Rividi lo scintillio perenne, come di una stella prigioniera, della regione più orientale della luna. Inizialmente avevo ipotizzato che fosse il riflesso del sole su un lago lunare, però era tanto costante che finii col convincermi che non fosse affatto casuale. Congetturai che si trattasse di un oggetto artificiale: uno specchio, magari installato sulla cima di qualche montagna lunare, in maniera tale da riflettere perennemente la luce sulla Terra. Forse era stato collocato lassù all’epoca in cui la degradazione atmosferica della Terra, pur non essendo ancora tale da indurre l’umanità all’esilio, era stata abbastanza grave da provocare il crollo delle civiltà sopravvissute.
Immaginai che gli abitanti della luna, discendenti dell’umanità, ossia i Seleniti, come li si sarebbe potuti chiamare, avessero assistito al progredire degli incendi immani che avevano devastato la superficie terrestre, e avessero capito che gli umani superstiti erano ricaduti nella barbarie, stavano regredendo a una condizione prerazionale, e vivevano come selvaggi, o forse persino come animali. Era possibile che anche i Seleniti avessero subito le conseguenze di tale regressione: forse la loro società era dipesa dalle risorse del pianeta madre.
Quantunque addolorati per i loro parenti terrestri, i Seleniti non erano stati in grado di raggiungerli, e così avevano fatto ricorso a un metodo di segnalazione: avevano costruito lo specchio immenso, che doveva essere largo almeno mezzo miglio, affinché fosse visibile dalla terra.
Forse avevano avuto intenzioni più ambiziose di quella di lanciare messaggi di sostegno dal cielo. Ad esempio, potevano avere fatto ricorso a qualcosa di simile alla telegrafia ottica per trasmettere informazioni agricole o tecniche: magari, il segreto perduto della macchina a vapore. Comunque, potevano avere concepito qualcosa di più utile di semplici auguri o incoraggiamenti.
Alla lunga, però, tutto si era rivelato inutile: la morsa della glaciazione si era stretta intorno al pianeta, l’umanità si era estinta poco a poco, e lo specchio gigantesco era stato abbandonato.
Queste, in ogni modo, furono soltanto le speculazioni a cui mi abbandonai guardando dalle finestre della torre. Non ebbi modo di verificarle, perché Nebogipfel non era in grado di apprendere nei dettagli la storia della Nuova Umanità. A prescindere da tutto ciò, lo scintillio dell’isolato specchio lunare divenne per me il simbolo, straordinariamente eloquente, del crollo dell’umanità.
La caratteristica più singolare del firmamento notturno, tuttavia, non era la luna, e non lo era neppure l’assenza delle stelle. Lo era invece quella sorta di ragnatela, grande dodici volte la luna, che avevo notato subito dopo il nostro arrivo. Era un disco sospeso nello spazio interplanetario, del diametro di parecchie miglia, simile a una ragnatela scintillante di gocce di rugiada rotolanti, percorsa da centinaia di ragni che strisciavano sui fili, in maniera lenta ma percettibile, evidentemente impegnati a irrobustirla e ad ampliarla.
Le prime ore del mattino, intorno alle tre, erano quelle in cui il disco di ragnatela era visibile più distintamente: allora potevo distinguere i fili luminosi, tenui, sottili e spettrali, che dall’altro emisfero salivano nell’atmosfera sino al disco medesimo.
Ne discussi con Nebogipfeclass="underline" — È assolutamente straordinario… Pare che quei raggi costituiscano una sorta di struttura luminosa che assicura il disco alla Terra: sembra una vela che, gonfiata da un vento spettrale, spinge il pianeta attraverso lo spazio.
— Il tuo linguaggio è pittoresco — rispose Nebogipfel — però coglie qualcosa dello spirito dell’impresa.
— Che cosa vuoi dire?
— Che è davvero una vela. Tuttavia, non spinge la Terra: piuttosto, è quest’ultima a produrre il vento che gonfia la vela.
