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Sebbene defunto, il mondo non era privo di tracce d’attività intelligente. Il paesaggio era trafitto da giganteschi edifici simili a quello in cui ci trovavamo, di semplice forma geometrica: cilindri, coni, cubi. Dall’altezza a cui mi trovavo, ne vidi a meridione e a occidente, sparsi fino a Battersea, Fulham, Mitcham, e oltre: a quanto potei giudicare, distavano mediamente un miglio l’uno dall’altro. Nell’insieme, la distesa ghiacciata, i Costruttori muti, gli edifici anonimi e sparpagliati, componevano una Londra tetra, desolata e inumana.

Quando tornai nella stanza adiacente alla mia cella, Nebogipfel stava ancora dinanzi al Costruttore. Dalla faccia argentea, che scintillava e s’increspava come la superficie di un lago inclinato in cui nuotassero pesci metallici, spuntò un tubo sfavillante dello stesso materiale, del diametro di alcuni centimetri, che si protese verso il volto in attesa del Morlock.

Era lo strumento ottico che avevo visto poco prima: in un istante, si adattò al cranio di Nebogipfel.

Girai intorno al Costruttore, per osservarlo meglio. Come ho detto, aveva l’aspetto di un mucchio di scorie fuse. Era animato e mobile, giacché lo avevo visto (o avevo veduto un suo simile), strisciare sul mio corpo. Eppure non riuscivo a immaginare neppure lontanamente quale fosse la sua funzione. La superficie era tutta coperta di ciglia metalliche ondeggianti, simili a limatura di ferro, che avevano tutto l’aspetto di essere attive e intelligenti. Nell’osservare la faccia pullulante, ebbi la sensazione esasperante che, per quanto mi sforzassi, la sua complessità microscopica sfuggisse ai miei occhi ormai vecchi. Il suo brulicare meccanico, che pure aveva qualcosa di vivo, risultava affascinante e, al tempo stesso, ripugnante. Non tentai di toccarla, perché non riuscivo a sopportare neppure l’idea che quelle ciglia formicolanti sfiorassero la mia pelle. Inoltre, non disponevo di strumenti per esaminarla, e tantomeno per studiarne la struttura.

L’attività particolarmente intensa lungo i bordi inferiori del Costruttore attirò la mia attenzione. Accosciandomi per osservare meglio, scoprii che minuscole colonie di ciglia metalliche, ciascuna delle quali era grande come una formica o persino più piccola, si staccavano perennemente dal corpo. Di solito sembravano dissolversi al contatto con il pavimento, indubbiamente perché si suddividevano in componenti microscopici che non potevo vedere. Talvolta, però, si allontanavano percorrendo il pavimento come formiche, verso destinazioni ignote. Allo stesso modo, altre colonie di ciglia spuntavano dal pavimento, si arrampicavano sul Costruttore, e vi si fondevano, diventandone parte integrante.

— È un fenomeno sbalorditivo — commentai. — Però non è difficile capirlo. I componenti si attaccano al Costruttore, oppure se ne staccano. allontanano strisciando sul pavimento, o magari volano via, per quanto ne so. Se sono difettosi muoiono, per così dire, oppure si uniscono alla carcassa scintillante di qualche altro Costruttore sfortunato. Dannazione! Il pianeta dev’essere coperto da uno strato sottile di ciglia staccate, che brulicano dappertutto! Fra un certo periodo di tempo, magari un secolo, non rimarrà nulla del corpo originale di questo mostro che vediamo qui: tutti i suoi pezzi, analoghi ai capelli, ai denti, agli occhi, se ne saranno andati a far visita ai suoi vicini!

— Non è una condizione unica — rispose Nebogipfel. — Anche nel tuo corpo, e nel mio, le cellule muoiono e si riformano continuamente.

— Forse. Ma anche così… Come può essere considerato questo Costruttore? È forse un individuo? Insomma, se compro un pennello, poi sostituisco il manico, e poi ancora le setole, posso forse dire che mi è rimasto lo stesso pennello?

