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Aveva subito fermato il furgone. Aveva sfilato da dietro i sedili il Remington e controllato che fosse carico. Era sceso senza sbattere la portiera e si era avvicinato camminando sul ciglio erboso, per non far rumore con le scarpe pesanti. Quando se ne era andato, un paio d’ore prima, poteva aver dimenticato la luce accesa.

Di certo era così.

Ma in ogni caso aveva preferito sincerarsene stando al sicuro dalla parte giusta della canna di un fucile. Come diceva il suo vecchio, di troppa prudenza non era mai morto nessuno.

Aveva proseguito costeggiando la rete e aveva trovato la recinzione tagliata. Poi aveva visto la stanza sul retro illuminata e un’ombra passare davanti alla finestra.

Le mani posate sul calcio del Remington avevano iniziato a inumidirsi oltre il dovuto. Aveva buttato rapidamente lo sguardo in giro.

Non aveva notato macchine parcheggiate nelle vicinanze e questo fatto lo lasciava perplesso. Il capannone era pieno di materiali e attrezzi. Il loro valore non era elevato, ma avrebbero in ogni caso potuto fare gola a un ladro. Però era tutta roba piuttosto pesante. Gli sembrava strano che qualcuno avesse deciso di venire a ripulirgli il magazzino a piedi.

Aveva superato il varco nella rete e raggiunto l’ingresso accanto al passo carraio. Quando aveva spinto il battente, l’aveva trovato aperto. Al tatto aveva sentito la chiave nella toppa e nella scarsa luce dei lampioni riverberata dal muro chiaro aveva percepito lo sportello dell’estintore socchiuso.

Strano. Molto strano.

Solo lui conosceva l’esistenza della chiave di riserva.

Incuriosito e circospetto in egual misura aveva percorso la sua piccola gimkana furtiva attraverso i materiali ammassati all’interno, fino a spalancare la porta della stanza sul retro con un calcio.

E ora teneva un fucile puntato verso una porta aperta.

Una figura d’uomo con le mani alzate comparve sulla soglia. Fece un paio di passi e si fermò. Ben si mosse di conseguenza, in modo da continuare a essere protetto dalla massa tozza e goffa della betoniera. Da quel punto poteva tenere sotto tiro le gambe di quel tipo e se solo avesse tentato un movimento brusco lo avrebbe abbassato di dieci pollici.

«Sei solo?»

La risposta era arrivata subito. Calma e tranquilla, apparentemente sincera.

«Sì.»

«Bene, ora esco. Se tu o qualche tuo amico avete intenzione di farmi un brutto scherzo, ti faccio un buco nella pancia grosso come un tunnel della ferrovia.»

Attese un attimo e poi uscì con cautela allo scoperto. Teneva il fucile all’altezza del fianco saldamente puntato verso lo stomaco dell’uomo. Fece un paio di passi verso di lui, fino ad arrivare a vederlo bene in viso.

E quello che vide gli depose un velo di brividi sulle braccia e sul collo.

L’uomo aveva il viso e la testa completamente sfigurati da quelle che sembravano le cicatrici di ustioni tremende. Dalla faccia proseguivano sul collo e si perdevano nel colletto aperto della camicia. L’orecchio destro era del tutto assente mentre di quell’altro ne era rimasto solo un pezzo, attaccato come una beffa al cranio dove la pelle rimarginata a grana grossa aveva sostituito i capelli.

Solo la zona intorno agli occhi era integra. E adesso quegli occhi lo seguivano mentre si avvicinava, più ironici che preoccupati.

«E tu chi diavolo sei?»

L’uomo sorrise. Ammesso che quello che gli appariva sul viso quando cercava di farlo si potesse chiamare sorriso.

«Grazie, Ben. Almeno non mi hai chiesto che cosa sono.»

L’uomo abbassò le braccia, senza chiedere l’autorizzazione a farlo. Solo in quel momento Ben si rese conto che sulle mani portava dei guanti di tessuto leggero.

«Lo so che sono difficile da riconoscere. Speravo che almeno la mia voce fosse rimasta la stessa.»

