Выбрать главу

Tuttavia Val Nira era stato protetto da forze invisibili e il resto della nave non aveva subito danni importanti. Egli trovò degli utensili che fiammeggiavano, ronzavano e rotavano, e ci diede un’idea di alcune delle operazioni per riparare la parte infranta. Ovviamente non avrebbe avuto problemi a completare il lavoro, e allora avrebbe potuto riprendere il volo se avesse avuto qualche pinta di argento vivo per far tornare a nuova vita il vascello.

Molte altre cose ci fece vedere nella stessa notte, cose di cui non parlerò perché non posso nemmeno ricordare chiaramente quelle stranezze, tanto meno quindi trovare le parole. Basti dire che Rovic, Froad e Zhean passarono alcune ore in quel luogo magico.

Anche Guzan lo fece. Sebbene egli vi fosse già stato portato, in quanto faceva parte della sua iniziazione, non gli era mai stato mostrato tanto prima d’allora, e tuttavia osservandolo notai in lui meno meraviglia che contentezza.

Nessun dubbio che Rovic se ne fosse accorto: c’erano poche cose che Rovic non teneva d’occhio. Quando abbandonammo la Nave il suo silenzio non era come il nostro, stupefatto; pensai allora vagamente che egli fosse occupato a prevedere quello che Guzan avrebbe cercato di fare, ma ora, guardandomi indietro, penso che fosse semplicemente la tristezza. È certo che per lungo tempo dopo che noi altri ci eravamo distesi sui nostri giacigli egli restò solo a guardare la nave nella luce di Tambur.

Etien mi scosse, destandomi nella gelida alba: — Su, ragazzo, su! dobbiamo darci da fare. Carica la pistola e prendi la spada.

— Cosa? Cosa succede? — Mi arrabattai con la coperta umida di brina. La notte era passata come un sogno.

— Il capitano non mi ha detto niente, ma di sicuro si aspetta dei guai. Vieni alla carretta e aiutaci a portare tutto a quella vostra torre volante. — La forma massiccia di Etien si sedette sui talloni, restandomi accanto ancora un istante. Quindi disse lentamente: — Per me, io credo che Guzan ha in testa di farci fuori tutti quanti, qui sulla montagna. Lui può obbligare un ufficiale e qualche marinaio ad andare con la Cerva d’oro a Giair e ritorno, ma il resto di noi lo impiccerebbe meno se avessimo tutti la gola tagliata.

Io mi lanciai avanti con i denti che mi battevano, facendomi rintronare la testa. Dopo essermi armato, presi qualcosa da mangiare. Gli hisagaziani quando viaggiano portano con sé del pesce essiccato e una sorta di pane fatto con una farina di erbe macinate. Solo il cielo sapeva quando avrei avuto di nuovo la possibilità di mangiare. Fui l’ultimo a raggiungere Rovic al carro, mentre gli indigeni si stavano indolentemente avvicinando a noi, non sapendo che cosa avessimo in mente di fare.

— Andiamo, amici — disse Rovic, e diede gli ordini: quattro uomini cominciarono a sospingere il carro verso la Nave che brillava emergendo dalla nebbia. Noi restammo colà, colle armi pronte. Guzan venne di scatto verso di noi, mentre Val Nira si svegliava penosamente. — Che cosa state facendo? — esclamò, mentre l’ira gli oscurava i lineamenti.

Rovic lo guardò calmo: — Signor mio, possiamo sostare qui qualche ora, guardando le meraviglie della Nave?

— Come! — lo interruppe Guzan. — Che cosa vuoi dire? Non hai visto abbastanza, per questa volta? Dobbiamo tornare indietro e prepararci a partire in cerca della pietra liquida!

— Va’ tu, se vuoi — replicò Rovic. — Io preferisco restare. Tu non ti fidi di me: ebbene, la cosa è reciproca. I miei uomini resteranno nella Nave e se è necessario la difenderanno.

Guzan imprecò furiosamente, ma Rovic lo ignorò. Gli uomini continuarono a spingere il carro su per l’erto pendìo. Guzan fece un segnale ai suoi guerrieri, i quali cominciarono ad avanzare disordinatamente. Etien gridò un comando e noi ci allineammo, colle alabarde puntate e i moschetti pronti a sparare.

