I due quinti, all’incirca, della guarnigione, composta da un centinaio di militari, erano donne. Molti soldati recavano tracce di ferite e di ustioni, alcuni erano muniti di protesi agli arti. Ciò mi fece comprendere che il massacro spaventevole della gioventù d’Europa, continuato dopo il 1938, aveva reso necessario richiamare in servizio i feriti, e un maggior numero di ragazze.
Dopo essersi sfilato gli stivali, Gibson mi fece un sorriso riluttante, e cominciò a massaggiarsi i piedi affaticati. Nebogipfel sorseggiò acqua da un bicchiere, mentre l’attendente, secondo la tradizione inglese, serviva tazze di tè al comandante e a me: tè, nel paleocene!
— Avete creato proprio una bella, piccola colonia — commentai.
— Immagino di sì. Comunque, si tratta soltanto di addestramento. — Gibson si rimise gli stivali. — Naturalmente, apparteniamo ad armi diverse, come suppongo che lei abbia notato. — Ciò detto, sorseggiò il tè.
— Temo di no — risposi, sinceramente.
— Be’, molti di noi appartengono alla fanteria, naturalmente. — Gibson indicò un militare giovane e snello, che aveva un distintivo cachi cucito alla camicia. — Ma alcuni di noi, come lui ed io, appartengono alla RAF.
— La RAF?
— Royal Air Force. I burocrati hanno finalmente capito che siamo i più adatti a manovrare questi mostri metallici. — Gibson sorrise con noncuranza a un fante che, nel passare, fissò Nebogipfel a occhi strabuzzati. — Naturalmente, non ci dispiace dare un passaggio a questi ciabattoni. Meglio che lasciarvi fare da soli, eh, Stubbins?
Magro, con la chioma rossa e il viso schietto, il soldato Stubbins sorrise a sua volta, quasi con timidezza, ma evidentemente compiaciuto dell’attenzione di Gibson. E tutto ciò benché fosse parecchio più alto dell’ufficiale di bassa statura, oltre che di alcuni anni più vecchio. Nella flemma del comandante, riconobbi qualcosa della baldanza del capo nato.
— Siamo qui già da una settimana — riprese Gibson. — È sorprendente che ci siamo imbattuti in voi soltanto oggi.
— Non ci aspettavamo visite — risposi seccamente. — In caso contrario, immagino che avremmo acceso un falò, o trovato qualche altro modo di segnalare la nostra presenza.
Il comandante mi strizzò l’occhio: — Noi abbiamo avuto parecchio da fare. È stata dura, i primi due giorni. Siamo ben equipaggiati, naturalmente. Gli scienziati ci hanno spiegato chiaro e tondo, prima della partenza, che il clima della cara, vecchia Inghilterra è molto mutevole, se lo si considera da una prospettiva abbastanza ampia. Perciò ci siamo muniti di tutto, dai pastrani ai calzoncini. Tuttavia non ci aspettavamo affatto di trovare proprio qui, nel centro di Londra, un clima tropicale! Sembra che gli indumenti ci marciscano addosso, letteralmente, e tutto ciò ch’è metallico arrugginisce, e gli stivali scivolano nella melma: mi si sono ristrette persino le dannate calze! E i ratti divorano qualsiasi cosa. — Accigliato, aggiunse: — O almeno, credo che siano i ratti…
— Probabilmente non lo sono affatto — replicai. — E i corazzati? Sono di classe Kitchener?
Evidentemente sorpreso dalla mia piccola ostentazione di nozionismo, Gibson mi guardò inarcando un sopracciglio: — Per la verità, i corazzati si muovono a stento, perché le loro dannate zampe di elefante affondano nel fango che si trova ovunque…
In quel momento, una voce limpida e familiare si udì alle mie spalle: — Lei non è aggiornato, signore: i corazzati di classe Kitchener, incluso il caro vecchio Raglan, sono in disuso ormai da diversi anni…
Mi girai ad osservare l’ufficiale, che abbigliato nella semplice uniforme composta di berretto e tuta che era tipica degli equipaggi dei corazzati, si avvicinò zoppicando in maniera accentuata, poi mi offrì la mano.