Ben Shepard sgranò gli occhi. La canna del fucile si abbassò suo malgrado, come se di colpo le braccia fossero diventate così molli da non riuscire a sorreggerlo. Poi la parola gli arrivò come se non ne avesse avuto il dono prima.

«Cristo santo benedetto, Little Boss. Sei tu. Credevamo tutti che fossi…»

La frase rimase in sospeso, come in sospeso erano rimaste le loro vite per tutto quel tempo. L’altro fece un gesto vago con la mano.

«Morto?»

La frase successiva gli uscì dalle labbra come un pensiero ad alta voce e una speranza sottoterra.

«E secondo te non lo sono?»

Ben si sentì di colpo vecchio. E capì che la persona che aveva di fronte si sentiva molto più vecchia di lui. Ancora confuso da quell’incontro inatteso, senza sapere bene che fare o che dire, si avvicinò al muro e tese una mano verso un interruttore. Una improbabile luce di servizio si diffuse per l’ambiente. Quando fece per accenderne un’altra, Little Boss lo fermò con un gesto.

«Lascia stare. Ti garantisco che aumentando la luce non miglioro.»

Ben si accorse di avere gli occhi umidi. Si sentì inutile e stupido. Infine fece l’unica cosa che l’istinto gli dettava. Appoggiò il Remington su una pila di casse, si avvicinò e abbracciò con delicatezza quel soldato che negli occhi aveva solo cose distrutte.

«Cazzo, Little Boss, che bello sapere che sei vivo.»

Sentì le braccia del ragazzo circondargli le spalle.

«Little Boss non esiste più, Ben. Ma è bello essere qui con te.»

Rimasero un istante così, per un affetto che era quello fra un padre e un figlio. Con l’assurda speranza che quando si fossero staccati sarebbe stato un qualunque giorno del passato, e tutto era normale e Ben Shepard, imprenditore edile, si attardava nel capannone per dare le istruzioni al suo operaio per il giorno dopo.

Si sciolsero dall’abbraccio e furono di nuovo quelli di adesso, uno di fronte all’altro.

Ben fece un cenno con la testa.

«Vieni di là. Deve essere rimasta qualche birra. Se ti va.»

Il ragazzo sorrise e gli rispose alla luce della loro vecchia confidenza.

«Mai rifiutare una birra da Ben Shepard. Potrebbe incazzarsi. E non è un bello spettacolo trovarselo di fronte in quelle condizioni.»

Si spostarono nella stanza sul retro. Little Boss andò a sedersi sul letto.

Fece un verso di richiamo e subito Walzer uscì dal suo nascondiglio e gli saltò in grembo.

«Hai lasciato tutto com’era. Perché?»

Ben si diresse verso il frigorifero e fu contento che Little Boss non lo vedesse in faccia mentre rispondeva.

«Premonizioni da veggente o incrollabili speranze di un vecchio.

Chiamale come preferisci.»

Chiuse lo sportello e si girò con due birre in mano. Col collo di una bottiglia indicò il gatto, che accettava con le sue semplici implicazioni feline le carezze sulla testa e sul collo.

«Ho fatto pulire periodicamente la tua stanza. E ogni giorno ho rimpinzato quella bestiaccia che tieni sulle ginocchia.»

Porse al ragazzo sul letto la sua birra. Poi raggiunse una sedia e per qualche istante bevvero in silenzio. Tutti e due sapevano di essere pieni di domande alle quali ognuno avrebbe faticato a dare una risposta.

Poi Ben capì che doveva essere lui il primo.

Controllando a fatica il desiderio di guardare da un’altra parte, chiese.

«Cosa ti è successo? Chi ti ha conciato così?»

Il ragazzo si prese un tempo lungo come una guerra, prima di rispondere.

«Non è una storia breve, Ben. E piuttosto brutta. Sei sicuro di volerla sentire?»

Ben si appoggiò allo schienale della sedia e la inclinò fino ad appoggiarsi al muro.

«Io ho tempo. Tutto il tempo…»

«…e tutti gli uomini che ci servono, soldato. Finché tu e i tuoi compagni non avrete capito che in questo Paese sarete sconfitti.»

Era seduto a terra, appoggiato a un mozzicone d’albero senza fronde avvinghiato al terreno da radici inutili, le mani legate dietro la schiena.