— Fu trovato un teschio. — Umano?
— In un certo senso. — Bond esitò. — Era piccolo e alquanto deforme, situato in uno strato di cinquanta milioni di anni più remoto dell’epoca in cui avrebbero dovuto trovarsi le vestigia umane più antiche. E sembrava che fosse stato spaccato in due da un morso.
Piccolo e deforme, pensai. Compresi che doveva essersi trattato del teschio di Nebogipfel. Era mai possibile che il Morlock fosse stato ucciso dal Pristichampus, in un’altra storia, in cui Gibson non era intervenuto?
E le mie ossa giacevano forse nel futuro, frantumate e fossilizzate, in qualche altro luogo non lontano, senza essere state scoperte?
Benché il sole mi scaldasse la testa e la schiena, fui scosso da un brivido gelido. D’improvviso, il mondo fulgido del paleocene parve sbiadire in una trasparenza che lasciava filtrare la luce spietata del tempo.
— Dunque ci avete trovati dopo avere individuato le tracce della plattnerite… Immagino però che siate rimasti delusi nel trovare, ancora una volta, soltanto me, e nessuna orda di prussiani guerrafondai. Comunque, non le sembra di scorgere un paradosso? Avete costruito i corazzati temporali nel timore che i tedeschi facessero lo stesso… Benissimo. La situazione, tuttavia, è simmetrica: dal loro punto di vista, i tedeschi temono sicuramente che voi inventiate per primi le macchine temporali. Ciascuna delle due parti si comporta precisamente in modo tale da provocare la reazione peggiore da parte dell’avversario. E dunque entrambe scivolano verso la situazione peggiore per tutti.
— Può darsi — convenne Bond. — Ma il possesso della tecnica temporale da parte dei tedeschi sarebbe catastrofico per la causa degli Alleati. La nostra spedizione ha lo scopo d’individuare i viaggiatori temporali tedeschi e d’impedire che infliggano qualunque danno alla storia.
Gesticolai, alzando le mani, mentre le onde del mare paleocenico s’increspavano intorno alle mie caviglie: — Ma… Dannazione, capitano Bond! Siamo cinquanta milioni di anni prima di Cristo! Quale importanza può mai avere, qui, la guerra fugace che l’Inghilterra e la Germania combattono nel futuro remoto?
— Non possiamo abbassare la guardia — rispose Bond, con torva stanchezza. — Non capisce? Dobbiamo braccare i tedeschi fino all’alba della creazione, se necessario.
— E quando cesserà questa guerra? Consumerete forse tutta l’eternità, prima di concluderla? Non capite che questo… — Agitai una mano, per indicare con un solo gesto tutto quel futuro spaventevole di città devastate e di popolazioni affollate nei rifugi sotterranei. — Non capite che tutto questo è impossibile? Oppure intendete continuare fino a quando rimarranno due persone, soltanto due, e l’ultima spaccherà il cranio all’altra con una maceria?
La luce riflessa dal mare accentuò le rughe sul suo viso, quando Bond si girò per allontanarsi, senza replicare.
Il periodo di calma, dopo il nostro primo incontro con Gibson, durò cinque giorni.
10
L’apparizione
Era il mezzodì di una giornata luminosa e senza nubi, e avevo trascorso la mattina ponendo le mie capacità grossolane d’infermiere al servizio del medico gurkha. Con sollievo, accettai l’invito di Hilary Bond a compiere un’altra delle nostre passeggiate fino alla spiaggia.
Attraversammo facilmente la foresta, perché ormai i soldati avevano aperto diversi sentieri che si dipartivano a raggiera dall’accampamento.
Alla spiaggia, mi tolsi gli stivali e le calze, lasciandoli cadere al margine della foresta, e corsi al bagnasciuga. Bond m’imitò, collocando più decorosamente gli stivali sulla sabbia assieme alla sua pistola. Mentre si arrotolava i calzoni, vidi che aveva la gamba sinistra deforme e la pelle corrugata da una vecchia ustione. Infine mi seguì nella risacca schiumeggiante.
