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Bel tornò da Dubauer, che attendeva in silenzio su un lato della stanza stringendosi nervosamente le mani, e gli disse:

— Posso scortarla personalmente a bordo dell’Idris, così potrà effettuare gli interventi sui replicatori non appena il Lord Ispettore avrà finito di parlare con i passeggeri.

— Io ho finito — gli confermò Miles, dando un’occhiata al suo crono da polso. Ce l’avrebbe fatta a incontrare Ekaterin per pranzo? Era già tardi, ma se sua moglie si era attardata nella serra dei vegetali quad, probabilmente potevano ancora vedersi.

I tre uscirono dalla sala conferenze e salirono sulla scalinata che portava all’atrio. Miles e Bel, dopo anni e anni di sgradevoli esperienze, sapevano che prima di entrare in un nuovo ambiente dovevano verificare se non ci fossero pericoli: qualsiasi nascondiglio poteva celare un cecchino. E fu così che entrambi, contemporaneamente, videro una figura sulla balconata che impugnava uno strano oggetto. Dubauer seguì il loro sguardo, e i suoi occhi si dilatarono di stupore.

La loro reazione fu immediata: afferrarono insieme le braccia del betano e si buttarono a terra, mentre sulle loro teste passava un nugolo di scintille subito seguite da un’esplosione. Nel cadere Dubauer si ferì a una guancia dalla quale sgorgò del sangue, ma non era il momento di guardarlo, perché sulle loro teste passò qualcosa che faceva il rumore di uno sciame di api furiose. Tutti e tre rotolarono sui loro corpi, andando a mettersi al riparo dietro delle colonne di marmo. Lo sciame sembrò seguirli; schegge di vetro esplosero in tutte le direzioni, e frammenti di marmo si aprirono attorno a loro come il getto di una fontana. Una potente vibrazione si propagò per la stanza, scuotendo l’aria, mentre da ogni parte si levavano urla e grida.

Miles tentò di alzare la testa per vedere cosa stesse succedendo, ma venne schiacciato a terra da Bel che, scavalcando il betano, atterrò su di lui con una presa soffocante. Quello che accadde poi, Miles poté solo udirlo: tra le urla, percepì un tonfo pesante.

Subito dopo sentì la voce di una donna che piangeva e singhiozzava nell’improvviso silenzio, e che poi si smorzava in singulti.

CAPITOLO OTTAVO

Miles era talmente schiacciato dal peso di Bel, che con voce soffocata ebbe appena la forza di dirgli: — Bel, adesso togliti di dosso.

Bel prontamente rotolò via e si alzò in piedi. — Scusa — borbottò. — Per un momento ho creduto di essere sul punto di perderti. Un’altra volta!

— Non scusarti. — Miles, con il cuore che ancora batteva impazzito e la bocca secca, si mise a sedere appoggiato con la schiena alla colonna di marmo danneggiata, e per tenersi diritto allargò le dita sulla fredda pietra sotto di lui. Al di là dell’arco irregolare protetto dalle colonne, si vedevano dozzine di profonde incisioni nel pavimento. Un oggetto piccolo e lucente rotolò lì vicino: Miles tese la mano per prenderlo, ma la ritirò subito sentendolo rovente.

Anche l’anziano ermafrodita, Dubauer, si era alzato, e si toccava con una mano il viso da cui colava del sangue. Miles fece un rapido esame: nessun’altra ferita, a quanto pareva. Si tolse dalla tasca un fazzoletto con ricamato il monogramma dei Vorkosigan, e lo porse silenziosamente al betano sanguinante che si tamponò la ferita.

In un certo senso, pensò Miles, l’incidente era lusinghiero. Almeno qualcuno aveva concluso che lui fosse abbastanza intelligente e preparato da risultare pericoloso. Ma mi chiedo chi diavolo fosse.

Bel posò le mani sul bordo scheggiato della colonna, e facendo capolino guardò al di là cautamente, poi si alzò. In quel momento, un terricolo con l’uniforme dell’albergo arrivò di corsa, e chiese con voce strozzata: — State tutti bene?

— Penso di sì — rispose Bel, guardandosi intorno. — Che cosa è stato?

