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Fece a ritroso il percorso che l’aveva portata sul luogo di un delitto vecchio di anni e si ritrovò fuori dal cantiere. Gli operai la guardarono con un misto di ammirazione e soggezione. Se li lasciò alle spalle e si incamminò verso il Distretto per recuperare la macchina. Aveva bisogno di pensare e il fragoroso anonimato di New York era paradossalmente l’ambiente giusto.

Bellew le aveva assegnato un caso non facile. Forse perché la riteneva in grado di risolverlo, ma la stima in quel frangente era sinonimo di castagne da levare dal fuoco. E dai fatti emersi, erano castagne che nel fuoco ci stavano minimo da quindici anni, talmente abbrustolite da essere degli irriconoscibili pezzi di carbone.

Passò davanti alla vetrina di un bar e d’istinto diede uno sguardo all’interno. Seduto a un tavolo, con una ragazza bionda dai capelli lunghi, c’era Richard. I due stavano parlando e guardandosi in un modo che escludeva una semplice amicizia. Si sentì una guardona e si allontanò in fretta, prima che lui potesse vederla, anche se pareva non avere occhi che per la sua compagna. Non era stupita di trovarlo lì. Abitava da quelle parti e in quel bar c’erano stati insieme diverse volte.

Forse sarebbe stato meglio qualche volta di più.

Con lui aveva avuto una storia che era durata un anno, piena di risate, cibo e vino e sesso tenero e delicato. Un rapporto che era stato a un passo da poter essere definito amore.

Ma lei, con il suo lavoro e con la situazione di Sundance e di sua sorella, aveva trovato sempre meno possibilità di dedicarsi a loro due. Alla fine quel passo si era rivelato troppo lungo per le loro poche gambe e la storia era finita.

Mentre camminava, si rese conto che il suo problema era lo stesso di tutte le persone che si muovevano in quella strada e in quella città e in quel mondo, con la presunzione di vivere e la certezza di morire. Purtroppo non c’era nessun mondo alternativo e nessuno di loro, per quanto si illudesse di farlo durare il più possibile, aveva in realtà tempo a sufficienza.

CAPITOLO 10

Ziggy Stardust sapeva mimetizzarsi.

Era capace di essere un perfetto nessuno fra i milioni di nessuno che ogni giorno respiravano l’aria di New York. Era un perfetto esempio di né questo né quello: né alto né basso, né grasso né magro, né bello né brutto.

Uno splendido uomo da niente, di quelli che non si notano, che non si ricordano, che non si amano.

Il re del nulla.

Ma di questo nulla aveva fatto la sua arte. Questo, a modo suo, si riteneva: un artista. E nello stesso modo si definiva un viaggiatore.

Percorreva in media ogni giorno più miglia sulla metropolitana di quanti non ne percorresse in una settimana un normale utente. Per Ziggy Stardust la Subway era il posto dei fessi. E luogo principale di una delle sue multiformi attività: il borseggio. Un’altra, collaterale ma non meno importante, era quella di essere il fornitore di fiducia di una serie di persone piene di soldi che amavano la polvere bianca e altri accessori senza rischi e senza problemi.

E da lui non ne avevano mai avuti.

Non era uno spaccio in grande stile ma era un gettito continuo, una specie di piccola rendita. Bastava una telefonata a un numero sicuro e i signori e le signore della upper class si vedevano recapitare a casa quello che serviva per le loro serate o ricevevano indirizzi per i loro giochini.

Loro avevano il denaro, lui aveva quello per cui erano disposti a pagare.

Questo incrocio di domanda e offerta era così naturale da far cadere ogni scrupolo, se mai Ziggy ne avesse avuti.

Saltuariamente, quando riusciva, vendeva informazioni a chi ne aveva bisogno. Talvolta anche alla Polizia, che in cambio di qualche soffiata produttiva fatta nel più rigoroso riserbo, chiudeva un occhio sui frequenti viaggi di Ziggy Stardust in metropolitana.