Quella nave spaziale di nuovo genere, spiegò Nebogipfel, veniva costruita nello spazio perché era troppo fragile per poter essere lanciata dalla Terra. La vela era costituita essenzialmente da uno specchio, e il “vento” che la gonfiava era luce: le particelle luminose che cadevano sulla superficie dello specchio, infatti, producevano una forza propulsiva, allo stesso modo in cui le molecole d’aria creavano la brezza.
— Il “vento” deriva da raggi di luce coerente, generati da proiettori grandi come città — proseguì Nebogipfel. — I “fili” che uniscono il pianeta alla vela sono appunto questi raggi. La pressione della luce è piccola ma persistente, nonché di efficacia straordinaria nel trasmettere il moto, soprattutto quando ci si avvicina alla velocità della luce.
Immaginai che i Costruttori non avrebbero viaggiato come i passeggeri degli aeromobili della mia epoca, bensì si sarebbero smembrati, in maniera tale che i loro componenti potessero unirsi alla nave. Giunti a destinazione, si sarebbero riassemblati individualmente, assumendo la forma più adatta al mondo da visitare.
— Quale credi che sia la destinazione della nave spaziale? La luna, un pianeta, oppure…?
Con voce assolutamente neutra, Nebogipfel rispose: — Le stelle.
6
Il generatore di molteplicità
Durante gli esperimenti compiuti da Nebogipfel con il biliardo, si verificò più volte al centro del piano lo schiocco che avevo già notato, e in alcuni casi altre bocce, ossia altre copie dell’originale, apparvero dal nulla interferendo con la traiettoria. Talvolta la boccia, dopo la collisione, proseguì nel proprio tragitto senza deviazioni; talaltra deviò; e in un paio di occasioni si ripeté ciò che ho già descritto, cioè una boccia ferma fu spostata senza l’intervento mio o di Nebogipfel.
Tutto ciò rendeva il gioco molto divertente e molto interessante. Era evidente che succedeva qualcosa di enigmatico, ma io, per quanto osservassi e meditassi, non riuscii a capire, nonostante l’indizio del baluginio di plattnerite delle buche. Constatai soltanto che minore era la velocità della boccia, maggiore era la probabilità che subisse una deviazione.
Invece, Nebogipfel si entusiasmò sempre più. Tramite la connessione con il Costruttore paziente, s’immergeva di quando in quando nel Mare d’Informazioni, da cui riemergeva dopo avere pescato qualche nuova scheggia di conoscenza; poi, mormorando fra sé e sé nella sua oscura lingua aliena, correva al biliardo per verificarla.
Finalmente pronto a comunicare le proprie ipotesi, Nebogipfel mi chiamò, proprio mentre ero nella sauna. Dopo essermi asciugato con la camicia, mi affrettai a recarmi nella stanza da biliardo.
Tanto entusiasta come non ricordavo di averlo mai visto, Nebogipfel, con un rumore dei piedini sottili sul pavimento duro, si avvicinò quasi di corsa al biliardo: — Credo di avere capito — annunciò, trafelato — la funzione di questo tavolo.
— Ebbene?
— E… Come posso esprimermi? È poco più di un giocattolo con funzioni puramente dimostrative, però è un generatore di molteplicità. Capisci?
Sollevai e allargai le braccia: — Proprio per niente, temo.
— Ormai conosci il concetto della molteplicità della storia…
— Dovrei! È il fondamento della tua spiegazione delle ramificazioni della storia che abbiamo visitato. In ogni momento, ad ogni evento, la storia si biforca: l’ombra di una farfalla può cadere qui o là; il proiettile di un assassino può ferire lievemente la vittima, oppure conficcarsi nel cuore di un re con conseguenze fatali… Ad ogni possibile conseguenza, ad ogni evento, corrisponde una versione diversa della storia, e tutte queste storie sono reali. Se ben capisco, sono adiacenti l’una all’altra in una quarta dimensione, come le pagine di un libro.