— Stiamo attraversando una fase di eccesso d’ossigeno e di aumento della pressione al livello del mare — spiegò Nebogipfel. — Gli edifici, le piante, l’erba, persino la legna umida, bruciano spontaneamente in simili condizioni. Ma non durerà a lungo. È una transizione verso un nuovo equilibrio: è l’instabilità.
La temperatura precipitò, la regione assunse un gelido aspetto novembrino, e io mi avvolsi più strettamente nella leggera camicia tropicale. Ebbi l’impressione fugace di un pulsare bianco: le nevi e i ghiacci dell’inverno ricoprivano il suolo e si scioglievano con l’alternarsi delle stagioni. Poi il ghiaccio e il permafrost divennero perenni, senza più cedere ai cicli stagionali: tutto fu coperto da una superficie dura e grigio-bianca che aveva tutto l’aspetto di essere permanente.
Il paesaggio si trasformò. A occidente, a settentrione e a meridione, i contorni e i profili furono mascherati dallo strato di ghiaccio e di neve. A oriente, il nostro antico mare paleocenico si ritirò di alcune miglia, e la spiaggia ghiacciò, mentre lontano, a nord, un continuo luccichio bianco rivelava la presenza degli iceberg. Nell’atmosfera limpida, caratterizzata dalla luminosità perlacea che di solito si osservava nel cuore dell’inverno prima delle nevicate, potei rivedere, nel cielo, gli archi del sole e della luna verde.
Con le mani sotto le ascelle e con le gambe piegate, Nebogipfel si era tutto raccolto in se stesso. Quando gli toccai le spalle, scoprii che la sua pelle era gelida: sembrava che la sua essenza si fosse ritirata nel nucleo più caldo dell’organismo. La pelliccia, sul viso e sul petto, si era afflosciata e infittita come le penne di un uccello. La sua sofferenza mi suscitò una fitta di rimorso, perché, come forse ho lasciato intendere, mi consideravo, direttamente o indirettamente, responsabile dei patimenti che era costretto a sopportare.
— Suvvia, Nebogipfel… Abbiamo già attraversato le ere glaciali: è stata un’esperienza di gran lunga peggiore, e siamo sopravvissuti. Attraversiamo un millennio ogni due secondi. Di sicuro, fra non molto ci lasceremo alle spalle questo periodo, e il sole tornerà.
— Tu non capisci! — sibilò Nebogipfel.
— Che cosa?
— Questa non è semplicemente un’era glaciale. Non vedi? C’è una differenza qualitativa: l’instabilità… — Così dicendo, Nebogipfel chiuse nuovamente gli occhi.
— Che cosa intendi dire? Questo periodo durerà più a lungo che in precedenza? Centomila anni, forse? O mezzo milione? Insomma, quanto?
Il Morlock non rispose.
Con le braccia strette al busto, cercai di conservare il calore. Intanto, gli artigli del gelo affondarono maggiormente nella pelle della Terra, e lo spessore del ghiaccio aumentò, secolo dopo secolo, come una marea che crescesse lentamente. Il cielo illimpidì, e l’arco solare assunse una dura luminosità, apparentemente fredda. Ipotizzai che le ferite inflitte allo strato sottile dei gas che consentivano la vita stessero lentamente guarendo, giacché l’umanità non opprimeva più il pianeta. La Città Orbitale si librava ancora nel cielo, luminosa e inaccessibile, al di sopra della Terra gelata, priva di qualunque traccia di vita, e ancor meno di umanità.
Quando tale condizione durava ormai da un milione di anni, cominciai a sospettare la verità.
— Nebogipfel… Questa epoca glaciale… Non finirà mai, vero? Volgendo la testa, Nebogipfel mormorò qualcosa.
— Come? — Accostai un orecchio alla sua bocca. — Cos’hai detto? Il Morlock aveva gli occhi chiusi ed era privo di conoscenza.
