolto. — Ma sarebbe inconcepibile: del tutto inconcepibile.
— Perché?
— Per via della costituzione, naturalmente! — Ciò detto, lo stravagante scienziato si lanciò in una lunga e incoerente disquisizione su come aveva scoperto nella costituzione americana una lacuna che avrebbe consentito d’istituire legalmente la dittatura.
Seduti in silenzio, Wallis ed io sopportammo la concione.
— Be’ — chiese Gödel, quando ebbe concluso, — che cosa ne pensa?
Nonostante le severe occhiate di Wallis, decisi di essere sincero: — Non riesco a trovare difetti nella sua logica, ma la sua applicazione mi sembra estremamente bizzarra.
— Be’… forse! — sbuffò Gödel. — Ma la logica è tutto, non crede? Il metodo assiomatico è potentissimo. — E sorrise. — Ho trovato anche una prova ontologica dell’esistenza di Dio: è del tutto inattaccabile, a quanto posso giudicare, e ha precedenti onorevoli che risalgono all’arcivescovo Anselmo, ottocento anni fa. Ascolti…
— Forse un’altra volta, professore — interruppe Wallis.
— Ah, sì… Benissimo… — Gödel ci guardò entrambi, l’uno dopo l’altro, con occhi penetranti, assolutamente inquietanti. — Dunque, il viaggio temporale… La invidio davvero molto, sa?
— Per i miei viaggi?
— Sì, ma non per tutto il tedioso saltellare avanti e indietro nella storia… — Gli occhi di Gödel divennero acquosi, scintillanti nell’intensa luce elettrica.
— E per cosa, allora?
— Be’, per avere intravisto altri mondi, altre possibilità… Capisce? La capacità di comprensione dello scienziato, straordinaria, quasi telepatica, mi raggelò: — Mi spieghi che cosa intende…
— L’esistenza reale di altri mondi, la quale implica un significato che travalica la nostra breve esistenza, mi sembra evidente. Chiunque abbia fatto esperienza delle meraviglie della scoperta matematica deve sapere che le verità matematiche hanno un’esistenza indipendente dalle menti in cui trovano ricetto: tali verità sono schegge del pensiero di qualche mente superiore. Ascolti… Le nostre vite, qui, sulla Terra, hanno soltanto un significato dubbio, dunque il loro vero significato deve risiedere fuori di questo mondo. Capisce? Fin qui, si tratta di logica pura e semplice. Il concetto secondo cui tutto al mondo ha un significato ultimo è l’analogo esatto del principio secondo cui tutto ha una causa: un principio su cui si basa tutta la scienza. Ne consegue immediatamente che da qualche parte oltre la nostra storia esiste il mondo assoluto in cui tutto il significato si risolve. Il viaggio temporale, per sua stessa natura, provoca perturbazioni nella storia, e dunque la generazione, o la scoperta, di altri mondi oltre al nostro. Perciò il compito del viaggiatore temporale è quello di cercare, e di continuare a cercare, il mondo assoluto, fino a trovarlo, o costruirlo!
Allorché lasciammo Gödel, la mia mente era in tumulto. Decisi che non mi sarei beffato mai più dei filosofi matematici, perché quello strano ometto, senza lasciare il suo ufficio, aveva viaggiato più oltre, nel tempo, nello spazio e nella comprensione, di quanto avessi mai fatto io con la macchina del tempo. E sapevo che presto avrei dovuto davvero recarmi di nuovo a visitare Gödel, perché ero convinto di avere veduto in quella cassa un flacone di plattnerite grezza!