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La capitana mi guardò: — Certo che è un nome tedesco. Non capisce?

— Cosa?

— Quello è un aereo tedesco: die Zeitmaschine, venuta a cercare noi!

Nell’avvicinarsi alla costa, l’aeroplano s’inclinò come un gabbiano in volo, quindi proseguì parallelamente alla spiaggia. Con uno spostamento d’aria rumoroso, tanto celermente che Bond ed io fummo costretti a ruotare di scatto sulla sabbia per seguirlo con lo sguardo, passò sopra le nostre teste, a meno di trenta metri di quota.

Era lungo circa nove metri, e aveva un’apertura alare di poco superiore. Sul muso roteava un’elica. La parte superiore era dipinta a chiazze verdi e marroni, quella inferiore, invece, d’azzurro-grigio, inclusa la bomba appesa al ventre liscio, lunga circa un metro e ottanta. Sulla fusoliera e sulle ali erano dipinti sgargianti simboli militari, fra cui una testa d’aquila e una spada brandita, nonché torve croci nere, che simboleggiavano il paese d’origine.

Per alcuni istanti, Bond e io restammo immobili, storditi da quell’apparizione improvvisa come da una visione mistica.

Il giovane entusiasta che era sepolto in me, lo spettro del povero Mosè perduto, si esaltò alla vista della macchina elegante. Che avventura, Per il pilota di quell’aereo! Che visione gloriosa! E quale coraggio straordinario doveva essere stato necessario per salire, nel cielo annerito dal fumo della Germania del 1944, tanto in alto da ridurre il cuore dell’Europa a una sorta di mappa, un piano coperto di terra, di mare e di foreste, popolato di persone piccole come soldatini, e allora fare scattare l’interruttore che lanciava l’aeroplano nel tempo. Immaginai il sole che si trasformava in un arco luminoso come la traiettoria di un meteorite sopra il velivolo, mentre, al di sotto, il paesaggio si scioglieva e si trasformava, rimodellato dal tempo.

Intanto, le ali scintillanti s’inclinarono di nuovo e il fragore del motore si abbatté su di noi. L’aereo s’innalzò e si allontanò sulla foresta, verso l’accampamento del corpo di spedizione.

Con la gamba zoppa che lasciava tracce asimmetriche nella sabbia, Bond si allontanò di corsa.

— Dove sta andando?

Senza curarsi d’infilare le calze, Bond indossò frettolosamente gli stivali: — All’accampamento, naturalmente.

— Ma… — Fissai il nostro mucchietto patetico di bivalvi. — Non può arrivare prima del Messerschmitt. Che cosa intende fare?

Impugnata la pistola, Bond si raddrizzò e, per tutta risposta, mi guardò con espressione vacua; poi attraversò la frangia di palme lungo il bordo della foresta e scomparve fra le ombre dei dipterocarps.

Il fragore del Messerschmitt svanì in lontananza, assorbito dalle chiome degli alberi. Rimasi solo sulla spiaggia, con le bivalvi e la risacca.

Sembrava tutto assolutamente irreale: la guerra, importata in quell’idillio paleocenico? Non provavo paura: nulla, se non un senso di dislocamento bizzarro.

Scuotendomi dall’immobilità, seguii Bond nella foresta.

Tuttavia, non giunsi neppure agli stivali, prima che arrivasse alle mie orecchie, come fluttuando al di sopra della sabbia, una vocina aliena: — No! No! In acqua!

Era Nebogipfel, che si avvicinava zoppicando, con la gruccia che lasciava una serie di fossette piccole e profonde sulla spiaggia, e un lembo della maschera che pendeva, sventolando.

— Cosa vuoi dire? Non vedi che cosa sta succedendo? Die Zeitmaschine…

— In acqua… — Debole come una bambola di stracci, Nebogipfel si appoggiò alla gruccia. Ansimava tanto violentemente da sussultare, e le sue parole si comprendevano a stento. — In acqua… Dobbiamo entrare…

— Non è il momento di nuotare! — gridai, indignato. — Non capisci…

— Tu non capisci — replicò Nebogipfel, trafelato. — Tu non… Vieni…

Distratto, mi volsi ad osservare il cielo sopra la foresta, dove la forma sfuggente di die Zeitmaschine sfiorava il fogliame, con cui contrastavano le sue vivide macchie verdi e azzurre. Procedeva a velocità straordinaria, e di nuovo il suo rumore lontano somigliava al ronzio d’un insetto furente.