Sorrisi, stringendo la mano piccola, ma forte: — Capitano Hilary Bond…
— Ha un aspetto un po’ più lacero, signore — commentò Bond, nello scrutarmi da capo a piedi, soffermando lo sguardo sulla barba lunga e folta, nonché sugli indumenti di pelle, — però è del tutto inconfondibile. È sorpreso di rivedermi?
— Dopo qualche esperienza di viaggio temporale, nulla mi sorprende più molto, Hilary!
9
Il corpo di spedizione cronotico
Nel seguito della conversazione, Gibson e Bond mi spiegarono quale fosse la missione del corpo di spedizione cronotico.
Grazie allo sviluppo delle pile a fissione con carolinum, la Gran Bretagna e l’America erano riuscite a produrre la plattnerite poco tempo dopo la mia fuga nel tempo, talché gli ingegneri non avevano più dovuto dipendere esclusivamente dai rimasugli del mio vecchio laboratorio.
Oltre a nutrire ancora il timore che i guerrieri cronotici tedeschi intendessero attaccare a tradimento il passato britannico, si era capito, in base alle tracce che avevamo lasciato all’Imperial College e ad altri indizi, che Nebogipfel e io ci eravamo recati qualche decina di milioni di anni nel passato. Quindi, era stata rapidamente allestita una flotta di corazzati temporali, muniti di strumenti molto sensibili, in grado d’individuare la presenza della plattnerite, in base, come mi fu spiegato, all’origine radioattiva della sostanza medesima. Così, il corpo di spedizione stava esplorando il passato a balzi di cinque milioni di anni, o più.
La sua missione consisteva nientemeno che nel proteggere la storia britannica dagli attacchi nemici anacronistici.
Ad ogni sosta, si sforzava valorosamente di studiare il periodo. A tale scopo, parecchi soldati, mediante un addestramento specifico, anche se frettoloso, erano stati trasformati in scienziati dilettanti: climatologi, ornitologi, e così via. Costoro effettuavano indagini, rapide ma accurate, sulla flora, sulla fauna, sul clima e sulla geologia dell’epoca, e Gibson, ogni giorno, dedicava gran parte del proprio tempo a redigere compendi di tali osservazioni. Notai che i militari, uomini e donne, affrontavano allegramente il duro compito, e mi sembrò che fossero sinceramente interessati alle peculiarità della valle del Tamigi nell’era paleocenica.
Nondimeno, le sentinelle pattugliavano il perimetro dell’accampamento durante la notte, e soldati muniti di binocolo si alternavano ad osservare perennemente il cielo e il mare. Quando erano impegnati in questi compiti, i militari non manifestavano affatto l’umorismo e la curiosità che li caratterizzavano mentre svolgevano gl’incarichi scientifici o d’altro genere: invece, i loro sguardi e le loro espressioni lasciavano trapelare il timore e l’attenzione.
Dopotutto, il corpo di spedizione si trovava nel passato non per studiare botanica, bensì per cercare i tedeschi: nemici umani in grado di viaggiare nel tempo, nascosti fra le meraviglie del passato.
Quantunque fossi fiero delle imprese che avevo compiuto nel tentativo di sopravvivere in quell’epoca aliena, fu con sollievo considerevole che abbandonai il mio vestiario di cenci e di pelli per indossare un’uniforme tropicale da soldato temporale, leggera e comoda. Dopo essermi rasato e lavato (con sapone e con acqua calda e pulita!), mangiai di gusto il surrogato di carne di soia in scatola. La sera, fu con una sensazione di pace e di sicurezza che mi coricai sotto una tenda e una zanzariera, protetto dalle spalle possenti dei corazzati.
Invece, Nebogipfel non rimase sempre all’accampamento. Anche se il nostro incontro con Gibson stupì e fu festeggiato, giacché il nostro ritrovamento era stato fra gli obiettivi principali della spedizione, il Morlock non tardò a diventare l’oggetto di un interesse chiassoso da parte dei soldati, nonché, sospettai, di qualche punzecchiatura maliziosa. Così, tornò alla nostra palafitta sulla sponda del mare paleocenico. Non mi opposi, sapendo quanto bramasse continuare la ricostruzione della macchina temporale: infatti, prese persino a prestito alcuni attrezzi. Rammentando però quanto avesse rischiato di essere massacrato dal Pristichampus, insistetti affinché non rimanesse solo, bensì si facesse accompagnare da me o da qualche soldato armato.