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— Be’, ero già a metà della piazza, Milord. Era molto meno pericoloso saltargli addosso che voltarsi e scappare. Comunque avrebbe avuto tutto il tempo per prendermi di mira.

— Ma così facendo non gli hai dato il tempo di prendere di mira un’altra dozzina di persone presenti. Un’arma ad aghi automatica è un brutto affare. — Miles annuì brevemente.

— Un’arma sporca, Milord.

Nonostante la sua stazza, Roic tendeva a farsi prendere dalla timidezza in presenza di qualcuno di classe superiore, il che purtroppo accadeva quasi sempre al servizio dei Vorkosigan. Ma siccome la timidezza si presentava in superficie come stolidità, generalmente passava inosservata.

— Sei un armiere Vorkosigan — affermò Miles con fermezza. — Lo spirito del generale Piotr è intessuto nella tua uniforme, e sarai tu a impressionare loro.

Il rapido sorriso con cui Roic accettò quelle parole fu più frutto della gratitudine che della convinzione. — Vorrei tanto avere incontrato suo nonno, Milord. Dalle storie che raccontano su di lui, doveva essere un grand’uomo. Mia madre dice che il mio bisnonno lo ha servito sulle montagne durante l’occupazione cetagandana.

— Ah! E ti ha raccontato qualche storia su di lui?

Roic scrollò le spalle. — Mi ha detto soltanto che è morto per le radiazioni dopo la distruzione di Vorkosigan Vashnoi. Però anche lei non ne sapeva molto di più.

— Peccato.

Al termine del corridoio apparve il tenente Smolyani che si mise alla testa del gruppetto. — Siamo agganciati alla Prince Xav, Lord Ispettore Vorkosigan. Il collegamento di trasferimento è già pronto per riceverla a bordo.

— Molto bene, tenente.

Miles seguì Roic, il quale dovette chinare la testa per passare oltre la soglia ovale, nello spazio angusto del cunicolo. Smolyani andò a mettersi ai controlli del portello che emetteva ronzii, e su cui s’illuminavano intermittenti spie colorate. Il portello si aprì, rivelando la camera stagna e, più oltre, il condotto flessibile di trasferimento. Miles fece un cenno a Roic che, preso un abbondante respiro, avanzò nel passaggio. Smolyani eseguì un saluto e Miles rispose con un cenno del capo. — Grazie, tenente. — Poi seguì Roic.

Superarono il tratto a gravità zero nel condotto flessibile, che fu sufficiente a sconvolgere lo stomaco di tutti, e arrivarono al portello dell’altra camera di compensazione. Quando quello dell’astronave si chiuse alle loro spalle, Miles entrò nel largo ambiente della nave. Roic torreggiava con aria impettita, aspettando il suo turno.

Tre uomini in uniforme verde e un civile li accolsero rigidi sull’attenti. Nessuno di loro mutò espressione al vedere il fisico poco barrayarano di Miles. Presumibilmente Vorpatril, che Miles ricordava vagamente di avere incontrato un paio di volte nella capitale, Vorbarr Sultana, aveva prudentemente messo sull’avviso i suoi uomini del suo aspetto.

L’ammiraglio Eugin Vorpatril, uomo di altezza media, robusto, con i capelli bianchi e un’espressione cupa, si fece avanti e salutò Miles con un gesto preciso e corretto. — Milord Ispettore. Benvenuto a bordo della Prince Xav.

— Grazie, ammiraglio. — Non aggiunse È un piacere essere a bordo, perché nessuno di loro poteva essere felice di vederlo, date le circostanze.

Vorpatril continuò: — Posso presentarle il comandante della Sicurezza della mia flotta, il capitano Brun?

A chinare il capo fu un uomo magro, teso, forse ancora più cupo del suo ammiraglio. Brun era stato al comando operativo di quella disgraziata pattuglia dal grilletto facile che aveva trasformato la situazione da un piccolo imbroglio legale a un incidente diplomatico in piena regola. No, non dovevano essere per nulla contenti.

— E il cargomastro anziano Molino, del consorzio navale komarrano.

Anche Molino era di mezza età, e aveva la stessa aria da mal di pancia dei barrayarani, anche se vestiva un elegante abito scuro in stile komarrano, con pantaloni e casacca. Un cargomastro anziano era il responsabile di grado più elevato per le questioni esecutive e finanziarie di un convoglio commerciale; come tale aveva tutte le responsabilità di un ammiraglio e una frazione dei suoi poteri. Aveva anche il compito poco invidiabile di rappresentare l’interfaccia designata fra un gruppo molto disparato di interessi commerciali e i loro protettori barrayarani, il che in genere era sufficiente ad assicurare il mal di pancia anche senza una crisi di mezzo. L’uomo mormorò con un leggero inchino del capo: — Milord Vorkosigan.

