— Voglio misurare la quantità di zucchero per vedere quanta energia avete consumato. Vogliamo essere sicuri che abbiate abbastanza carburante per la missione. A proposito, qual è il record di durata in aerociclo?
— Due ore, venticinque minuti e sei secondi. Naturalmente sulla Luna… sulla pista di due chilometri della Cupola Olimpica.
— E pensate di resistere per sei ore?
— Facilmente, dato che posso fermarmi quando voglio. Sulla Luna farei una fatica doppia di qui.
— Va bene, Jimmy. E adesso, presto, in laboratorio. Vi darò il via appena avrò ultimato l'esame dei prelievi. Non voglio illudervi, ma sono quasi sicura che potrete farcela.
Un sorriso di soddisfazione si allargò sulla faccia di Jimmy. Mentre seguiva la dottoressa verso i compartimenti stagni, si voltò a gridare ai compagni: — Giù le mani, per favore! Ci mancherebbe che mi sfondaste le ali!
— Ci penso io — promise Norton. — Proibito a tutti di toccare la Libellula… me compreso.
26
Jimmy non si rese pienamente conto della grandiosità della sua impresa fin quando non ebbe raggiunto la riva del Mare Cilindrico. Finora aveva sorvolato un territorio noto, dove, in caso d'incidente, poteva sempre atterrare e tornare alla base a piedi.
Ma adesso era diverso. Se fosse precipitato in mare, sarebbe probabilmente annegato in quelle acque avvelenate, e se anche fosse riuscito ad atterrare felicemente nella zona meridionale, sarebbe stato impossibile per le squadre di soccorso riuscire a salvarlo nel breve tempo che restava prima che la Endeavour fosse costretta a lasciare Rama.
Jimmy sapeva benissimo che gli incidenti più prevedibili erano anche quelli che si sarebbero verificati più difficilmente. La regione sconosciuta che stava sorvolando poteva riservargli chissà quante sorprese. E se avesse incontrato creature volanti ostili alla sua intrusione? Nelle sue condizioni, avrebbe potuto sostenere, al massimo, uno scontro con un piccione. Qualche beccata sarebbe stata sufficiente a distruggere l'aerodinamica della Libellula.
Ma, pensò Jimmy, chi non risica non rosica. Milioni di uomini sarebbero stati felici di potersi trovare al suo posto, perché non solo sarebbe andato in posti che l'uomo non aveva mai visitato, ma che non avrebbe mai neanche più potuto visitare. In tutta la storia dell'umanità, sarebbe stato l'unico a visitare il continente meridionale di Rama. Bastava pensare a questo per scacciare la paura che lo assaliva di tanto in tanto.
Non gli ci era voluto molto per abituarsi a stare seduto a mezz'aria circondato da ogni parte da un mondo. Poiché era sceso di un paio di chilometri al di sotto del livello dell'asse centrale, aveva acquisito la sensazione esatta del su e del giù. La pianura si stendeva sei chilometri sotto di lui, e l'arco del cielo dieci chilometri sopra. La città di Londra stava lassù vicino allo zenit, New York, invece, era esattamente a perpendicolo sotto di lui.
— Libellula - chiamò il Controllo Mozzo — siete un po' troppo in basso. Duemiladuecento metri dall'asse.
— Grazie — rispose Jimmy. — Prenderò quota. Avvertitemi quando sono a duemila.
Era uno spettacolo che valeva la pena di vedere. La tendenza a perdere quota era naturale, e Jimmy non disponeva di strumenti che gli indicassero la posizione esatta. Se si allontanava troppo dalla zona priva di gravità dell'asse, poi forse non sarebbe più riuscito a risalire. Per fortuna, il margine d'errore era molto ampio, e c'era sempre qualcuno che lo seguiva metro per metro al cannocchiale, dal mozzo.
Adesso sorvolava il mare, pedalando a venti chilometri all'ora. Fra cinque minuti si sarebbe trovato sopra New York: l'isola pareva una nave che navigasse in cerchio senza mai fermarsi, nel Mare Cilindrico.