Tutti, uomini e donne, eravamo molto informali, in quell’accampamento nella foresta antica, perciò non esitai a togliermi la camicia e ad immergere la testa e il busto nell’acqua trasparente, senza curarmi che i calzoni mi si bagnassero. Inspirai profondamente, godendo del calore del sole sul viso, del luccichio dell’acqua, della morbidezza della sabbia fra le dita dei piedi, degli odori pungenti del sale e dell’ozono.
— È felice di essere qui, vedo — commentò Bond, con un sorriso.
— In verità, sì. — Dopo averle detto di avere trascorso la mattinata ad aiutare il medico, aggiunsi: — Come sa, sono disposto, anzi, più che disposto, ad aiutare. Ma oggi, verso le dieci, ero talmente nauseato dagli odori del cloroformio, dell’etere e di vari antisettici, nonché da fetori ben più umani, che…
La capitana sollevò le mani: — Capisco.
Ci allontanammo dal mare. Mentre mi asciugavo con la camicia, Bond andò a riprendere la propria arma. Lasciando gli stivali al bordo della foresta, passeggiammo sul bagnasciuga. Qualche decina di metri più avanti, notai alcune fossette che tradivano la presenza della corbicula: una bivalve, molto diffusa sulla spiaggia, che si nascondeva nella sabbia. Ci accosciammo, e mostrai a Bond come dissotterrare i molluschi. In pochi minuti, ne raccogliemmo una quantità rispettabile, che ammucchiammo ad asciugare al sole.
Mentre Bond estraeva i molluschi, affascinata come una bambina, il suo viso, con la chioma corta e bagnata che aderiva alla pelle, appariva raggiante di gioia per il successo in quell’impresa semplice. Eravamo soli sulla spiaggia, anzi, avremmo potuto essere gli unici due esseri umani in tutto il mondo paleocenico. Percepivo lo scintillio di ogni goccia di sudore sul mio cuoio capelluto, lo sfregamento di ogni granello di sabbia contro le gambe, e tutto era pervaso dal calore animale della donna accanto a me: era come se la molteplicità dei mondi attraverso la quale avevo viaggiato si fosse contratta in quell’unico momento di vividezza, ossia il qui e l’ora.
Dunque tentai di comunicare almeno in parte tale sentimento alla mia compagna: — Hilary…
Di scatto, Bond alzò la testa, volgendo il viso al mare: — Ascolti!
Perplesso, osservai il bordo della foresta, le onde che si rompevano sulla spiaggia, la vacuità sconfinata del cielo, mentre si udivano soltanto il fruscio della brezza tra le fronde e il fragore gentile della risacca: — Che cosa?
Il volto di Bond aveva assunto un’espressione dura e sospettosa, ridiventando quello, intelligente e allarmato, della guerriera: — Un motore singolo — dichiarò, con evidente concentrazione. — È un Daimler-Benz DB: un dodici cilindri, credo. — Balzò in piedi, accostando le mani alla fronte per ombreggiarsi gli occhi.
Allora anche le mie vecchie orecchie percepirono il rumore udito dalla giovane capitana: un ronzio lontano, simile a quello di un insetto gigantesco, che giungeva a raffiche dal mare.
— Guardi — indicò Bond. — Là! Lo vede?
Scrutai nella direzione indicata, e fui ricompensato intravedendo una sorta di distorsione che si librava sul mare, lontano, ad oriente: era una chiazza di alterità, un disco non più grande della luna piena, una sorta di rifrazione scintillante tinta di verde.
Poi ebbi l’impressione di qualcosa di solido, al centro dell’apparizione, che si condensava e roteava. D’improvviso, un oggetto pesante e fosco, a forma di croce, sbucò a gran velocità dal cielo orientale, dalla direzione di quella parte del mondo che un tempo sarebbe diventata la Germania. Il ronzio divenne molto più forte.
— Mio Dio — esclamò Bond. — È un Messerschmitt: un’Aquila. Sembra un Bf 109F…
— Messerschmitt… È un nome tedesco… — commentai, alquanto stupidamente.