Con uno sforzo enorme, perché era ormai molto indebolita dalla sete, era riuscita ad alzarsi e ad avvicinarsi all’accampamento.
— Ricordo la luce del carolinum, sovrannaturale e purpurea, che diventava sempre più intensa mentre avanzavo fra gli alberi… Il calore aumentava… Mi sono chiesta quanto avrei potuto avvicinarmi, prima di essere costretta a tornare indietro… Sono arrivata al bordo della radura… La luce del carolinum mi rendeva quasi cieca… Sentivo un fragore, come di una cascata… La bomba era caduta proprio al centro dell’accampamento… I tedeschi hanno la mira precisa… Era come un piccolo vulcano che eruttava fumo e fiamme… Il campo era distrutto, spazzato dal fuoco e dallo spostamento d’aria… Tre corazzati erano rovesciati come giocattoli, e dilaniali… Il quarto era sventrato, ma per il resto quasi intatto… Non ho visto nessuno… Mi aspettavo, credo… — Bond esitò. — Orrori… Mi aspettavo orrori… Ma non c’era nulla… Non è rimasto nulla di nessuno… Tranne una cosa… La cosa più strana… — Mi posò su un braccio una mano che il fuoco aveva trasformato in un artiglio. — La vernice del corazzato quasi intatto era tutta gonfia e screpolata… tranne in una zona, una sagoma… Sembrava l’ombra di un uomo rannicchiato… — Mi guardò, con gli occhi scintillanti nel volto sfigurato. — Capisce? Era l’ombra… di un soldato… Non so chi fosse… Stava così, al momento dell’esplosione… che l’ha interamente dissolto, carne e ossa… Eppure è rimasta l’ombra sul metallo verniciato… — La voce rimase calma e impassibile, mentre gli occhi di Hilary si colmavano di lacrime. — Non è strano?
Per qualche tempo, Bond aveva camminato, vacillando, lungo il bordo della radura. Ormai convinta che non vi fossero superstiti, aveva pensato a cercare acqua, cibo, medicinali. Ma era stata troppo disorientata, troppo confusa, nonché afflitta da una sofferenza tale da minacciare di sopraffarla.
Con le mani ustionate, non aveva potuto frugare sistematicamente tra i resti carbonizzati del campo.
Così, si era allontanata, con l’intenzione di cercare di giungere al mare.
Di ciò che le era accaduto in seguito aveva soltanto ricordi confusi e frammentari. Aveva vagato nella foresta per tutta la notte, però si era allontanata tanto poco dal luogo dell’esplosione, da indurmi a supporre che avesse vacillato in cerchio fin quando Stubbins e io l’avevamo trovata.
14
Superstiti
Il meglio che si potesse fare, decidemmo Stubbins ed io, era trasportare Hilary fuori della foresta, lontano dalle emissioni dannose del carolinum. Al nostro accampamento sulla spiaggia, Nebogipfel, con le sue vaste conoscenze, avrebbe forse potuto trovare un modo per lenire le sue sofferenze. Era chiaro, tuttavia, che Hilary non aveva più la forza di camminare. Con due rami caduti, lunghi e diritti, con i miei calzoncini e con la camicia di Stubbins, costruimmo una barella, su cui, badando a farla soffrire il meno possibile, adagiammo Hilary. Quando la sollevammo, ella gridò, ma poi, una volta distesa sulla barella, si sentì meglio.
Così, riattraversammo la foresta bruciata per tornare alla spiaggia. Stubbins mi precedeva, mostrandomi la schiena nuda e magra, lustra di sudore, sporca di fuliggine e di polvere. Nella semioscurità, aprì la strada, urtando le liane e i rami bassi, però senza lamentarsi, continuando a reggere saldamente la barella. Quanto a me, lo seguii barcollando, seminudo, spossato, con i muscoli tremanti di sforzo. Talvolta mi parve impossibile poter sollevare una gamba per compiere un altro passo, o continuare a stringere le mani intorpidite intorno ai rami scabri. Eppure la risolutezza incrollabile di Stubbins m’indusse sempre a proseguire la marcia, nascondendo la fatica.
Priva di conoscenza, le membra scosse da tremiti convulsi, Hilary si lasciò sfuggire di quando in quando gemiti e grida fioche, mentre echi di sofferenza le si diffondevano nel sistema nervoso.
