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«No. Non sono mai riuscito a capire il senso di quella decisione.»

Era tornato a sedersi sul letto e ad accarezzare Walzer. Gli aveva raccontato tutto quello che era successo. Ben era rimasto ad ascoltare in silenzio. Mentre parlava, lo aveva solo guardato in viso, facendo scorrere gli occhi sulla sua pelle martoriata. Quando aveva finito, Ben si era coperto il viso con le mani. La sua voce era filtrata attraverso la barriera delle dita.

«Ma non pensi che Karen…»

Di scatto si era rimesso in piedi e si era avvicinato alla sedia dove stava seduto il suo vecchio datore di lavoro. Come per sottolineare meglio le sue parole.

«Credevo di essere stato chiaro. Non sa che sono vivo e non deve saperlo.»

A quel punto anche Ben si era alzato e in silenzio lo aveva abbracciato di nuovo, con più forza questa volta. Lui non era riuscito a ricambiare quella stretta. Era rimasto con le braccia abbandonate lungo i fianchi, finché l’altro si era staccato.

«Ci sono cose che nessuno dovrebbe provare nella vita, mio povero ragazzo. Non so se è giusto che io lo faccia. Per te, per Karen, per il bambino. Ma per quello che mi riguarda io non ti ho mai visto.»

Quando era uscito, Ben era davanti alla porta del capannone. Non gli aveva chiesto né dove andasse né cosa ci andasse a fare. Ma nei suoi occhi c’era l’amaro convincimento che presto lo avrebbe saputo. Sentiva lo sguardo suo malgrado complice seguirlo mentre si allontanava.

In quel momento c’erano due sole cose certe, per tutti e due.

La prima era che Ben non lo avrebbe tradito.

La seconda che non si sarebbero rivisti mai più.

Aveva attraversato la città e percorso a piedi il tragitto fino alla casa al fondo di Mechanic Street. Preferiva farsi qualche miglio piuttosto che chiedere in prestito un’auto a Ben. Voleva evitare in qualunque modo di coinvolgerlo oltre il dovuto in quella brutta storia. E non aveva la minima intenzione di farsi beccare mentre cercava di rubare un’auto.

Mentre camminava, Chillicothe gli era sfilata immobile intorno senza accorgersi di lui, come sempre. Era solo un posto qualunque in America, quello dove si era accontentato di un briciolo di speranza quando molti ragazzi della sua età si muovevano con noncuranza fra cumuli di cose sicure.

Aveva percorso strade ed evitato persone e schivato luci e ogni passo era un pensiero e ogni pensiero…

Il motore di una macchina nel vialetto lo riportò all’attenzione che per un attimo aveva perso. Si alzò dal divano e si avvicinò alla finestra. Scostò una tendina che odorava di polvere e guardò fuori. Una Plymouth Barracuda ultimo modello era parcheggiata con il muso puntato verso la saracinesca del garage. Le luci dei fari morirono sul cemento e uno dopo l’altro dalla macchina scesero Duane Westlake e Will Farland.

Erano tutti e due in divisa.

Lo sceriffo era un poco più corpulento dell’ultima volta che lo aveva visto. Troppo cibo e troppa birra, forse. Forse sempre più pieno di merda.

L’altro era rimasto magro e allampanato e maledetto come lo ricordava.

I due si avvicinarono chiacchierando alla porta d’ingresso.

Non riusciva a credere alla sua fortuna.

Aveva ipotizzato di dover fare due visite, quella notte. Ora il caso gli stava offrendo su un piatto di platino la possibilità di evitarne una. E di fare in modo che ognuno dei due sapesse…

La porta si aprì e prima che la luce invadesse la stanza ebbe modo di vedere le sagome dei due uomini stampate nel riquadro che la luce aveva ritagliato sul pavimento.

Il chiaro e lo scuro.

Il grosso e il secco.

Il male e il peggio.

Si spostò verso le scale e per qualche istante rimase appoggiato al muro ad ascoltare le loro voci. Il dialogo passò nella sua testa come le pagine di un testo teatrale che una volta Karen gli aveva fatto leggere.

Westlake.

«Che ne hai fatto di quei ragazzi che abbiamo fermato? Chi sono?»

Farland.

«Quattro vagabondi di passaggio. Solita roba. Capelli lunghi e chitarre.

