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Rammentai Gödel, e i suoi sogni del mondo assoluto: — Non so fin dove possano giungere — risposi, sinceramente. — Non riesco neppure a immaginarlo.

Il viso di Hilary era grande accanto a me, e i suoi occhi erano pozzi di oscurità nel buio che si addensava: — Allora devi rimetterti in viaggio e scoprirlo.

Mentre Bond mi si accostava maggiormente, sentii la mia mano stringersi intorno alle sue, e il suo respiro caldo sulla mia guancia. Al tempo stesso, percepii in lei una sorta di reticenza, che ella sembrava decisa a vincere, anche se soltanto per forza di volontà.

Quando le accarezzai un braccio cicatrizzato, Hilary rabbrividì come se le mie dita fossero di ghiaccio, ma poi mi afferrò la mano, per premersela sulla pelle: — Perdonami… L’intimità non è facile per me…

— Perché? A causa delle responsabilità del comando?

— No. — Il tono di Bond mi fece sentire sciocco e goffo. — A causa della guerra. Capisci? A causa di tutti coloro che sono morti… È difficile dormire, talvolta. Si soffre dopo: è questa la tragedia, per i sopravvissuti. Ci si rende conto che non si può dimenticare, e persino che è sbagliato continuare a vivere… Se tradirete la fiducia di noi defunti / Non riposeremo, anche se i papaveri crescono / Nei campi delle Fiandre…

L’attirai a me, e Hilary si abbandonò contro il mio corpo, essere fragile e ferito.

All’ultimo momento, sussurrai: — Perché, Hilary? Perché adesso?

— Diversità genetica — rispose Bond, con il respiro che diventava lieve. — Diversità genetica…

E in breve tempo viaggiammo, non sino ai confini del tempo, bensì fino ai limiti della nostra umanità, là, presso la spiaggia del mare primevo.

Quando mi destai, era ancora buio, e Hilary se n’era andata.

Era già giorno allorché arrivai alla nostra vecchia capanna. Con il viso protetto dalla maschera, Nebogipfel mi degnò appena di un’occhiata nel momento in cui varcavo la soglia: evidentemente, la mia decisione non lo sorprese più di quanto avesse sorpreso Hilary.

La macchina temporale era terminata. Intorno vidi frammenti di un metallo che non conoscevo: probabilmente, si trattava di resti del Messerschmitt, recuperali dal Morlock. La macchina era costituita da una sorta di cassa di un metro e mezzo di lato, con una panca di legno di dipterocarps, e un piccolo, rozzo pannello di controllo munito d’interruttori e di pulsanti, incluso l’interruttore azzurro della vettura temporale originale, salvato da Nebogipfel.

— Ho qualche indumento per te… — Ciò detto, Nebogipfel mi mostrò una camicia, un paio di calzoni e un paio di stivali, del tutto accettabili. — Dubito che i coloni si accorgeranno che mancano.

— Grazie. — Mi tolsi i calzoncini di pelle, per poi cambiarmi rapidamente.

— Dove vuoi andare?

Scrollai le spalle: — Nella mia epoca, nel 1891.

Il Morlock fece una smorfia: — E perduta nella molteplicità.

— Lo so. — Presi posto nella scialuppa temporale. — Comunque, addentriamoci nel futuro, e vediamo che cosa troviamo.

Lanciai un’ultima occhiata al mare paleocenico, pensando a Stubbins, ai Diatryma addomesticati, al riflesso del sole mattutino sulle onde… Sapevo di essermi approssimato alla felicità, in quel mondo: a una felicità che mi era sfuggita per tutta la vita. Però Hilary aveva ragione: non era sufficiente.

Provavo ancora un grande desiderio di casa: era un richiamo che mi giungeva sul Fiume del Tempo, e mi sembrava tanto forte quanto l’istinto che spinge i salmoni a risalire la corrente per riprodursi.

Tuttavia sapevo che, come aveva appena detto Nebogipfel, il mio 1891, la mia Richmond Hill, il mondo in cui mi ero trovato a mio agio, erano smarriti nella molteplicità fratturata.

Ebbene, decisi che, se non potevo tornare a casa, avrei continuato il viaggio, seguendo la strada del mutamento, sino a quando non avrebbe potuto condurmi oltre.

Il Morlock mi guardò: — Sei pronto?

In quel momento, pensai a Hilary. Tuttavia, non sono incline agli addii.

— Sono pronto.

Con una certa difficoltà, a causa della frattura che si era rinsaldata, ma non correttamente, Nebogipfel montò a bordo della scialuppa temporale. Senza cerimonie, si recò ai comandi e premette l’interruttore azzurro.

19

Luci nel cielo

Intravidi due persone, un uomo e una donna, entrambi nudi, che sembravano sfrecciare attraverso la spiaggia. Un’ombra cadde per un istante sulla macchina, gettata forse da uno degli animali immensi dell’epoca, poi iniziammo a muoverci troppo rapidamente perché tali dettagli continuassero ad essere percepibili. Così, precipitammo nel tumulto incolore del viaggio temporale.

Mentre il pesante sole paleocenico balzava attraverso il cielo, immaginai che la Terra, dal punto di vista della nostra traslazione attraverso il tempo, sarebbe parsa vorticare come una trottola sul suo asse, e al tempo stesso roteare intorno alla sua stella. Anche la luna era visibile come un disco sfrecciarne, oscurata dal guizzare delle sue fasi. In breve, il tragitto quotidiano del sole si trasformò in un arco argenteo che oscillava fra gli estremi equinoziali, mentre il giorno e la notte si fondevano nell’uniforme crepuscolo grigio-azzurro che ho già descritto.

I dipterocarps della foresta si scossero nell’alternarsi della crescita e della morte, scacciati dal rigoglio delle piante più giovani. Tuttavia il paesaggio circostante di foresta e di mare, trasformato in una pianura vetrosa per effetto dell’accelerazione temporale, rimase sostanzialmente statico. Perciò mi domandai se, nonostante tutti gli sforzi miei e di Nebogipfel, l’umanità avesse dopotutto fallito nella sua lotta per la sopravvivenza nel paleocene.

Senza preavviso, la foresta avvizzì e scomparve: fu come se un rivestimento di vegetazione fosse stato strappato dal suolo. Quest’ultimo, tuttavia, non rimase spoglio, bensì venne subito ricoperto da un insieme di blocchi marroni e grigi: gli edifici di Prima Londra. Espandendosi, la città invase le colline spoglie e scese fino al mare, dove si ramificò in moli e porti. Con un processo tanto rapido da risultare percepibile a stento, ogni singolo fabbricato rabbrividì e scomparve, tranne alcuni che durarono abbastanza a lungo, forse alcuni secoli, per diventare quasi opachi, come abbozzi. Il mare perse l’azzurro, mutandosi in una sorta di lenzuolo grigio sporco, mentre l’accelerazione temporale rendeva indistinguibili il movimento delle onde e il susseguirsi delle maree. Riscaldandosi, l’atmosfera assunse invece una sfumatura fosca, simile alla nebbia londinese degli anni Novanta del diciannovesimo secolo, che conferì al paesaggio una sorta di lurida luminosità crepuscolare.