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I bambini furono una fonte di gioia immensa per i coloni. Alcuni di costoro, prima delle nuove nascite, erano stati inclini ad abbandonarsi alla depressione, causata dalla nostalgia e dalla solitudine. Ma i bambini, oltre ad avere bisogno di cure, conoscevano una casa soltanto, ossia Prima Londra, e la loro prosperità futura forniva ai loro genitori, nonché a noi tutti, uno scopo.

Quanto a me, nell’osservare i bimbi dalle membra morbide e sane, cullati dalle braccia cicatrizzate dei genitori ancora giovani, vedevo finalmente fuggire da questi ultimi l’ombra della guerra spaventevole, scacciata dalla luce abbondante del paleocene.

Comunque, Nebogipfel continuò ad esaminare ogni neonato.

E un giorno, infine, il Morlock non restituì un bambino alla madre. Il lieto evento si trasformò in una sofferenza privata, in cui noialtri non c’intromettemmo. In seguito, Nebogipfel scomparve nella foresta e, impegnato nelle sue attività segrete, rimase assente per lunghi giorni.

Il Morlock dedicava gran parte del proprio tempo a dirigere quelli che definiva “gruppi di studio”. Questi corsi erano aperti a tutti i coloni, anche se in pratica vi partecipavano soltanto tre o quattro persone alla volta, a seconda dell’interesse e degli altri impegni. Nebogipfel insegnava ad affrontare i problemi posti dalla vita nel paleocene, come, ad esempio, la produzione delle candele e dei tessuti: aveva inventato persino un sapone ruvido a base di soda e di grasso animale. Tuttavia, si dedicava anche all’insegnamento delle scienze: la medicina, la fisica, la matematica, la chimica, la biologia, i principi del viaggio temporale.

Io stesso partecipai a numerose lezioni. Nonostante la sua voce e i suoi modi alieni, Nebogipfel spiegava con una chiarezza ammirevole e aveva il dono di porre le domande più adatte a verificare la comprensione degli allievi. Nell’ascoltarlo, mi resi conto che avrebbe avuto parecchio da insegnare alla media dei professori universitari inglesi, in quanto a tecniche pedagogiche.

Attenendosi alla terminologia del 1944, se non al gergo, sintetizzò i progressi principali ottenuti in ciascun campo scientifico nei decenni successivi. Ogni volta che fu possibile, effettuò dimostrazioni servendosi di metallo e di legno, oppure tracciò schemi nella sabbia. Ai propri “studenti” affidò il compito di trascrivere in forma codificata le sue conoscenze, utilizzando tutti i pezzi di carta che eravamo riusciti a recuperare e a conservare.

Discussi di questo problema con Nebogipfel, intorno alla mezzanotte di una sera buia e senza luna. Con un rozzo pestello, il Morlock era intento a ridurre in poltiglia nel mortaio alcune fronde di palma, insieme a qualche liquido: — Abbiamo bisogno di carta — annunciò. Si era tolto la sua nuova maschera, e i suoi occhi rosso-grigi sembravano luminescenti. — Dobbiamo fabbricare carta, o qualcosa di simile. La vostra memoria verbale umana non è abbastanza fedele e precisa: in pochi anni dimenticherete tutto, quando me ne sarò andato…

Erroneamente, pensai che si riferisse al timore o alla possibilità della morte. Dopo essermi seduto accanto a lui, gli presi dalle mani il mortaio e il pestello: — Ma ha senso tutto ciò, Nebogipfel? Siamo a malapena in grado di sopravvivere, e tu insegni la meccanica quantistica e la teoria del campo unificato! Che bisogno hanno i nostri compagni di tutte queste conoscenze?

— Nessuno. Ma i loro figli ne avranno, per sopravvivere. Ascolta… Secondo la teoria accettata, qualunque specie di grossi mammiferi ha bisogno di una popolazione di alcune centinaia d’individui, affinché si crei una diversità genetica sufficiente a garantire la sopravvivenza a lungo termine.