Fece un giro sopra New York, fermandosi parecchie volte, perché la sua piccola telecamera potesse inviare agli altri immagini senza vibrazioni. Il panorama degli edifici, torri, impianti industriali, centrali per la produzione di energia (o qualsiasi altra cosa fossero), era affascinante ma privo di significato. Per quanto li esaminasse, non sarebbe mai riuscito a capirci niente. La telecamera avrebbe rilevato maggiori particolari di quanti poteva assimilarne la sua memoria, e forse un giorno, chissà quando, uno studioso avrebbe trovato, grazie a quelle immagini, la chiave dei segreti di Rama.
Lasciata New York compì la traversata dell'altro braccio di mare in un quarto d'ora. Pur senza rendersene conto, tendeva ad accelerare, sorvolando l'acqua, e appena ebbe raggiunta la riva meridionale, inconsciamente si rilassò, rallentando di parecchi chilometri all'ora. Si trovava in territorio sconosciuto, ma almeno sotto di lui c'era la terraferma.
Dopo aver superato lo strapiombo che formava l'argine meridionale del mare, riprese una panoramica completa, facendo compiere alla telecamera una rotazione di 360°.
— Bellissimo! — commentarono dal Controllo Mozzo. — I cartografi ne saranno felici. Come va?
— Bene… solo un po' stanco, ma non più del previsto. Quanto disto dal polo?
— Quindici chilometri e seicento metri.
— Avvertitemi quando arriverò a dieci. Farò una sosta. E state attenti che non scenda troppo. Comincerò a salire quando mancheranno cinque chilometri.
Venti minuti dopo, il mondo si chiudeva su di lui. Era arrivato al termine della sezione cilindrica e stava entrando nella cupola meridionale.
L'aveva esaminata per ore al telescopio, dal lato opposto di Rama, e ne conosceva a memoria la geografia. Ma nonostante questo, non era del tutto preparato allo spettacolo che lo circondava.
Le estremità opposte di Rama, Polo Nord e Polo Sud, differivano totalmente. Qui non c'erano tre gradinate, né una serie di strette terrazze concentriche, né una curva che scendeva dal mozzo alla pianura. Invece, c'era un grosso raggio, o aculeo centrale, lungo più di cinque chilometri, che si protendeva lungo l'asse. Altri sei, lunghi la metà, lo circondavano a distanza uguale uno dall'altro. Tutto l'insieme ricordava un gruppo di stalattiti simmetriche pendenti dal soffitto di una caverna, o, invertendo la visuale, le guglie di un tempio cambogiano che salivano dal fondo di un cratere.
A collegare questi picchi aguzzi, incurvandosi sotto di loro fino a scendere nella pianura cilindrica, c'erano archi rampanti così solidi all'apparenza che avrebbero potuto sostenere il peso di un mondo. E tale era forse la loro funzione, se costituivano gli elementi di qualche misterioso sistema di propulsione, come qualcuno aveva suggerito.
Jimmy si avvicinò cauto al picco centrale, smettendo di pedalare quando fu a una distanza di circa cento metri. Controllò il livello delle radiazioni, e vide che erano bassissime, come sempre su Rama. Però, non era improbabile che in quella zona agissero forze che nessuno strumento umano era in grado di rilevare… ma anche questo era un rischio inevitabile.
— Cosa vedete? — chiese con ansia il Controllo Mozzo.
— Il Big Horn. È liscio, e così aguzzo in punta che lo si potrebbe adoperare come ago. Ho paura di avvicinarmi troppo.
Scherzava, ma neanche tanto. Gli sembrava incredibile che un oggetto di quelle dimensioni potesse terminare con una punta così sottile e geometricamente così perfetta. Jimmy aveva visto collezioni di insetti infilzati con uno spillo, e non aveva il minimo desiderio che la Libellula facesse la stessa fine.
Pedalò lentamente fino a un punto in cui l'aculeo misurava alcuni metri di diametro, e si fermò. Dopo aver aperto un piccolo contenitore, ne estrasse una sfera grossa come una palla da tennis e la scagliò contro l'aculeo. Rotolando nell'aria, la palla si trascinava dietro un filo sottilissimo. La bomba-adesiva andò a urtare dolcemente contro la liscia superficie curva, senza rimbalzare. Jimmy diede uno strattone di prova al filo, poi un secondo, più forte, e finalmente, tirando, avvicinò la Libellula a quello che aveva battezzato Big Horn, finché riuscì a toccarlo con la mano.