Il quarto giorno dopo il bombardamento cominciarono ad arrivare altri superstiti attirati dal nostro segnale: soli o a coppie, ustionati e avviliti, con le uniformi a brandelli. In breve, Nebogipfel si trovò a dirigere un ospedale da campo di dimensioni rispettabili: una fila di giacigli di fronde di palma all’ombra dei dipterocarps. Coloro che ne erano in grado lo assistettero, sia improvvisandosi infermieri, sia procurando acqua, cibo e piante medicinali.
Per qualche tempo sperammo che vi fosse altrove un altro accampamento meglio equipaggiato del nostro. Pensai che Guy Gibson potesse essere sopravvissuto, e che in tal caso, con la sua calma e con il suo pragmatismo, avesse organizzato eventuali altri superstiti.
Da questo punto di vista, suscitò un breve scoppio di ottimismo la comparsa, sulla spiaggia, di un veicolo leggero a motore, guidato da due militari: due giovani donne. Restammo però delusi nell’apprendere che si trattava soltanto delle due ragazze a cui era stata affidata la ricognizione più estesa: percorrere la spiaggia in direzione ovest alla ricerca di un passaggio per l’interno.
Per alcune settimane, perlustrammo sistematicamente la spiaggia e la foresta, trovando talvolta le spoglie di qualche misera vittima del bombardamento, che sembrava essere sopravvissuta all’esplosione soltanto per morire poco tempo dopo in seguito alle ferite, senza riuscire ad allontanarsi o a chiedere aiuto. In alcuni casi riuscimmo a recuperare qualcosa dell’equipaggiamento del corpo di spedizione. Nebogipfel attribuiva la massima importanza a qualunque pezzo di metallo, perché era convinto che sarebbe trascorso parecchio tempo prima che la nostra piccola colonia fosse in grado di estrarre e di lavorare i metalli. Comunque, non trovammo nessun altro superstite: le due donne del veicolo furono le ultime ad unirsi a noi.
Anche quando avevamo ormai perduto da tempo ogni speranza ragionevole di trovare altri sopravvissuti, però, continuammo a lasciare acceso il falò giorno e notte.
In tutto, su oltre cento militari del corpo di spedizione, ne sopravvissero al bombardamento e alle sue conseguenze soltanto ventidue: undici donne, nove uomini, e Nebogipfel. Le salme di Guy Gibson e del medico gurkha non furono mai trovate.
Così, ci dedicammo a curare i feriti, a procurare tutto ciò che era necessario per consentirci di sopravvivere giorno dopo giorno, e a meditare su come avremmo organizzato la nostra colonia in futuro. In conseguenza della distruzione dei corazzati, infatti, fu presto evidente a noi tutti che non avremmo potuto tornare ai nostri secoli di provenienza: dopotutto, il mondo paleocenico avrebbe accolto le nostre ossa.
15
Il villaggio
Quattro di noi morirono a causa delle ustioni e di altre ferite, poco tempo dopo essere arrivati all’accampamento. Se non altro, non parvero soffrire molto, e io mi chiesi se Nebogipfel non avesse modificato i medicinali di sua composizione in maniera tale da alleviare e abbreviare l’agonia di quei poveretti.
Tuttavia, non comunicai a nessuno i miei sospetti.
Ogni perdita aggravò l’afflizione della nostra piccola colonia. Personalmente mi sentivo intorpidito, ormai incapace di reazioni emotive, come se la mia interiorità fosse stracolma d’orrore. Nell’osservare i giovani militari scoraggiati dalle lacere uniformi insanguinate, impegnati nelle loro tetre attività, compresi che quelle nuove morti, nello squallore brutale e primitivo in cui eravamo costretti a lottare per sopravvivere, obbligava ciascuno di loro a confrontarsi nuovamente con la propria mortalità.
La situazione peggiorò alcune settimane più tardi, allorché una nuova malattia si diffuse fra le nostre schiere sparute. Oltre ad assalire alcuni feriti, essa, in maniera assai inquietante, contagiò anche alcuni di coloro che sembravano essere sopravvissuti indenni al bombardamento. I sintomi erano violenti: vomito, emorragia, caduta dei capelli, delle unghie e persino dei denti.