Lo sollevai di peso dalla panca per posarlo sul fondo ligneo della scialuppa temporale, quindi mi sdraiai accanto a lui e lo abbracciai. Fu poco gradevole, perché il mio compagno, che sembrava un pezzo di carne macellata, mi fece sentire ancora più freddo, senza contare che fui costretto a reprimere il disgusto residuo che provavo nei confronti della razza morlock. In ogni modo, sopportai ogni cosa, nella speranza che il mio calore corporeo lo mantenesse in vita ancora per qualche tempo. Gli parlai e gli massaggiai le spalle e le braccia. Convinto che, se lo avessi lasciato privo di conoscenza, sarebbe scivolato nella morte senza rendersene conto, continuai così sino a quando riaprì gli occhi.
— Parlami dell’instabilità climatica.
Nel girare la testa, Nebogipfel mormorò: — A che serve? I tuoi amici della Nuova Umanità ci hanno uccisi…
— È semplice: preferisco sapere che cosa mi sta uccidendo. Insistendo per qualche tempo, persuasi finalmente Nebogipfel a cedere.
L’atmosfera terrestre, secondo la spiegazione del Morlock, era dinamica. Aveva soltanto due condizioni di stabilità naturali, nessuna delle quali poteva consentire la vita. Quando era troppo perturbata, cadeva appunto in una di tali condizioni, diversa e distante dalla stretta fascia di quelle che la vita poteva tollerare.
— Non capisco… Se l’atmosfera è instabile come dici, come mai si è mantenuta in una condizione favorevole alla vita per tanti milioni di anni?
L’evoluzione dell’atmosfera, spiegò allora Nebogipfel, era stata modificata enormemente dall’azione della vita medesima: — Esiste un equilibrio dei gas atmosferici, della temperatura e della pressione, che è ideale per la vita, e dunque la vita stessa opera inconsapevolmente in grandi cicli per mantenere tale equilibrio, coinvolgendo miliardi di organismi che svolgono ciecamente le loro funzioni. Tuttavia, questo equilibrio è intrinsecamente instabile. Capisci? È come una matita in equilibrio sulla punta: è perennemente sottoposta al rischio di cadere per effetto della minima perturbazione. — Nebogipfel girò la testa. — Noi Morlock abbiamo imparato che intromettersi nei cicli vitali è pericoloso, e che, se si sceglie di guastare i diversi meccanismi che mantengono la stabilità atmosferica, allora diventa necessario ripararli, oppure sostituirli. Purtroppo — aggiunse, con voce grave — i tuoi eroi della Nuova Umanità, che viaggiano verso le stelle, non hanno appreso queste semplici lezioni!
— Parlami delle due condizioni di stabilità, Morlock. Mi sembra, infatti, che stiamo per visitarne una.
Nella prima, letale condizione di stabilità, la superficie terrestre s’incendiava, spiegò Nebogipfel, e nell’atmosfera si addensavano nubi opache come quelle di Venere, che intrappolavano il calore solare. Tale strato di nubi, spesso alcune miglia, intercettava gran parte della luce, lasciando filtrare soltanto una fioca luminosità rossastra, talché dalla Terra non era più possibile vedere il sole, né le stelle, né i pianeti. I lampi guizzavano perennemente nell’atmosfera fosca, e il suolo incandescente era privo di vita.
— Sarà anche così — risposi, cercando di reprimere i tremiti, — ma rispetto a questo freddo maledetto, sembra una piacevole località di vacanza… E la seconda condizione di stabilità?
— La Terra Bianca. — Ciò detto, Nebogipfel chiuse gli occhi e rifiutò di continuare a parlare.
22
Abbandono e arrivo
Non so per quanto tempo giacemmo raggomitolati sul fondo della scialuppa temporale, aggrappandoci ai nostri frementi rimasugli di calore corporeo. Immaginai che fossimo le uniche schegge di vita rimaste sul pianeta, tranne, forse, qualche lichene particolarmente resistente, che aderiva alla superficie di qualche masso gelato.
Allorché lo scrollai, per tentare di fargli riprendere la conversazione, Nebogipfel mormorò: — Lasciami dormire…
— No — ribattei, con tutta la veemenza di cui fui capace. — I Morlock non dormono.
— Io sì. Sono stato troppo a lungo fra gli umani…
— Se ti addormenti, morirai. Nebogipfel… Credo che dovremmo fermare la scialuppa…