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Ma i navigatori badavano poco alla terra, tanto erano attratti dalle meraviglie del mare.

Tutte le volte che credo di essermi abituato a Rama, pensava Norton, ecco che tira fuori altre meraviglie. Mentre la Resolution procedeva tranquilla non potevano sottrarsi all'impressione di essere stati afferrati da un'onda gigantesca che si curvava ai lati fino a diventare verticale per sedici chilometri, dopo di che i due lati si congiungevano formando un arco sulle loro teste. Nonostante tutto quello che potevano dire la logica e la ragione, nessuno poteva scrollarsi di dosso l'impressione che tutti quei milioni di tonnellate d'acqua avrebbero potuto da un momento all'altro precipitare su di loro.

Ma nonostante questo timore istintivo erano eccitati e felici. C'era una sensazione di pericolo, ma pericolo vero e proprio non c'era, a meno che naturalmente il mare non avesse in serbo per loro qualche sorpresa. E questa non era un'ipotesi assurda perché, come aveva immaginato Mercer, adesso il mare era vivo. Ogni goccia conteneva migliaia di microrganismi sferici monocellulari, simili alle più primitive forme di plancton esistenti negli oceani terrestri.

Però c'erano differenze sorprendenti. Quegli organismi erano privi di nucleo e di altri particolari necessari alla vita delle più primitive forme terrestri. E sebbene Laura Ernst che li aveva esaminati e analizzati avesse dimostrato al di là di ogni dubbio che generavano ossigeno, erano troppo pochi per giustificarne l'aumento nell'atmosfera di Rama. Avrebbero dovuto essercene miliardi, non migliaia.

Ma poi scoprì che diminuivano rapidamente, per cui era probabile che nelle prime ore del giorno ramano fossero stati in numero infinitamente maggiore. Pareva quindi che ci fosse stata una breve esplosione di vita che aveva ripetuto, anche se con una rapidità miliardi di volte superiore, la storia primitiva della Terra. Adesso, forse, si era esaurita. I microrganismi si stavano ormai disintegrando, e riversavano le sostanze chimiche di cui erano composti nel mare.

— Se doveste nuotare — li aveva avvertiti la dottoressa, — tenete la bocca chiusa. Poche gocce sono innocue… Ma sarà sempre meglio sputarle, perché tutti quegli strani sali organometallici sono velenosi e non vorrei dover essere costretta a elaborare un antidoto.

Però il pericolo di finire in acqua sembrava lontano. La Resolution era in grado di rimanere a galla anche se due dei contenitori di cui era composta si fossero riempiti d'acqua. (Quando glielo avevano detto, Calvert aveva commentato con aria lugubre: Ricordate il «Titanic»). Ma se anche fosse affondata i giubbotti salvagente li avrebbero aiutati a tenere la testa fuori dall'acqua. Sebbene non ne fosse sicura al cento per cento, la dottoressa Ernst aveva detto che un'immersione di qualche ora non sarebbe stata fatale, tuttavia era meglio evitarla.

Dopo venti minuti di navigazione, New York non era più un'isola lontana, ma una vera città le cui strutture cominciavano a rivelarsi ben definite al cannocchiale. E anch'essa, come tutto quello che esisteva su Rama, era triplicata. Era infatti formata da tre complessi circolari identici, posti su un lungo basamento ovale. Le foto prese dal mozzo avevano inoltre rivelato che ognuno di quei complessi era a sua volta diviso in tre parti uguali, come una torta tagliata a fette di 120°. Questa particolarità avrebbe facilitato enormemente l'esplorazione, in quanto era presumibile che bastasse esaminare un nono di New York per sapere com'era nel suo complesso. Ma anche così, non sarebbe stato un lavoro da poco: c'era da esaminare un buon chilometro quadrato di edifici e macchinari, alcuni dei quali alti centinaia di metri.

I ramani avevano portato alla perfezione l'arte di triplicare tutto. Lo dimostravano i compartimenti stagni, le scale e i soli artificiali. E nei casi più importanti, come a New York, avevano costruito tre copie uguali di ognuno dei tre esemplari identici.