Giunti alla spiaggia, deponemmo Hilary all’ombra, al margine della foresta. Tenendole sollevata la testa con una mano, Stubbins le fece sorseggiare un po’ d’acqua. La sensibilità e la gentilezza predominavano sulle sue maniere rozze: sembrava infondere tutto il proprio essere nelle più semplici gentilezze nei confronti di Bond. Mi sembrava che in ciò fosse motivato soprattutto da pura e semplice compassione, in quanto era fondamentalmente buono e gentile. D’altronde, compresi che gli sarebbe stato insopportabile sopravvivere a tutti i suoi compagni soltanto perché gli era stato assegnato, per puro caso, un incarico che lo aveva allontanato dall’accampamento proprio prima dell’attacco nemico. Prevedevo dunque che avrebbe dedicato in gran parte i giorni che gli restavano ad atti di contrizione di quel genere.
Seminudi, imbrattati di fuliggine e di cenere, con la donna sofferente sulla barella, Stubbins ed io riprendemmo la marcia sulla sabbia umida e solida del bagnasciuga, fresca fra le nostre dita, con la risacca spumeggiante che ci lambiva le caviglie.
All’accampamento, Nebogipfel si dedicò subito a curare Hilary. Intralciato dalla sollecitudine smaniosa di Stubbins, mi lanciò una serie di occhiatacce ostili, finché mi decisi a prendere il soldato per un braccio: — Ascolta, vecchio mio… Il Morlock potrà sembrarti un po’ strano, però di medicina sa molto più di me, e anche di te, direi. Credo quindi che sia meglio andarcene, e lasciare la capitana alle sue cure.
Per tutta risposta, Stubbins aprì e chiuse minacciosamente le mani enormi.
Allora ebbi un’idea: — Potremmo compiere un ultimo tentativo per scoprire se vi sono eventuali altri superstiti. Perché non accendiamo un falò? Usando legna verde, si produrrà un fumo visibile da miglia di distanza.
Senza indugio, Stubbins si addentrò nella foresta per seguire alacremente il suggerimento. Nell’osservarlo mentre trascinava rami fuori della foresta, come un animale da soma, per poi ammassarli sulla spiaggia, fui lieto di avere escogitato un lavoro che gli consentisse di sfogare utilmente l’energia di cui traboccava.
Frattanto, Nebogipfel collocò saldamente nella sabbia, in fila, alcuni gusci di noce, ciascuno contenente un preparato latteo di sua invenzione. Preso a prestito il coltello a serramanico di Stubbins, tagliò gli abiti per spogliare Bond, poi, con le sue morbide dita morlock, incominciò a spalmare gli unguenti sulle ustioni.
Ancora priva di conoscenza, Hilary dapprima si lamentò, ma dopo un poco sembrò smettere di soffrire, per passare a un sonno più profondo e più tranquillo.
— Che cos’è quella specie di pomata?
— Un unguento di latte di cocco, di olio di bivalve e di piante raccolte nella foresta — spiegò Nebogipfel, continuando a spalmare e a massaggiare. — Allevia la sofferenza provocata dalle ustioni. — Nel risistemarsela più comodamente sul viso, lasciò sulla maschera tracce lustre di unguento.
— Sono impressionato dalla previdenza che hai dimostrato nel prepararlo.
— Dopo la catastrofe che vi siete autoinflitti ieri — rispose freddamente Nebogipfel — non era necessario essere molto previdenti, per capire che vi sarebbero state ustioni da curare.
Autoinflitti? pensai, irritato. Nessuno di noi ha chiesto ai maledetti tedeschi di viaggiare nel tempo per venirci a bombardare con il carolinum! E sbottai: — Accidenti a te! Stavo soltanto cercando di congratularmi per quello che stai facendo per questa ragazza!
— Io, invece, preferirei non dover esercitare la mia compassione e le mie capacità terapeutiche sulle vittime sofferenti di simili follie.
— Oh… Dannazione! — Ciò detto, pensai che talvolta il Morlock era davvero impossibile: del tutto inumano!
Alimentando il falò con legna verde, che sibilava e crepitava, Stubbins ed io innalzammo al cielo una colonna di fumo, bianca come una nuvola. Quando il soldato ebbe compiuto alcune ricerche brevi e vane nella foresta, fui costretto a promettergli che, se l’espediente del falò non avesse prodotto risultati entro pochi giorni, saremmo ritornati sul luogo dell’esplosione.