Guzan indietreggiò rapido: gli avevamo già mostrato, sulla sua isola, l’efficacia delle armi da fuoco, e senza dubbio, pur potendoci schiacciare colla forza del numero, avrebbe pagato duramente. Rovic brontolò: — Non c’è motivo di combattere, no? Io sto semplicemente prendendo delle precauzioni: la Nave ha un valore inestimabile, può portare il Paradiso a tutti gli uomini… o il dominio su questo mondo a uno solo. Ve ne sono che preferirebbero la seconda possibilità. Io non ti accuso di essere fra questi, tuttavia per prudenza preferirei tenere la Nave come mio ostaggio e fortezza, fin che mi piaccia di restarmene qui.

Credo di essermi reso conto proprio allora delle reali intenzioni di Guzan e non per deduzione, ma per quello che accadde: perché, se realmente egli avesse inteso raggiungere le stelle, là sua unica cura sarebbe stata di salvaguardare la Nave, e non sarebbe tornato indietro, non avrebbe afferrato colle sue grosse mani il piccolo Val Nira, portandolo poi verso di noi come uno scudo contro il nostro fuoco. Il furore gli alterava il volto tatuato. Ci gridò: — Bene, allora! Anch’io prenderò un ostaggio, e adesso andate pure al vostro rifugio!

Gl’indigeni si movevano, agitando lance e scuri, ma non si preparavano a seguirci, così riprendemmo la via sul nero pendio. Froad, l’astrologo, si torse la barba e disse: — Poveri noi, signore, ci stringeranno d’assedio?

— Non consiglierei ad alcuno d’avventurarsi solo fuori di qui — rispose Rovic seccamente.

— Ma se Val Nira non ci spiega ogni cosa, che utile avremo a restar nella nave? È meglio tornare indietro. Io devo consultare dei testi matematici… Ho il pensiero fisso alla legge che muove i pianeti roteanti in cielo… Devo chiedere all’uomo del Paradiso che cosa egli conosca di…

Rovic lo interruppe ordinando rudemente a tre uomini di aiutare a sollevare una ruota bloccata fra due pietre. Era selvaggiamente incollerito e io confesso che la sua azione mi sembrava priva di senso: se infatti Guzan intendesse tenderci un’imboscata, chiudendoci nella Nave avremmo guadagnato ben poco, perché egli avrebbe potuto prenderci per fame, là dentro. Era meglio lasciarlo attaccare all’aperto, dove avremmo avuto la possibilità di aprirci una via combattendo. E d’altra parte, se Guzan non avesse affatto avuto l’intenzione di aggredirci nella foresta o altrove, la nostra era un’insensata provocazione. Ma non osai por domande.

Quando ebbimo condotto il carro fino alla Nave, la passerella discese nuovamente verso di noi, facendo fare un balzo ai marinai, che imprecarono. Rovic si costrinse a uscire dalla sua amarezza e parlò, tranquillizzandoli: — Calma, amici. Io sono già stato a bordo, potete montare anche voi, non c’è nessun pericolo. Adesso dobbiamo caricare la polvere, e stivarla come vi dirò.

Essendo di non forte corporatura, non fui incaricato di trasportare i pesanti barili, ma fui destinato a star in guardia in fondo alla passerella. Eravamo troppo lontani per distinguere le parole degli hisagaziani, ma potei vedere come Guzan, montato su un masso, arringasse i suoi guerrieri che gridavano agitando le loro armi alla nostra volta. Tuttavia non osavano attaccarci. Mi chiedevo, depresso, a cosa avrebbe menato tutto ciò: se Rovic aveva previsto che saremmo stati assediati, questo spiegava come mai avessimo portato con noi tanta polvere da sparo… No, non lo spiegava affatto, perché c’era abbastanza polvere da permettere a una dozzina di uomini di sparare per una settimana, se avessimo avuto abbastanza piombo… mentre le nostre riserve di cibo erano praticamente finite. Alzai gli occhi alle nubi velenose del vulcano, a Tambur percorso da tempeste che avrebbero potuto inghiottire nei loro vortici il nostro mondo intiero e mi chiesi quali demoni mirassero di là alla conquista dell’umana specie.

Fui messo all’erta da un grido indignato che proveniva dall’interno della Nave: Froad! D’istinto ero già quasi balzato in cima alla passerella, ma poi ricordai il mio dovere. Udii Rovic ruggire di star fermo e poi ordinare agli uomini di continuare il carico. Quindi Froad e Rovic probabilmente si ritirarono nella cabina del pilota per un’ora o più, a parlare, e quando il vecchio astrologo uscì non protestava più. Mentre discendeva lungo la passerella, lo vidi piangere.