— Veniva dalla balconata, signore. C’era una persona là sopra che ha sparato ed è fuggita. Il portiere gli è corso dietro per un po’ ma lui è riuscito a eclissarsi.

Bel era ancora troppo scosso per correggere quel ’signore’. Anche Miles si alzò in piedi, e respirando profondamente, avanzò al di là del provvidenziale riparo, calpestando una miscela scricchiolante di palline di vetro scheggiate, frammenti di marmo, pezzi di ottone mezzi fusi. Bel lo seguì fin davanti a un oggetto oblungo che giaceva a terra, ed entrambi s’inginocchiarono per esaminarlo.

— Ma questo è un rivettatore automatico — disse Bel dopo un momento. — Quell’uomo deve avere disattivato tutti i suoi sistemi di sicurezza per fargli fare una cosa del genere.

Era voler davvero minimizzare le cose. Ma spiegava come mai la mira del loro assalitore fosse tanto incerta. Lo strumento era stato progettato per sparare i rivetti con grande precisione, ma a una distanza di millimetri, non di metri. Eppure… se quell’assassino fosse riuscito a centrare la testa di Miles con una sola scarica… Miles guardò di nuovo le colonne di marmo devastate… questa volta nessuna procedura di criogenia avrebbe mai potuto riportarlo indietro.

Santo cielo… e se non avesse sbagliato? Che cosa avrebbe fatto Ekaterin, così lontana da casa, ritrovandosi con un marito decapitato prima ancora che fosse finita la luna di miele? Se hanno sparato a me può essere in pericolo anche lei?

Travolto da un improvviso panico, diede un colpo al comunicatore da polso. — Roic! Roic, rispondi!

Passarono almeno tre strazianti secondi prima che Roic rispondesse: — Milord?

— Dove sei?… no, non importa. Lascia qualunque cosa tu stia facendo e vai da Lady Vorkosigan, e resta con lei. Riportala a bordo… — Si fermò prima di dire della Kestrel. Sarebbe stata al sicuro, lì? A quel punto, un bel po’ di gente doveva già sapere dove trovare un Vorkosigan. Forse l’unico posto sicuro sarebbe stato a bordo della Prince Xav, magari a distanza di sicurezza dalla Stazione, e circondata da truppe… La migliore gioventù di Barrayar, che il cielo ci protegga… — No, rimani lì fino a che non ti richiamo.

— Milord, ma che succede?

— Qualcuno ha cercato di rivettarmi al muro. No, non venire qui — soffocò la nascente protesta di Roic. — Il tizio è scappato, e sta già arrivando la polizia quad.

Due quad in uniforme su flottanti stavano entrando nell’atrio proprio mentre parlava. Diretto dal gesticolare dell’impiegato dell’albergo, uno di loro fluttuò agilmente sopra la balconata; l’altro si avvicinò a Miles.

— Ora devo sbrigarmela con questa gente — concluse Miles. — Non allarmare Ekaterin, ma non perderla di vista. Chiudo.

Alzò gli occhi e vide Dubauer che si raddrizzava con il volto molto tirato. L’ermafrodita, con la mano ancora premuta sulla guancia, era visibilmente scosso. Miles si voltò verso di lui: — Le mie scuse, onorevole erm. Avrei dovuto avvertirla di non stare troppo vicino a me.

Dubauer per un attimo schiuse le labbra, stupito. — Credo che voi due onorevoli persone mi abbiate appena salvato la vita. Ma cos’è che mi ha colpito?

Miles allora capì che non si era ferito cadendo a terra. Si chinò e raccolse un rivetto, tra le centinaia sparsi tutto in giro. — Uno di questi. Sanguina ancora?

L’ermafrodita tolse il fazzoletto dalla guancia. — No, credo di no.

— Ecco, lo tenga come souvenir. — Gli porse il piccolo proiettile d’ottone. — Ma vorrei il mio fazzoletto. — Ekaterin lo aveva ricamato a mano proprio per lui.

— Oh… — Dubauer ripiegò il fazzoletto per coprire la macchia di sangue. — Oh, certo, e molte grazie. Lo farò pulire e glielo farò riavere.

— Non è necessario, onorevole erm. Ci penserà il mio personale.

Il betano tentò un cortese rifiuto. — Oh, no… la prego.