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E quando lo sento ricambiare il mio bacio penso che morirei senza di lui e forse morirò per lui, ora, in questo momento.

Mi stacco un attimo. Solo un attimo, perché di più non riesco.

«Andiamo a letto.»

«Ma la cena?»

«Al diavolo la cena.»

Mi sorride. Sorride sulle mie labbra e il suo alito è un profumo meraviglioso.

«C’è la porta aperta.»

«Al diavolo anche la porta.»

Arriviamo in camera da letto e per un tempo che pare infinito mi sento sciocca e stupida e puttana e bellissima e amata e adorata e io comando e imploro e obbedisco. Infine resta il suo corpo accanto al mio e un chiarore smorzato oltre le tende e il suo respiro calmo mentre dorme. Allora mi alzo dal letto, infilo l’accappatoio e vado alla finestra. Lascio che il mio sguardo, finalmente senza ansia e senza paura, superi la barriera dei vetri.

Fuori, senza curarsi delle luci e degli uomini, un vento leggero risale il fiume.

Forse insegue qualcosa o forse da qualcosa è inseguito. Ma è piacevole stare qui per qualche istante a sentirlo passare e frusciare tra gli alberi. È una brezza fresca e sottile, di quelle che asciugano le lacrime degli uomini e impediscono agli angeli di piangere.

E io finalmente posso dormire.

RINGRAZIAMENTI

La fine di un romanzo è come la partenza di un amico: lascia sempre un poco di vuoto. Fortunatamente, il percorso ne fa rincontrare di vecchi e ne fa conoscere di nuovi. Per cui voglio ringraziare:

– la dottoressa Mary Elacqua di Rensselaer, insieme a Wonder Janet e Super Tony, i suoi adorabili genitori, per avermi accolto a Natale con l’affetto di una persona di famiglia

– Pietro Bartocci, il suo inimitabile marito, l’unica persona al mondo che riesce a russare anche da sveglio e concludere affari nel contempo

– Rosanna Capurso, geniale architetto a New York, dai capelli rosso fuoco e dal senso dell’amicizia che scalda nello stesso modo

– Franco di Mare, in pratica un fratello, i cui suggerimenti sono stati determinanti per tracciare un profilo dei reporter di guerra. Se ce l’ho fatta ovviamente è merito mio. Se non ci sono riuscito è colpa sua

– Ernest Amabile, che mi ha concesso da uomo l’esperienza di chi in Vietnam da ragazzo c’è stato e ha visto

– Antonio Monda per avermi fatto sentire un intellettuale italiano a New York

– Antonio Carlucci per aver diviso con me la sua esperienza e avermi fatto scoprire un clamoroso ristorante

– Claudio Nobis ed Elena Croce, per avermi offerto ospitalità e libri

– Ivan Genasi e Silvia Dell’Orto, per aver diviso con me l’arrivo di una cicogna partita dall’Ikea di Brooklyn

– Rosaria Carnevale, che oltre ad avermi rifornito di pane fresco durante la mia permanenza a New York, è davvero una efficace direttrice di banca

– Zef che oltre a essere un amico è davvero il building manager di un palazzo sulla 29sima Strada

– Claudia Peterson, che è davvero una veterinaria, insieme a suo marito Roby Facini, per avermi prestato la storia di Walzer, il loro singolare gatto a tre zampe

– Carlo Medori che ha fatto del cinismo il suo divertimento e dell’affetto la sua essenza

– il detective Michael Medina del 13° Distretto del New York Police Department per la cortese assistenza in un momento di difficoltà

– Don Antonio Mazzi, per la consulenza sui vincoli sacerdotali. E per essere in qualche modo, con le sue comunità di recupero, ispiratore di una parte di questa storia e protagonista di una meravigliosa avventura

– la dottoressa Elda Feyles anatomopatologa presso l’Ospedale Civile di Asti e il dottor Vittorio Montano, neurologo presso lo stesso istituto, per la loro assistenza scientifica durante la stesura di questo romanzo.

Infine sono costretto con un piacere infinito a tornare per l’ennesima volta al mio gruppo di lavoro, composto da persone che mi pongono dopo tanto tempo davanti a un’alternativa:

non si sono ancora stufate di me

se è successo, fingono in maniera straordinaria.

In entrambi i casi meritano il vostro applauso:

– il corsaro Alessandro Dalai, perché capisca che i grappini d’arrembaggio e i grappini del bar sono due cose differenti

– la cristallina Cristina Dalai perché continui imperterrita a ricomprarmi i bicchieri che regolarmente rompo

– l’enciclopedico Francesco Colombo, mio impareggiabile editor, perché, per sua e mia fortuna, ha un cervello in più e una Bentley in meno

– il cheguevarico Stefano Travagli che, al pari di Oscar Wilde, conosce l’importanza di chiamarsi Ernesto

– l’elegiaca Mara Scanavino, sublime art director, perché in modo estremamente creativo riesce a farne di tutti i colori

– la pitagorica Antonella Fassi, perché danza nel cuore di noi autori con lo stesso piede leggero con cui danza sui nostri scritti

– le rutilanti Alessandra Santangelo e Chiara Codeluppi, le mie impagabili Press Sisters, che sanno fare scudo e baluardo del loro petto.

E insieme a loro tutti i ragazzi della Baldini Castoldi Dalai editore, che ogni volta riescono a farmi sentire un grande autore, anche se la questione è tuttora sub judice. A loro aggiungo il mio agente, il fantascientifico Piergiorgio Nicolazzini, perché ha accolto da vero amico il mio sbarco alieno sul suo pianeta.

Come si dice di solito, i personaggi di questa storia, a parte Walzer, sono completamente frutto della fantasia e ogni relazione a personaggi esistenti è puramente casuale. Chi ha letto questo romanzo ha capito che non c’è nulla di autobiografico nel titolo. A chi non lo ha letto e pensa che ci sia, lascio intatta questa presunzione che mi onora. Detto questo, saluto con un inchino e uno svolazzo del cappello piumato.