Non abbiamo niente contro di loro. Però, in attesa di accertamenti, stanotte la passeranno al fresco.»

Una pausa. Ancora Farland.

«Ho detto a Rabowsky di metterli in cella con qualcuno tosto, se capita.»

Udì un risolino che sembrava lo squittire di un topo. Di certo uscito dalle labbra sottili del vicesceriffo.

Di nuovo Farland.

«Stanotte invece dell’amore faranno la guerra.»

Westlake.

«Magari gli viene la voglia di tagliarsi i capelli e di cercarsi un lavoro.»

Dal suo nascondiglio sorrise con l’amaro in bocca.

Il lupo perde il pelo ma non il vizio.

Solo che quelli non erano lupi. Erano sciacalli, della peggior specie.

Si sporse con cautela, protetto dalla penombra e dal riparo offerti dal muro. Lo sceriffo andò ad accendere la televisione, gettò il cappello sul tavolo e si lasciò sprofondare in una poltrona. Poco dopo alla luce della stanza si aggiunse il baluginare dello schermo.

E il commento di una partita di baseball.

«Cristo, siamo già quasi alla fine. E stiamo perdendo. Lo sapevo che giocare in California ci avrebbe detto male.»

Si girò verso il suo secondo.

«Se vuoi, c’è della birra in frigo. Intanto che ci vai, prendimene una.»

Lo sceriffo era il capo assoluto e ci teneva a sottolinearlo, anche in caso di ospitalità. Si chiese se si sarebbe comportato nello stesso modo se invece del suo sottoposto ci fosse stato in quella stanza il giudice Swanson.

Decise che quello era il momento. Uscì dal suo nascondiglio con la pistola puntata.

«La birra può aspettare. Alzate le mani.»

Al suono della voce, Will Farland, che stava alla sua destra, ebbe un sussulto. E quando si rese conto del suo aspetto, sbiancò in viso.

Westlake aveva girato la testa di colpo. Vedendolo, rimase un attimo interdetto.

«E tu chi cazzo sei?»

Domanda sbagliata, sceriffo. Sei sicuro di volerlo sapere?

«Per ora non ha importanza. Alzati e mettiti al centro della stanza. E tu vai di fianco a lui.»

Mentre i due si muovevano come aveva loro ordinato, Farland, provò a far scivolare la mano verso la fondina della pistola.

Prevedibile.

Fece un paio di rapidi passi di lato in modo da inquadrarlo completamente e scosse la testa.

«Non ci provare. Quest’arma la so usare molto bene. Mi credi sulla parola o vuoi che te lo dimostri?»

Lo sceriffo sollevò le mani in un gesto che voleva essere tranquillizzante.

«Senti amico, cerchiamo di stare tutti calmi. Io non so chi tu sia e cosa cerchi, ma ti ricordo che la tua presenza in questa casa già costituisce un reato. Inoltre stai minacciando con un’arma due rappresentanti della legge.

Non pensi che la tua posizione sia già abbastanza grave? Prima di fare altre cazzate ti consiglio di…»

«I suoi consigli portano male, sceriffo Westlake.»

Stupito nel sentir pronunciare il suo nome, l’uomo aggrottò le sopracciglia e inclinò un poco la grossa testa di lato.

«Ci conosciamo?»

«Le presentazioni rimandiamole a dopo. Ora Will siediti per terra.»

Farland era troppo interdetto per essere incuriosito. Girò gli occhi verso il suo superiore, incerto sul da farsi.

La voce che si sentì arrivare addosso cancellò ogni dubbio.

«Non è più lui che comanda, pezzo di merda. Sono io adesso. Se preferisci finire a terra da morto, sono in grado di accontentarti.»

L’uomo si piegò sulle lunghe gambe e si sedette aiutandosi con la mano appoggiata sul pavimento. A quel punto, con la canna della pistola, lo indicò allo sceriffo.

«Adesso, con calma e senza movimenti bruschi, sfilagli le manette dalla cintura e legalo con le mani dietro la schiena.»

Westlake si fece rosso in viso per lo sforzo, mentre si piegava ed eseguiva l’ordine. Il doppio e secco clack delle manette che si chiudevano segnò l’inizio della prigionia del vicesceriffo Will Farland.