— E perché proprio me?
— Be’, non lo so. A quante persone può dare fastidio un portomastro nell’espletamento delle sue funzioni? — Si guardò attorno; Nicol era troppo lontana per sentirli; galleggiava accanto a Ekaterin, con cui era impegnata in un animato scambio di bisbigli. — Non è che ti porti a letto la moglie di qualcuno, vero? O il marito? — aggiunse coscienziosamente. — O la figlia, o quello che vuoi.
— No — rispose Bel prontamente. — E ho lasciato in pace anche i loro animali da compagnia. Che bella visione barrayarana hai delle motivazioni umane, Miles!
Miles sorrise. — Scusami. E per quanto riguarda… le vecchie questioni?
Bel sospirò. — Sono certo di essere finito troppo lontano e di avere vissuto troppo a lungo perché le vecchie questioni possano venire a cercarmi. — Gettò un’occhiata obliqua a Miles. E dopo avere riflettuto un momento: — E comunque tu saresti più in prima linea di me, anche per quelle faccende.
— Forse. — Miles si accigliò. E poi c’era Dubauer. Anche quell’ermafrodita avrebbe potuto essere un bersaglio. Ma come diavolo poteva un anziano betano che commerciava in embrioni di animali, e aveva passato la maggior parte del suo tempo sulla Stazione Graf, chiuso in una stanza d’albergo, aver irritato un quad al punto da fargli saltare la testa?
Ci sono troppe cose misteriose, dannazione.
Era arrivato il momento di procurarsi dei dati concreti.
CAPITOLO NONO
Il pilota quad scelto da Bel arrivò per accompagnare Ekaterin, scortato anche da un paio di guardie dalla faccia severa della Milizia dell’Unione. Miles guardò la moglie con una certa angoscia, quando lei si voltò verso di lui, mentre usciva dall’albergo. Miles si toccò con un gesto d’intesa il polso; Ekaterin in risposta sollevò leggermente il braccio sinistro con il comunicatore.
Dal momento che dovevano recarsi sull’Idris, Bel approfittò della cosa per avvertire Dubauer di scendere dalla sua camera, così sarebbero andati insieme.
L’ermafrodita arrivò subito; aveva medicato la guancia con una applicazione di colla chirurgica. Il timido, aggraziato erm sembrava avere riguadagnato il controllo di sé, e mormorò parole di ringraziamento a Bel per essersi ricordato delle necessità delle sue creature, nonostante tutto quello che era successo.
Il piccolo gruppo camminò o fluttuò dietro il portomastro Thorne attraverso condotti normalmente non aperti al pubblico, fino ai magazzini e alle zone di carico riservati al commercio galattico. Nell’Idris, attraccata saldamente alla sua culla d’ormeggio, c’era un buio silenzioso, ed era deserta tranne che per due guardie della Stazione Graf che sorvegliavano i portelli della nave.
Bel presentò la sua autorizzazione, e le due guardie fluttuarono di lato per consentirgli l’accesso. Il portello dell’ampio accesso di carico scivolò verso l’alto e, lasciata la scorta della Milizia dell’Unione a sorvegliare l’ingresso, Miles, Roic e Dubauer seguirono Bel a bordo della nave.
L’Idris, come la nave gemella Rudra, era costruita secondo un progetto funzionale che non badava all’eleganza. Era sostanzialmente un fascio di sette enormi cilindri paralleli: quello centrale riservato al personale, quattro di quelli esterni al carico, e i due rimanenti, sui lati opposti, ospitavano le barre di Necklin, che generavano il campo necessario a spingere la nave attraverso i punti di salto. Dietro si trovavano i motori per lo spazio normale, e davanti i generatori dello scudo di massa. La nave poteva ruotare sul suo asse in modo da allineare ciascuno dei cilindri esterni con il portello della Stazione, per il carico o scarico automatizzato dei contenitori, o la movimentazione manuale di carichi delicati. Il progetto offriva anche un certo margine di sicurezza, perché in caso di perdita di pressurizzazione in uno o più cilindri, ciascuno degli altri poteva servire da rifugio temporaneo in attesa delle riparazioni o dell’evacuazione.