Il Morlock rivolse l’occhio rosso-grigio al Costruttore, quindi, mentre il tubo metallico gli affondava nell’occhio con un rumore liquido, replicò: — Il Costruttore non è una macchina singola, come un veicolo a motore. È composto di molti milioni di micromacchine, che potresti considerare equivalenti agli arti. Sono disposte in maniera gerarchica, a partire da un corpo centrale, lungo numerosissime ramificazioni, come in un albero. I ramoscelli più piccoli, alla periferia, operano a livello molecolare o atomico: non puoi vederli.

— Ma a che cosa servono queste ramificazioni che sembrano insetti? Agiscono sugli atomi e sulle molecole, tuttavia… Perché? Sembra un’attività tediosa e improduttiva…

— Al contrario — rispose stancamente Nebogipfel. — Se si può operare al livello più fondamentale della materia, e se si dispone di tempo e di pazienza sufficienti, si può ottenere qualunque cosa. — Di nuovo, mi guardò. — Per esempio, senza la tecnica molecolare dei Costruttori, tu ed io non saremmo sopravvissuti alla prima esposizione al gelo della Terra Bianca.

— Che cosa intendi dire?

— Sei stato operato “chirurgicamente” a livello molecolare, dove il congelamento aveva inflitto i suoi danni…

In maniera orrendamente dettagliata, Nebogipfel spiegò che il congelamento aveva spaccato le pareti delle mie stesse cellule, nonché delle sue, e che nessuna tecnica chirurgica della mia epoca avrebbe mai potuto salvarmi. Invece, le micromacchine si erano staccate dal Costruttore e avevano viaggiato all’interno del mio organismo, riparando a livello molecolare le cellule danneggiate. Per dirlo in maniera spicciola, dopo avere attraversato il mio corpo, ne erano uscite per riunirsi al Costruttore.

In sostanza, ero stato ricostruito dall’interno da un esercito di brulicanti formiche metalliche, e così pure Nebogipfel.

Un gelo più intenso di quello che mi aveva accolto nella Terra Bianca mi fece rabbrividire. Quasi involontariamente, mi grattai le braccia come per purgarmi dell’infezione tecnica. — Ma una tale invasione è mostruosa — protestai. — Al pensiero di quelle minuscole macchine alacri che mi attraversano il corpo…

— Se ben capisco, avresti preferito i rozzi bisturi invasivi dei chirurghi della tua epoca…

— Forse no, ma…

— Ti rammento che tu, per contro, non sei stato capace neppure di aggiustarmi una frattura senza rendermi zoppo.

— Ma è diverso: non sono un medico!

— Immagini forse che questo essere lo sia? Comunque, se avresti preferito morire, si può senza dubbio rimediare…

— Naturalmente no! — Continuai a grattarmi, sapendo che sarebbe trascorso parecchio tempo prima che mi sentissi a mio agio nel corpo ricostruito. Tuttavia, trovai una goccia di conforto: — Almeno, i microarti del Costruttore sono soltanto macchine…

— Cosa vuoi dire?

— Non sono vive! Se lo fossero…

Liberatosi dallo strumento ottico, Nebogipfel si volse a fronteggiarmi, con l’orbita vuota scintillante di ciglia metalliche: — Sbagli. Queste strutture sono vive.

— Cosa?!

— Lo sono, secondo ogni definizione ragionevole del termine. Possono riprodursi. Possono modificare localmente la struttura ambientale. Possono subire trasformazioni interne indipendentemente dagli stimoli esterni. Dispongono di una memoria a cui possono accedere a volontà. E queste sono tutte caratteristiche della vita e dell’intelligenza. I Costruttori sono vivi e coscienti. Sono tanto coscienti quanto te o me: anzi, lo sono maggiormente.

— Ma è impossibile — obiettai, confuso. — Questa è una macchina — aggiunsi, indicando il Costruttore. — È artificiale.

— Non è la prima volta che dimostri di avere un’immaginazione limitata — ribatté severamente Nebogipfel. — Perché mai si dovrebbero imporre i limiti della struttura umana a un essere meccanico? Con la vita delle macchine…