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Vide che i figli si trattenevano a stento dall’esprimere la loro opinione, e proseguì: «Mi accompagneranno solo alcuni robot: se entro un’ora e mezzo da quando sarò entrato in quella casa non riceverete mie notizie, siete autorizzati a seguirmi, e se vi impediranno di raggiungermi, risponderete con le armi. Ma non credo che succederà niente. Però vi avverto che se qualcuno vorrà seguirmi prima del tempo stabilito, verrà messo a morte».

Quando ebbe finito di parlare, tornò a fissare tutti uno per uno. Sapeva che quello era un momento critico. Se ne avessero avuto il coraggio, avrebbero potuto convenire fra loro che era impazzito, e deporlo. Un fatto simile si era già verificato molte volte, in altre famiglie. Potevano privarlo del comando, e riprogrammare i robot in modo che prendessero ordini da loro invece che da lui, e poi confinarlo nei suoi appartamenti privati. Aveva dato prove sufficienti della propria irresponsabilità perché loro agissero in questo modo, invece non mossero un dito. Non ne ebbero il coraggio. Lui era il capo della casata, e la sua parola era legge. Sedevano, pallidi, scossi e turbati, e lo seguirono muti con lo sguardo mentre usciva dalla sala nella sua poltrona a rotelle.

Dopo un’ora, era pronto a partire. L’inverno era giunto al quarto dei suoi sette mesi, e Michael Holt non aveva più messo il naso fuori di casa da quando era caduta la prima neve. Ma non aveva nulla da temere, perché non sarebbe venuto a contatto con l’aria gelida della pianura. Salì sulla vettura personale nell’interno della casa, e la macchina uscì dalla zona delle istallazioni difensive e si inoltrò, piccola macchia scura, sulla sterminata distesa di neve. Otto robot accompagnavano il loro Signore: bastavano per fronteggiare qualsiasi evenienza.

Attraverso uno schermo istallato nella vettura, Holt poté vedere quello che stava succedendo nel frattempo nel Maniero McDermott. I robot uscivano simili a una schiera di formiche nere, varcando l’enorme cancello, diretti verso est. Holt li seguì con lo sguardo, finché l’ultimo non fu scomparso in lontananza. Un robot mandato in perlustrazione gli riferì poco dopo che stavano per raggiungere il fiume.

La vettura percorreva un miglio dopo l’altro di quella distesa uniforme, interrotta solo dai tronchi contorti degli alberi spogli. Sotto la spessa coltre di neve giaceva la terra fertile che in primavera si sarebbe ammantata di verde. Gli alberi avrebbero messo le foglie, nascondendo parzialmente la vista del Maniero McDermott. In inverno, invece quell’orrenda costruzione color rame, spiccava in tutta la sua bruttezza, ed era soprattutto per questo che Holt non poteva soffrire l’inverno.

«Stiamo per avvicinarci al confine, signore» lo avvertì uno dei robot.

«Spara un colpo per accertarti che gli schermi siano ancora abbassati.»

«Devo mirare alla casa?»

«No, basta un albero.»

Poco dopo, un grosso tronco nodoso, davanti al Maniero McDermott, s’incenerì, dopo una brevissima vampata.

«Gli schermi sono sempre abbassati» riferì il robot.

«Bene, varchiamo pure il confine.»

Si abbandonò sui cuscini dello schienale, mentre la vettura riprendeva la marcia per uscire dalle terre di Holt ed entrare in quelle di McDermott.

Quando varcarono il confine, non accadde nulla: McDermott doveva aver tolto anche i rivelatori elettronici. Holt strinse forte le mani sudate; ora più che mai sentiva di essersi lasciato attirare in trappola. Ormai non poteva più tornare indietro, aveva attraversato il confine e si trovava nelle terre di McDermott. Meglio morire da eroe, pensò, che vivere da codardo.

Non aveva mai visto così da vicino il Maniero McDermott, prima di allora. Appena l’aveva costruito, McDermott l’aveva invitato, ma lui, inutile dirlo, aveva declinato l’invito, solo fra tutti i Signori del pianeta. Del resto, lasciava molto di rado la sua proprietà, perché c’erano ben pochi posti in cui andare, dato che la zona temperata del pianeta era stata suddivisa in cinquanta grandi proprietà private. Le rare volte in cui Holt aveva voglia di vedere qualcuno degli altri Signori, lo faceva attraverso lo schermo; altre volte, qualcuno di loro andava a fargli visita.