— La diversità genetica… Hilary me ne ha accennato…

— È evidente che la popolazione della colonia è di gran lunga troppo poco numerosa per assicurare la sopravvivenza dell’umanità in quest’epoca, anche combinando tutto il potenziale genetico.

— Ebbene?

— Ebbene, questa gente avrà la possibilità di sopravvivere per più di due o tre generazioni soltanto se effettuerà un rapido progresso tecnico. In tal modo, potrà padroneggiare il proprio destino genetico e non dovrà subire le conseguenze delle degenerazione dovuta agli incroci fra consanguinei, o i perduranti danni genetici inflitti dalla radioattività del carolinum. Come vedi, hanno bisogno della meccanica quantistica e di tutto il resto.

Smisi di pestare nel mortaio: — Sì, ma c’è una domanda implicita in tutto questo… Deve sopravvivere la razza umana nel paleocene? Voglio dire… Non dovremmo essere qui adesso, bensì dovremmo comparire soltanto fra cinquanta milioni di anni.

Il Morlock mi scrutò: — Ma quale altra scelta abbiamo? Vorresti lasciar morire questa gente?

In quel momento, rammentai che avevo deciso d’impedire che la macchina del tempo fosse ideata e realizzata, in modo da porre fine all’infinita ramificazione della storia. Invece, i miei pasticci avevano causato indirettamente la fondazione di una colonia umana nelle profondità del passato, ciò che a sua volta avrebbe sicuramente provocato una frattura storica gravissima. D’improvviso, con una sensazione di precipitare alquanto simile alla vertigine indotta dal viaggio temporale, compresi che quella nuova divergenza della storia doveva essere ormai ben al di là delle mie possibilità di controllo.

Subito dopo, osservai l’espressione con cui Stubbins ammirava il suo primogenito.

Sono un uomo, non un dio!

Dovevo lasciarmi influenzare dagli istinti umani, perché di certo ero incapace di dirigere consapevolmente l’evoluzione della storia molteplice. Ciascuno di noi poteva fare ben poco per cambiare il corso degli eventi: anzi, molto probabilmente qualunque nostro tentativo sarebbe stato tanto incontrollato da arrecare più danni che benefici. D’altronde, non potevamo lasciarci sopraffare dalla vastità del paleocene e dalla molteplicità della storia. La prospettiva di tale molteplicità rendeva ognuno di noi, e le sue azioni, piccino, ma non insignificante; e ciascuno di noi doveva condurre la propria vita con stoicismo e con coraggio, come se tutto il resto, il destino ultimo dell’umanità e l’infinita molteplicità, non esistesse.

Quali che potessero essere le conseguenze sui futuri cinquanta milioni di anni, mi sembrava che la colonia umana nel paleocene fosse giusta. Dunque la mia risposta alla domanda di Nebogipfel fu inevitabile: — No. Naturalmente, dobbiamo fare tutto ciò che possiamo per aiutare i coloni e i loro discendenti a sopravvivere.

— Perciò…

— Sì?

— Perciò debbo trovare un modo per fabbricare la carta.

In silenzio, ripresi a pestare nel mortaio.

18

La festa, e ciò che seguì

Un giorno, Hilary Bond annunciò che mancava una settimana al primo anniversario del bombardamento, e che si sarebbe celebrata una festa per commemorare la fondazione del villaggio.

I coloni risposero con entusiasmo, dedicandosi alacremente ai preparativi. La casa comune fu decorata con liane e con immense ghirlande di fiori della foresta. Un Diatryma del prezioso allevamento della colonia fu scelto per essere ucciso e cucinato.

Quanto a me, recuperati alcuni imbuti e pezzi di tubo, mi ritirai nell’intimità di una vecchia capanna per dedicarmi con fervore, in privato, a un certo esperimento. Tale attività suscitò la curiosità dei coloni, quindi fui costretto a dormire nella capanna per mantenere il segreto sull’apparecchio che avevo costruito. Avevo deciso che era arrivato il momento di sfruttare le mie conoscenze scientifiche a fin di bene, una volta tanto!