Ovviamente quello non era il suo vero nome. L’originale non se lo ricordava più nessuno. A volte nemmeno lui. Quel soprannome gli era arrivato addosso tanto tempo prima, quando qualcuno aveva notato una sua somiglianza con David Bowie all’epoca in cui era uscito il disco Ziggy Stardust and the Spiders from Mars. Non ricordava più chi era stato e sotto l’effetto di quale sostanza fosse stata ravvisata tale somiglianza, ma la definizione era rimasta.

Era l’unica cosa che lo estraeva un poco dall’anonimato nel quale aveva sempre cercato di vivere. Lui non camminava in mezzo alla strada. Si muoveva rasentando i muri e sempre nella zona più in ombra. Quando era in grado di scegliere, preferiva essere dimenticato, piuttosto che ricordato.

La sera rientrava nel suo buco a Brooklyn, guardava la televisione e girava per Internet e usciva solo per telefonare. Tutte le chiamate di lavoro le faceva da un telefono pubblico. A casa, su un mobile, aveva sempre un rotolo di quarti di dollaro, per ogni evenienza. Un sacco di gente non aveva capito che non a caso il cellulare si chiamava in quel modo. Era nello stesso tempo un telefono e il veicolo che ti portava in galera. E quelli che ci finivano per una intercettazione da un telefonino se lo meritavano.

Non perché erano delinquenti, ma perché erano stupidi.

Anche adesso, mentre scendeva la scala che portava alla stazione di Bleecker Street, con il suo costume da passeggero qualunque, non riusciva a fare a meno di radicarsi nel suo convincimento. Meglio far credere a tutti di non essere nessuno, piuttosto che prima o poi qualcuno decidesse di dimostrartelo.

Arrivò sulla piattaforma e salì su un vagone della linea verde diretto verso Uptown. L’aprirsi e il chiudersi delle porte scorrevoli, l’ingresso e l’uscita costante di passeggeri stanchi e con l’unico desiderio di essere altrove volevano dire spinte, corpi a contatto, odore di sudore. Ma significavano anche portafogli e distrazione, i due elementi alla base del suo lavoro. C’era sempre una borsetta leggermente aperta, una tasca mal chiusa, una sacca vicino a qualcuno immerso in un libro così avvincente da fargli dimenticare tutto il resto. Qualche volta, Ziggy aveva pensato con un sorriso che per gli autori di best seller tuffanaso c’erano gli estremi di un’accusa di complicità per i borseggi che giornalmente avvenivano sulla metropolitana.

Certo non erano più i tempi d’oro. Adesso le carte di credito la facevano da padrone e c’erano in giro sempre meno contanti. Proprio per questo aveva deciso di allargarsi, diversificando le sue attività, come consigliavano i broker alla televisione.

Questo pensiero lo sorprese. Non aveva mai identificato se stesso come una persona a cui si potesse applicare quella definizione. Nella testa gli apparve l’immagine della sua carta da visita.

Ziggy Stardust

Broker

Per poco non si mise a ridere.

Attenzione la porta sta per chiudersi, recitò la voce programmata nell’altoparlante.

Si spostò verso la parte anteriore della carrozza, quella più affollata.

Superò un paio di persone, facendosi largo fra gomiti appesi e zaffate di aglio. Seduto di fianco alla porta c’era un tipo con una giacca verde militare. Non riuscì a definire la sua età. Dal punto in cui stava non lo vedeva bene perché da sotto la giacca spuntava il cappuccio blu di una tuta a nascondergli in parte il viso. Aveva la testa leggermente reclinata di lato e sembrava che il dondolio della carrozza lo avesse fatto assopire. Accanto ai suoi piedi c’era una borsa di tela scura, della dimensione di una ventiquattro ore.

Ziggy ebbe un leggero senso di formicolio ai polpastrelli. C’era una parte di lui che manifestava una percezione quasi extrasensoriale, quando individuava una vittima. Una specie di indole nascosta che a volte gli aveva dato l’idea di essere nato apposta per fare quello. Certo, l’abbigliamento di quel tipo non rivelava in nessun modo che nella borsa potesse esserci qualcosa di valore. Tuttavia le mani appoggiate in grembo non erano quelle di un uomo che svolge lavori pesanti e l’orologio sembrava di marca.