Il tono di Vorpatril si fece un tantino più ruvido. — L’ufficiale legale della mia flotta, il guardiamarina Deslaurier.

Deslaurier, alto, pallido e smunto, con un’acne giovanile non del tutto guarita, fece un cenno col capo.

Miles sbatté le palpebre, sorpreso. Quando, sotto la copertura della sua vecchia finta identità, aveva diretto una flotta mercenaria teoricamente indipendente, ma in realtà agli ordini di ImpSec, il dipartimento legale della flotta era stato uno dei più importanti; solo negoziare il passaggio pacifico di navi da guerra attraverso le varie giurisdizioni planetarie era un lavoro di enorme complessità. — Guardiamarina. — Miles restituì il cenno, e scelse le parole con attenzione. — Lei… lei è investito di grandi responsabilità per il suo grado e la sua età.

Deslaurier si schiarì la gola e rispose timidamente: — Il nostro capo dipartimento è stato rimandato a casa agli inizi del viaggio, Lord Ispettore. Per motivi familiari. Era morta sua madre.

Comincio a capire dove si sta andando a finire. — Questo è il suo primo viaggio galattico, per caso?

— Sì, Milord.

Vorpatril aggiunse, forse per pietà: — Io e il mio personale siamo interamente a sua disposizione, Milord Ispettore, e abbiamo pronti tutti i rapporti, come lei ha richiesto. La prego di seguirmi nella sala riunioni.

— Sì, la ringrazio, ammiraglio.

Dopo un certo numero di goffi movimenti e di teste chinate per passare attraverso i portelli, il gruppo giunse in quella che appariva la tipica sala per le riunioni militari: tavolini dotati di olovideo e sedie fissati al pavimento, e sul pavimento tessuto antiscivolo che conservava il vago odore di muffa di una stanza buia, chiusa, che non aveva mai visto il sole né fosse stata arieggiata. Era un posto che sapeva di militare. Miles represse l’impulso nostalgico di inalare in profondità l’odore dei vecchi tempi.

A un cenno della sua mano, Roic si pose di guardia con fare impassibile appena al di qua della porta. Gli altri aspettarono che si sedesse e si disposero attorno al tavolo, Vorpatril alla sua sinistra, Deslaurier il più lontano possibile.

Vorpatril, dimostrando una solida conoscenza dell’etichetta e un certo istinto di autoconservazione, iniziò: — Dunque, come posso servirla, Milord?

Miles unì le punte delle dita. — Come Ispettore, il mio primo compito è ascoltare. Se non le dispiace, ammiraglio Vorpatril, mi descriva lo svolgersi degli eventi dal suo punto di vista. Come siete arrivati a quest’impasse?

— Ha detto dal mio punto di vista? — Vorpatril fece una smorfia. — Ecco, all’inizio sembrava una delle solite concatenazioni di incidenti. Saremmo dovuti rimanere attraccati alla Stazione Graf per cinque giorni, per i trasferimenti di passeggeri e delle merci che avevano contrattato. Poiché al momento non c’era ragione di supporre che i quad fossero ostili, ho concesso numerose licenze di sbarco sulla Stazione, come da procedura standard.

Miles annuì. Gli scopi delle scorte militari barrayarane alle navi komarrane andavano da quelli dichiarati a quelli impliciti a quelli sottaciuti. Quelli dichiarati comprendevano la protezione da pirati e dirottatori e l’opportunità offerta alla parte militare della flotta di accumulare un’esperienza nelle manovre. Più discretamente, la presenza della scorta permetteva la raccolta di tutta una serie di informazioni, economiche, politiche e sociali, oltre che militari. Inoltre forniva a dozzine di giovani barrayarani, futuri ufficiali e cittadini, un approccio con la cultura della galassia che non poteva che farli maturare. Sul versante sottaciuto, vi erano le tensioni residue che ancora dividevano barrayarani e komarrani, dopo la conquista, secondo Miles perfettamente giustificata, dei secondi da parte dei primi, una generazione prima. La politica dell’Imperatore era di passare dall’occupazione alla piena assimilazione politica e sociale dei due pianeti, ma il processo si stava rivelando lento e accidentato.