Ruby diresse la Resolution verso il complesso centrale dove una scala saliva dalla superficie del mare alla sommità del muro, o argine, che circondava l'isola. C'era anche un molo a cui attraccare, e quando lo vide Ruby fu felice. Adesso poteva sperare di trovare una delle imbarcazioni con cui i ramani navigavano sul loro straordinario mare.

Il primo a sbarcare fu Norton. — Aspettate in barca — disse ai compagni, — finché sarò arrivato in cima al muro. Quando vi farò un cenno, Peter e Boris mi raggiungeranno. Ruby, voi restate al timone, così se dovremo partire in fretta non perderemo tempo. E se dovesse capitarci qualcosa, riferite a Karl e attenetevi ai suoi ordini. Mi raccomando, decidete per il meglio ma evitate eroismi inutili.

— Sì, Comandante. In bocca al lupo.

La scala era identica a quella che avevano disceso per arrivare alla riva opposta del mare, dove in quel momento i loro compagni stavano osservandoli al telescopio. In linea retta. Sì, perché in quell'unica direzione, parallela all'asse di Rama, il mare era completamente piatto. E probabilmente quello era l'unico corpo acqueo dell'universo ad avere parte della superficie piana, perché su tutti gli altri mondi, fiumi e laghi seguivano la superficie di una sfera, curvandosi in tutte le direzioni.

— Sono arrivato quasi in cima — riferì Norton agli altri che aspettavano con ansia a cinque chilometri di distanza. — Tutto tranquillo. Radiazioni normali. Tengo il contatore al di sopra della testa, nell'ipotesi che il muro costituisca uno scudo contro… contro non so cosa. E se ci sono creature ostili dall'altra parte, spareranno prima al contatore.

Naturalmente scherzava, ma perché correre rischi inutili quando era così facile evitarli?

Superato l'ultimo gradino, scoprì che la sommità piana dell'argine era larga una decina di metri. Verso l'interno dell'isola una serie alternata di rampe e scale scendeva fino al livello della città, venti metri più in basso. Trovandosi sulla sommità di quell'alto muro che racchiudeva New York, poteva abbracciarla tutta con lo sguardo.

Era uno spettacolo grandioso nella sua complessità e Norton si affrettò a filmarlo spostando lentamente la macchina da presa. Poi agitò la mano per chiamare i compagni, e trasmise agli altri: — Nessun segno di attività. Tutto tranquillo. Cominciamo l'esplorazione.

23

Non era una città. Era una macchina. Norton era arrivato a questa conclusione dopo dieci minuti, e non ebbe motivo di cambiare idea dopo avere attraversato tutta l'isola. Una città, qualunque sia la natura dei suoi occupanti, deve fornire loro mezzi di trasporto: qui non se ne vedevano, a meno che non fossero sotterranei. E poi, dov'erano gli ingressi, le scale, gli ascensori? Non avevano trovato niente che potesse somigliare a una porta.

Più che una città, quel posto ricordava un gigantesco impianto chimico. Però non c'erano depositi di materie prime, né tantomeno mezzi di trasporto per spostarle da un capo all'altro. Non si riusciva neppure a immaginare da dove sarebbero usciti i prodotti finiti… o quali fossero questi prodotti. Era sconcertante, e gli esploratori erano irritati e delusi.

— Qualcuno crede di aver capito qualcosa? — chiese alla fine Norton. — Se è una fabbrica, cosa produce? E da dove vengono le materie prime?

— Io ho un'idea — rispose Mercer dalla riva opposta del mare. — Potrebbe ricavarle dall'acqua. La dottoressa dice che contiene tutti gli elementi possibili e immaginabili.

Era un'ipotesi plausibile, che Norton aveva già preso in considerazione. Potevano esserci tubi sotterranei che sfociavano in mare, anzi dovevano esserci, perché qualsiasi stabilimento chimico ha bisogno di grandi quantitativi d'acqua. Ma sospettava delle spiegazioni plausibili, perché spesso si dimostravano sbagliate.

— Ottima idea, Karl. Ma cosa se ne fa dell'acqua di mare, New York?

Nessuno rispose per qualche minuto dalla nave, dal mozzo o dalla spiaggia. Poi una voce inaspettata ruppe il silenzio.