Mentre s’inoltravano all’interno della nave, Miles si guardava attorno per esaminare l’intera lunghezza del corridoio di accesso che in fondo spariva nelle tenebre. Attraverso un portello stagno passarono in un piccolo vano che si trovava nella parte anteriore del cilindro centrale della nave. Da una parte c’erano le cabine dei passeggeri; nell’altra quelle del personale e gli uffici. Tubi ascensore e un paio di rampe di scale portavano in alto, verso i livelli dove c’erano la mensa, l’infermeria e i locali per la ricreazione, e verso il basso, nella sezione motori.
Roic diede un’occhiata alla mappa che si era opportunamente procurata e indicò: — L’ufficio di Solian è da quella parte, Milord.
— Io accompagno Dubauer al suo gregge — disse Bel — e poi vi raggiungerò. — Dubauer eseguì un altro dei suoi piccoli inchini a metà, e i due ermafroditi sparirono al di là del portello che portava a una delle sezioni di carico.
Superato un secondo condotto di collegamento, Roic contò le porte e inserì un codice attraverso la tastiera di un ingresso verso poppa. La porta dell’ufficio scivolò di lato e la luce si accese, rivelando un ambiente piccolo e ben ordinato, che conteneva poco più di un’interfaccia del computer e due sedie, oltre ad alcuni armadietti chiusi a chiave. Miles accese l’interfaccia mentre Roic provvedeva a fare un rapido inventario del contenuto degli armadietti. Tutte le armi e le munizioni erano al loro posto, tutto l’equipaggiamento di sicurezza conservato accuratamente. Nell’ufficio non c’erano effetti personali, nessun video di una ragazza lasciata a casa, niente vignette, politiche o no, incollate all’interno delle porte degli armadietti. Ma gli investigatori di Brun erano già passati di lì, dopo la scomparsa di Solian, prima che la nave venisse evacuata dai quad dopo lo scontro con i barrayarani; Miles prese nota che doveva chiedere se Brun, o Venn, avessero portato via qualcosa.
I codici di Roic sbloccarono subito tutti i documenti di Solian. Miles cominciò a esaminare le registrazioni dell’ultimo turno di servizio del guardiamarina. I suoi rapporti giornalieri erano laconici, ripetitivi, e privi in modo deludente di qualsiasi commento e di possibili indizi che potessero essere messi in relazione con la sua scomparsa. Miles si chiese se stesse ascoltando la voce di un morto, ma dal tono della voce ebbe l’impressione che l’ufficiale esternasse una specie di presentimento. L’inquietante silenzio della nave incoraggiava l’immaginazione.
Mentre la nave era attraccata, il suo sistema di sicurezza continuava a effettuare la registrazione video di tutti e tutto ciò che entrava o usciva dai portelli, era una precauzione automatica destinata a scoraggiare i furti o i sabotaggi. Passare in rassegna tutti i movimenti avvenuti nei dieci giorni precedenti al sequestro della nave sarebbe stato un compito ingrato, anche con l’avanzamento veloce. Senza tener conto della possibilità che le registrazioni potevano essere state alterate o cancellate, come Brun sospettava che Solian avesse fatto per coprire la sua diserzione.
Miles eseguì delle copie di tutto ciò che gli sembrava anche solo vagamente pertinente, in modo da poterle esaminare in seguito con più comodo, poi lui e Roic andarono a vedere la cabina personale di Solian, che si trovava pochi metri più in là. Anche quella era piccola, spoglia e non rivelò nulla d’interessante. Non era possibile indovinare quali oggetti personali Solian potesse avere riposto in una borsa, ma di certo non ne restavano molti. La nave aveva lasciato Komarr da sei settimane, e prima di attraccare lì, era stata in almeno una dozzina di altri porti. Siccome la Sicurezza era impegnata soprattutto quando la nave era in porto, forse Solian non aveva avuto tempo di scendere per comprarsi souvenir.