Il giorno della festa, ci radunammo dinanzi alla casa comune nel mattino luminoso, in un’atmosfera entusiastica da grande occasione. Gli ex militari indossavano ancora una volta i resti delle uniformi, lavati appositamente. I loro figli portavano i tessuti nuovi che erano stati prodotti, seguendo le indicazioni di Nebogipfel, con un tipo di cotone che cresceva nella zona e con tinture vegetali di colore scarlatto e porpora.
Mi stavo aggirando nel gruppo, alla ricerca dei miei amici più intimi, allorché si udì un rumore di vegetazione schiantata, accompagnato da un brontolio.
Subito si levarono grida d’allarme. — Attenti! Attenti!
— Pristichampus! Pristichampus!
In verità, il brontolio era tipico del grande coccodrillo terricolo e corridore. Mentre i coloni fuggivano di corsa, sparpagliandosi, guardai attorno alla ricerca di un’arma, maledicendo me stesso per essermi lasciato cogliere impreparato.
Poi giunse fluttuando sino a noi una voce gentile, e nota a tutti: — Ehi! Non abbiate paura! Guardate!
Il panico si placò in un istante, e uno spruzzo di risate si diffuse nel gruppo.
Indietreggiammo tutti per fare spazio a un feroce Pristichampus maschio, che entrò nella radura dinanzi alla casa comune, con le zampe artigliate che lasciavano orme grandi nella sabbia. Lo cavalcava, con la chioma rossa fiammeggiante al sole e un gran sorriso sul volto, Stubbins.
Mi avvicinai al rettile dalla pelle scagliosa che puzzava di carne decomposta, scrutato da un occhio gelido che ruotava per seguire miei movimenti. Stubbins, che lo montava senza sella, stringendo nelle mani magre e vigorose le redini di liane intrecciate che gli imbrigliavano la testa, mi sorrise.
— È davvero una bella impresa, Stubbins…
— Oh, sì… Be’, so che ci proponiamo di usare i Diatryma per arare, ma questo animale è molto più agile, e… Be’, cavalcandolo si può viaggiare per parecchie miglia: è meglio di un cavallo…
— Comunque, fai molta attenzione — ammonii. — Ah, Stubbins… Se vuoi venire a trovarmi, più tardi…
— Sì?
— Forse ho anch’io una sorpresa per te.
Con uno sforzo considerevole, tirando le redini, Stubbins riuscì a indurre il rettile a girarsi. Con le zampe dalla muscolatura possente che si alzavano e si abbassavano come pistoni, il Pristichampus lasciò la radura per rientrare nella foresta.
Intanto, Nebogipfel mi si avvicinò, con la testa che scompariva quasi interamente sotto un cappellone dalla falda amplissima.
— Sì, è davvero una bella impresa — ripetei. — Però controlla a stento quel mostro…
— Vincerà — commentò Nebogipfel. — Gli umani vincono sempre. — Mi si accostò maggiormente, con la pelliccia bianca che scintillava nel sole mattutino. — Ascoltami…
Il suo sussurrare, improvviso e incongruo, mi sconcertò: — Che cosa c’è?
— Ho terminato la costruzione della mia macchina.
— Quale macchina?
— Parto domani. Se vuoi unirti a me, sei il benvenuto. — Ciò detto, Nebogipfel si voltò e s’incamminò silenziosamente verso la foresta: in un istante, la sua schiena bianca si perse nell’oscurità degli alberi. Rimasi immobile, con il sole sulla nuca, a fissare la zona in cui era scomparso l’enigmatico Morlock… E fu come se la giornata si fosse trasformata, perché il significato delle sue parole, chiarissimo, mi aveva lasciato la mente in tumulto.
Una mano vigorosa mi percosse la schiena: — Ebbene, qual è dunque il grande segreto che mi devi svelare? — chiese Stubbins.
Mi girai a guardarlo, tuttavia per alcuni secondi mi fu difficile mettere a fuoco il suo viso: — Vieni con me — risposi finalmente, con tutto il vigore e con tutta l’allegria che riuscii a racimolare.
Pochi minuti più tardi, Stubbins e gli altri coloni brindarono con gusci colmi sino all’orlo di una bevanda alcolica di mia produzione, ricavato dal latte di cocco.