— È come temevo — sussurrò Nebogipfel, dopo avermi tratto in disparte. — Sono le conseguenze dell’esposizione alle radiazioni di carolinum.
— Qualcuno di noi riuscirà a salvarsi, oppure… soccomberemo tutti?
— Non possiamo curare i malati in nessun modo: possiamo soltanto alleviare le sofferenze più gravi. Per il resto…
— Sì?
Il Morlock infilò le dita sotto la maschera per massaggiarsi gli occhi: — Non esiste nessun livello di radioattività che sia sicuro: esistono soltanto fattori di rischio, e possibilità. Potremmo sopravvivere tutti, oppure… perire tutti.
Tali notizie, naturalmente, aumentarono la mia angoscia. Vedere quei giovani, che già portavano le cicatrici di numerosi anni di guerra, giacere inerti sulla sabbia per colpa dei loro simili, affidati esclusivamente alle cure inesperte di un Morlock, un alieno naufrago nel tempo, mi faceva vergognare della specie alla quale appartenevo, nonché di me stesso.
— Credo che, un tempo, una parte di me avrebbe forse affermato che in definitiva questa guerra viene combattuta a fin di bene, perché potrebbe distruggere il vecchio ordine fossilizzato e aprire il mondo al mutamento. E ancora, un tempo credevo che l’umanità fosse dotata di una saggezza innata, quindi avrei detto che, dopo tante distruzioni, il buon senso avrebbe finito col prevalere, ponendo fine alla guerra.
— Il buon senso? — chiese Nebogipfel, massaggiandosi la faccia villosa.
— Be’, così credevo… Tuttavia, non avevo nessuna esperienza reale della guerra. Una volta che gli umani hanno incominciato a darsele di santa ragione, ben poco è in grado di fermarli prima che siano sopraffatti dalla spossatezza e dalle perdite. Adesso capisco che la guerra è assolutamente insensata, quale che ne possa essere l’esito…
D’altra parte, confidai a Nebogipfel di essere profondamente impressionato dall’altruismo e dalla devozione che i pochi superstiti del corpo di spedizione dimostravano nell’aiutarsi a vicenda. Ridotta la nostra situazione all’essenziale, ossia alla semplice sofferenza umana, si erano dissolte le tensioni di classe, di razza, di credo e di rango, che avevo potuto osservare all’interno del corpo di spedizione prima del bombardamento.
Adottando il punto di vista neutro di un Morlock, osservai il complesso contraddittorio di forze e di debolezze insito nell’animo della mia specie, e scoprii così che gli umani erano al tempo stesso più brutali e, sotto certi aspetti, più angelici, di quanto fossi stato indotto a credere dalla scarsa esperienza dei miei primi quattro decenni di vita.
— È un po’ tardi — ammisi — per imparare lezioni tanto profonde sulla stirpe con cui ho diviso il pianeta per oltre quarant’anni… Nondimeno, è così: ora mi sembra che, se l’umanità vorrà mai ottenere la pace e la stabilità, almeno prima di evolversi in qualche nuova razza, come i Morlock, allora il suo processo di unificazione, in quanto specie, dovrà cominciare dal fondo, ossia dalla costruzione delle fondamenta più solide: le uniche vere fondamenta, cioè la solidarietà istintiva nei confronti dei propri simili. — Ciò detto, scrutai Nebogipfeclass="underline" — Capisci che cosa intendo dire? Credi che il mio discorso abbia un senso?
Senza approvare né contraddire la mia ultima razionalizzazione, Nebogipfel si limitò a ricambiare il mio sguardo con calma analitica.
Le radiazioni uccisero altri tre di noi.
Altri ancora, come per esempio Hilary Bond, che perse molti capelli, manifestarono alcuni sintomi, nondimeno sopravvissero. Altri, invece, incluso colui che più di ogni altro si era avvicinato al luogo dell’esplosione, non parvero subire le conseguenze dell’esposizione alle radiazioni. In ogni modo, Nebogipfel mi avvertì che non potevamo ancora considerarci al sicuro dal carolinum: chiunque di noi avrebbe potuto essere afflitto, negli anni successivi, da altre gravi malattie, come i tumori.