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— D’accordo, adesso ne so più di prima. Grazie. Ci rivediamo appena posso.

— Devo aspettare?

— No. Buona notte.

— Buona notte, Conrad.

E me n’ero andato.

Attraversare una stanza può essere un affare molto lungo e penoso: se è piena di gente, se tutta la gente ti conosce, se tutta la gente stringe in mano un bicchiere, se tu hai anche la minima tendenza a soffermarti.

E le cose stavano proprio a questo modo. Così…

Pensando pensieri inutili, mi feci strada rasente al muro per sei metri buoni sino alla periferia di tutta quell’umanità, sino a raggiungere l’ammasso di giovani signore che i vecchi scapoli si trovano sempre sulle spalle. Lui era privo di mento, quasi senza labbra, e sempre più calvo; e l’espressione che un tempo viveva sulla pelle che gli copriva il cranio s’era ritirata da un pezzo nell’oscurità dei suoi occhi; e nei suoi occhi, quando mi scorsero, c’era già il sorriso dell’oltraggio imminente.

— Phil — feci io, annuendo, — non tutti possono scrivere una masque come quella. Ho sentito dire che è un’arte che va morendo ma adesso devo ricredermi.

— Sei ancora vivo — disse lui, con una voce più giovane di settant’anni di tutto il resto, — e di nuovo in ritardo, come al solito.

— Chiedo umilmente scusa — dichiarai, — ma sono stato trattenuto ad una festa di compleanno per una signora di sette anni, in casa d’un vecchio amico. (Il che era vero, ma la cosa non ha nulla a che fare con questa storia).

— Tutti i tuoi amici sono vecchi amici, non è vero? — chiese lui, e questo era colpire sotto la cintura, solo perché una volta avevo conosciuto i suoi semi-dimenticati genitori, e li avevo portati a fare un giro nel lato sud dell’Eretteo per mostrargli il Portico delle Vergini e fargli vedere quello che Lord Elgin aveva fatto con quei resti, tenendomi intanto sulle spalle il loro figliolo dagli occhi intelligenti e raccontandogli storie che erano già vecchie quando quel posto era stato costruito.

— … E ho bisogno del tuo aiuto — aggiunsi, ignorando il suo sarcasmo e facendomi gentilmente strada tra quel morbido, pungente circolo di femminilità. — Mi ci vorrà tutta la notte per attraversare questo posto fino a dove Sands sta parlamentando col vegano — mi scusi, signorina — e non ho tutta la notte a disposizione. — Pardon, signora. — Così voglio che tu mi crei una bella interferenza.

— Lei è Nomikos! — sospirò una piccola amabile ragazza, fissando la mia guancia. — Ho sempre desiderato…

Le presi la mano, me la portai alle labbra, notai che il suo anello era d’un rosa splendente, e dissi: — E finora l’è andata male, eh? — E lasciai cadere l’argomento.

— E allora? — chiesi a Graber. — Portami via di qui col minimo dispendio di tempo, facendo uso del tuo solito atteggiamento da cortigiano e di una bella conversazione-fiume che nessuno abbia il coraggio d’interrompere. Okay? Partiamo.

Lui annuì bruscamente.

— Scusatemi, signore. Tornerò presto.

Partimmo attraverso la stanza, facendoci strada nel mare di gente. Alti sopra di noi i candelieri scivolavano e giravano come sfaccettati satelliti di ghiaccio. La telinstra era un’intelligente arpa eolica che gettava i suoi brani di canto nell’aria: pezzi di vetro colorato. La gente ronzava e s’agitava come certi insetti di George Emmet, e noi evitavamo il loro sciamare mettendo un piede davanti all’altro senza mai fermarci, e producendo rumori per conto nostro. Non calpestammo nessuno, in quella calca.

La notte era calda. Quasi tutti gli uomini indossavano l’Uniforme Nera leggera come una piuma che il protocollo impone in occasioni del genere ai membri dello Staff. Quelli che non la portavano, non erano dello Staff.