Il resto della giornata trascorse in un’ebbrezza gioiosa. La mia bevanda alcolica incontrò il massimo favore, anche se, per parte mia, avrei preferito di gran lunga riuscire a procurare abbastanza tabacco da riempire la pipa! Si ballò molto, con un accompagnamento di canti e di batter di mani che riproduceva imperfettamente una musica vivace del 1944: Stubbins la chiamava “swing”, e credo che mi sarebbe piaciuto conoscerla meglio. I coloni cantarono per me The Land of the Leal, ed io, con la mia solennità consueta, mi esibii in una danza manifestamente improvvisata, che suscitò grande ammirazione e grande allegria. Fu impiegato quasi tutto il giorno per arrostire il Diatryma, così che la sera ci vide rilassati sulla sabbia calpestata, con i piatti carichi di carne succulenta.
Quando il sole fu scivolato oltre la foresta, la festa terminò rapidamente, perché ci eravamo ormai abituati a svegliarci all’alba e a coricarci al crepuscolo.
Dopo avere augurato la buonanotte per l’ultima volta, mi ritirai nella capanna che avevo trasformato in distilleria. Seduto sulla soglia, a sorseggiare ciò che restava della mia bevanda alcolica, osservai le ombre della foresta che si allungavano sul mare paleocenico. Forme fosche scivolavano fra le onde: razze, o forse squali.
Ripensando alla conversazione con Nebogipfel, esaminai la mia situazione per tentare di prendere una decisione.
Dopo un poco, sentii un rumore attutito di passi zoppicanti sulla sabbia.
Mi volsi. Per qualche ragione, nel vedere Hilary Bond, i cui lineamenti si scorgevano a stento nel crepuscolo, non rimasi affatto sorpreso.
— Posso farti compagnia? — chiese Bond. — Hai ancora un po’ di quella specie di acquavite?
Con un cenno, la invitai a sedere sulla sabbia accanto a me, quindi le offrii il mio guscio.
Dopo avere bevuto con una certa grazia, Hilary osservò: — È stata una bella giornata…
— Grazie a te.
— No, grazie a tutti noi. — Del tutto senza preavviso, Bond allungò un braccio a posare una mano sulla mia, e il tocco della sua pelle fu come una scossa elettrica. — Voglio ringraziare te e Nebogipfel per tutto quello che avete fatto per noi.
— Non abbiamo…
— Senza di voi, non aedo che saremmo riusciti a sopravvivere, nei primi giorni dopo il bombardamento. — La voce di Bond era morbida, pacata, e al tempo stesso del tutto irresistibile. — E ora, con tutto quello che tu e Nebogipfel ci avete insegnato… Be’, credo che abbiamo ogni possibilità di costruire un nuovo mondo…
Mentre le sue dita lunghe e delicate indugiavano sul mio palmo, sentii il tessuto cicatriziale delle ustioni: — Ti ringrazio per gli elogi, ma… Parli come se stessimo per andarcene…
— Infatti è così, vero?
— Conosci i progetti di Nebogipfel?
Hilary scrollò le spalle: — In sostanza…
— Allora ne sai più di me. Per esempio, se ha costruito una vettura temporale, come si è procurato la plattnerite? I corazzati sono stati distrutti…
— L’ha recuperata dai rottami di die Zeitmaschine, naturalmente. — Hilary sembrò divertita. — Non ci avevi pensato? — Tacque un momento. — E tu vuoi partire con lui, vero?
Scossi la testa: — Non lo so… Talvolta mi sento strano, e stanco… come se ne avessi già viste abbastanza!
Sprezzantemente, Bond sbuffò: — Sciocchezze! Ascolta… Tu hai dato inizio a tutto… — Fece un ampio gesto con la mano. — A tutto questo: il viaggio temporale, e tutti i mutamenti che ha provocato. — Volse la testa ad osservare il mare placido. — E adesso, questo è il cambiamento più importante, vero? — Scosse la testa. — Sai… Ho avuto abbastanza a che fare con gli strateghi del Diguerdiscron, e sono sempre rimasta scoraggiata dalla loro ristrettezza mentale: intervenire in una battaglia, assassinare un personaggio di secondo piano… Se si dispone di un mezzo come il veicolo di dislocamento cronotico, e se si sa, come noi sappiamo, che la storia può essere cambiata, ci si può forse, ci si deve mai, limitare a obiettivi e scopi tanto sciocchi? Perché limitarsi a pochi decenni e intervenire nella fanciullezza di Bismarck o del kaiser, quando si può tornare indietro di milioni di anni, come abbiamo fatto noi? Ora i nostri figli avranno cinquanta milioni di anni a disposizione per cambiare il mondo… Stiamo modificando la specie umana, vero? — Si girò a guardarmi. — Ma per te non è ancora finita. Quale credi che sia il cambiamento definitivo? Puoi tornare all’alba della creazione e cambiare tutto dalle origini? Fin dove possono giungere i cambiamenti?