Si udirono poi il ritmico tossire delle artiglierie e i fischi delle granate.

— Si stanno difendendo — dissi, avvampando a causa di quella scintilla di guerra. — Non capisci? Evidentemente, la macchina volante ha individuato il corpo di spedizione, che però sta contrattaccando con l’artiglieria…

— In mare. — Con dita deboli quanto quelle di un bambino, Nebogipfel mi afferrò un braccio, in un gesto di tale urgenza, tanto implorante, che m’indusse a staccare lo sguardo dalla battaglia aerea. I suoi occhi, attraverso le fessure sottili della maschera rozza, erano visibili soltanto come schegge, e la bocca, inarcata verso il basso, sembrava una ferita palpitante. — È l’unico riparo abbastanza vicino. Forse basterà…

— Riparo? Ma la battaglia dista due miglia! Come potremmo rimanere feriti, restando qua, su questa spiaggia deserta?

— Ma la bomba… La bomba dei tedeschi… Non l’hai vista? — la chioma pendeva liscia dal cranio piccolo di Nebogipfel. — In questa versione della storia, le bombe non sono sofisticate: sono poco più che grumi di carolinum puro. Nondimeno, sono abbastanza efficaci. Non puoi fare nulla per il corpo di spedizione: non adesso! Dobbiamo attendere che la battaglia sia finita. — Il Morlock mi fissò. — Capisci? Andiamo! — E mi tirò per un braccio. Poi lasciò cadere la gruccia, appoggiandosi a me.

Come un bambino, mi lasciai condurre in mare.

In breve, giungemmo a una profondità di un metro e venti, o più. Immerso fino alle spalle, Nebogipfel mi esortò ad accosciarmi in maniera da sprofondare quasi interamente nell’acqua salata.

Il Messerschmitt virò per eseguire un altro passaggio sopra la foresta, simile a un predatore di metallo, lustro di lubrificante, mentre le granate gli esplodevano intorno in nubi di fumo, che poi si dissolvevano poco a poco nell’atmosfera paleocenica.

Ammetto che quella battaglia aerea, la prima a cui assistevo, mi entusiasmò. Nella mia mente si susseguirono immagini di scontri fra numerosi velivoli, come dovevano essere quelli che affollavano i cieli d’Europa nel 1944: uomini che cavalcavano nel vento, e roteavano e cadevano come gli angeli di Milton.

Pensai che fosse l’apoteosi della guerra: che cos’era mai lo squallore brutale delle trincee rispetto a quel trionfo aereo, con le sue cadute vertiginose verso la gloria o la morte?

Quasi pigramente, il Messerschmitt si allontanò con un volo a spirale dallo sbarramento di granate, salendo di quota. Giunto al culmine della manovra, parve librarsi, per un momento soltanto, a parecchie decine di metri dal suolo.

Poi vidi la bomba, ferale baccello metallico dipinto d’azzurro, staccarsi dal velivolo con assoluta delicatezza, per iniziare la sua caduta verso la terra.

Una granata s’innalzò dalla foresta a tracciare un arco nell’aria e perforò un’ala dell’aereo. Le fiamme divamparono e die Zeitmaschine fuggì con un volo sussultante, avviluppata nel fumo.

Lanciai un grido di esultanza: — Bel tiro! Nebogipfel… Hai visto?

Per tutta risposta, il Morlock protese le braccia dal mare per premermi le mani morbide sulla testa: — Giù… Sott’acqua…

La mia ultima immagine fugace della battaglia fu la traccia di fumo che segnava il tragitto del Messerschmitt che precipitava, ma subito prima vidi una stella ardente, già quasi troppo luminosa perché la si potesse fissare, la quale era la bomba che cadeva.

Infine, immersi anche la testa nel mare.