Scomode nonostante tutta la loro leggerezza, le Uniformi Nere vanno giù a piramide lungo i fianchi, lasciando liscio il davanti, su cui, all’altezza del seno sinistro sta cucito il simbolo della Terra, verde-blu-grigio-bianco, un circolino di sette centimetri di diametro; sotto si trova il simbolo del dipartimento cui appartiene l’individuo, seguito dall’indicazione del grado; sulla destra invece si trovano tutte le maledette specie di merdose decorazioni che siano mai state inventate per dare un’apparenza di dignità umana. Tutto merito dell’altamente immaginoso Ufficio delle Decorazioni, Arricchimenti, Insegne, Simboli e Araldica (UDAISA, per brevità; il suo primo Direttore apprezzava molto la propria posizione). Il colletto ha la strana tendenza a diventare una garrotta dopo i primi dieci minuti; almeno è quello che succede al mio.

Le signore indossavano, o non indossavano, qualunque cosa andasse loro: roba generalmente sfavillante, o accompagnata da un sottofondo in simicolor (a meno che facessero parte dello Staff, nel qual caso erano impacchettate in Uniformi Nere con gonna corta, ma con colletti sopportabili); il che rendeva abbastanza facile distinguere i padroni di casa dagli ospiti.

— Ho sentito dire che c’è Dos Santos — affermai.

— Infatti.

— Perché?

— Proprio non lo so, e non m’importa.

— Al diavolo. Cos’è stato della tua stupefacente coscienza politica? Il Dipartimento della Critica Letteraria te ne faceva un gran merito.

— Alla mia età, l’odore della morte diventa sempre più preoccupante ogni volta che lo s’incontra.

— E Dos Santos odora?

— Tende a puzzare.

— Ho sentito che s’è portato dietro una nostra vecchia conoscenza. Uno dei tempi dell’Affare Madagascar.

Phil piegò la testa da una parte e mi lanciò un’occhiata interrogativa.

— Fai molto presto a sentire le cose. Ma d’altra parte sei amico di Ellen. Sì, Hasan è qui. È di sopra con Don.

— Chissà quale peso karmico dovrà aiutare a sopportare? E per conto di chi?

— Come ho già detto, non so niente di tutta la faccenda e non me ne interesso minimamente.

— Vuoi azzardare un pronostico?

— Non sento nessuna fretta.

Entrammo in una parte della foresta relativamente spoglia d’alberi, e io mi fermai ad arraffare un rum-e-qualcosaltro dal vassoio automatico sospeso nell’aria, che ci aveva seguito con tale costanza da spingermi alfine ad accontentarlo e ad afferrarlo per la sporgenza che gli pendeva sul retro. Al che esso s’era abbassato, aveva fatto un gran sorriso, rivelando i tesori che nascondeva nel suo stomaco gelato.

— Ah, che piacere! Un drink, Phil?

— Pensavo che tu avessi fretta.

— Sì, ma voglio dare un’occhiata alla situazione.

— Molto bene, Prenderò una similcoca.

Lo sbirciai di sottecchi e gli passai l’aggeggio. Poi, mentre si voltava, seguii la direzione del suo sguardo. Un mucchio di morbide poltrone stavano poggiate nell’alcova formata per due lati dai muri a nord della stanza, e per il terzo dalla telinstra. La suonatrice di telinstra era una vecchia signora con occhi sognanti. Lorel Sands, il Direttore della Terra, stava fumando la sua pipa…

Insomma, la pipa è una delle facce più interessanti della personalità di Lorel. È una vera Meerschaum, e non è che a questo mondo ne siano rimaste poi molte. Per il resto, la funzione principale di Lorel consiste nel fare da anticomputer: gli fate ingurgitare tutti i possibili tipi di fatti accuratamente vagliati, percentuali e statistiche, e lui li trasforma in spazzatura. Pungenti occhi neri, e un lento, minuzioso modo di parlare mentre quei suoi occhi vi tengono incatenati; piuttosto parco nei gesti, ma estremamente efficace quando taglia l’aria con l’ampia destra o punzecchia immaginarie signore con la pipa; bianco alle tempie e nero di capelli; ha la fronte alta e una carnagione che fa a pugni coi suoi vestiti (evita regolarmente le Uniformi Nere), e cerca sempre di sistemare la mascella troppo in avanti di qualche centimetro, in una posizione che sembrerebbe oltremodo scomoda. È un pezzo grosso della politica, alle dipendenze del Governo Terrestre di Taler, e prende molto sul serio il suo lavoro, al punto di dimostrare il proprio attaccamento con periodici attacchi d’ulcera. Non è il più intelligente uomo di questa Terra. È il mio capo. È anche uno dei migliori amici che ho.