Ora gli pareva molto strano che, avendo finalmente deciso di recarsi in visita da qualcuno, dovesse andare proprio da McDermott.

Più si avvicinava alla casa, più era costretto ad ammettere, anche se con riluttanza, che era meno brutta di quanto non gli sembrasse e vederla dal suo Maniero. Il corpo centrale dell’edificio era enorme, e sormontato da una torre ottagonale che si ergeva all’estremità nord, alta almeno cinquecento metri e fatta di metallo. Vista da vicino, era tutt’altro che brutta.

«Siamo all’interno del perimetro difensivo» lo avvertì un robot.

«Andiamo avanti.»

I robot parevano preoccupati, ed era naturale: non erano costruiti in modo da poter provare emozioni profonde, né tantomeno dimostrarle, tuttavia nel loro comportamento c’era un’inquietudine che non sfuggiva a Holt. Non capivano quello che stava accadendo: sapevano che la loro venuta non costituiva un’invasione armata in territorio nemico, ma sapevano anche che non si trattava di una visita amichevole… Ma, pensava Holt, non erano i soli ad essere perplessi e turbati in quel momento. Si abbandonò con un sospiro nervoso sui cuscini, mentre la vettura proseguiva veloce.

4

A un centinaio di metri dall’immenso cancello del Maniero McDermott, i battenti si spalancarono, e Holt chiamò McDermott per dirgli: «Lascia aperto il cancello finché io resterò qui. Se si chiudesse, saranno guai per te».

«Non preoccuparti» replicò l’altro. «Non voglio giocarti nessun tiro.»

La vettura di Holt varcò il cancello: ora era più che mai alla mercé del suo nemico. Quando raggiunsero lo spiazzo destinato alla sosta delle macchine, McDermott domandò: «Vuoi che provveda a chiudere lo spiazzo?».

«No, tienilo aperto» replicò pronto Holt. «Non mi preoccupo per il freddo.»

La vettura si fermò, e i robot l’aiutarono a scendere. Holt rabbrividì nell’aria gelida, ma fu questione di qualche istante, perché subito dopo varcò la soglia del Maniero, seguito dai suoi robot.

«Sono al terzo piano della torre» lo avvertì la voce di McDermott da un altoparlante. «Se non avessi mandato via tutti i robot, te ne avrei mandato uno a farti da guida.»

«Potresti mandare un membro della tua famiglia» disse pronto Holt.

McDermott ignorò la proposta e si limitò ad aggiungere: «Continua a seguire il corridoio fino alla svolta, oltrepassa la sala d’armi; in fondo c’è un ascensore».

Holt e i suoi robot avanzarono nelle sale silenziose. Il Maniero pareva un museo. Il corridoio dall’alto soffitto a volta era fiancheggiato da statue ed altre opere d’arte, tutte dall’aspetto trascurato e decadente. Com’era possibile vivere in una simile tomba? Holt attraversò una sala adorna di antiche armature, di cui non poté far a meno di calcolare mentalmente il costo, infatti tutte quelle inutili cianfrusaglie provenivano dalla Terra che distava molti anni-luce.

Finalmente, raggiunsero l’ascensore e vi entrarono, diretti verso la torre che Holt aveva odiato per tanti anni. Di tanto in tanto, McDermott dava loro qualche indicazione attraverso gli altoparlanti.

Attraversarono una lunga sala dalle pareti rivestite di tappezzeria cupa, ravvivata dai bagliori del pavimento di onice, per entrare poi, attraverso una stretta apertura, in una stanza ovale piena di finestre, in cui aleggiava un disgustoso odore di morte e decadimento.

Andrew McDermott era installato al centro della stanza, dentro al suo bagno vitale e circondato da un groviglio di cavi e tubi. Di lui, si notavano solo gli occhi, che brillavano come carboni ardenti nel viso devastato.

«Sono lieto che tu sia venuto» disse. La sua voce, grazie agli amplificatori elettronici, era stata finora chiara e forte, ma adesso, al naturale, suonava flebile come il fruscio d’una piuma che volteggiava nel vento.