Secondo lui c’era qualcosa che andava oltre l’apparenza. Il suo istinto raramente lo aveva tradito e col tempo aveva imparato a fidarsi.
Una volta, senza ispirazione alcuna, aveva sfilato il portafoglio a un tipo in giacca e cravatta solo perché sfiorandolo aveva sentito al tatto un cappotto di cachemire che da solo doveva valere più di quattromila dollari.
Senza nessun’altra premonizione salvo l’illusoria referenza di quel tessuto, si era mosso. Poco dopo, nel portafoglio di quel tipo ci aveva trovato sette dollari, una carta di credito finta e un abbonamento della metropolitana.
Pezzente.
Si avvicinò all’uomo con la giacca verde, tenendosi dall’altro lato della porta. Attese un paio di fermate. Il numero di passeggeri stava aumentando. Si spostò verso il centro e poi, come per lasciare libero l’ingresso, si ritrovò accanto a lui.
La borsa di tela stava in terra. Era vicino ai suoi piedi, sulla sinistra, il manico nella posizione perfetta per essere
presa alla fermata giusta
scendendo mentre altri passeggeri salivano. Controllò che l’uomo avesse sempre la testa nella stessa posizione. Non si era mosso. Molti si assopivano sui treni, specie quelli che avevano un lungo viaggio da fare.
Ziggy si convinse che il tipo apparteneva a quella categoria di persone.
Attese di arrivare alla stazione della Grand Central, dove di solito il flusso dei passeggeri che entravano e uscivano era maggiore. Non appena si aprirono le porte, con un movimento estremamente veloce e naturale, prese la borsa e scese. Subito la nascose con il corpo.
Con la coda dell’occhio, mentre cercava di sciogliersi fra la gente, gli parve di vedere una giacca verde scendere dalla vettura, un istante prima che partisse.
Merda.
La Grand Central era sempre piena di sbirri e se quel tipo lo aveva sgamato, c’era il caso che ne venisse fuori una bella piazzata. E magari qualche giorno al fresco. Superò un paio di poliziotti, un uomo più anziano e una ragazza di colore, più giovane, che stavano chiacchierando giusto fuori dalla stazione. Non successe nulla. Nessuno arrivò di corsa gridando «Al ladro!» per attirare l’attenzione dei due agenti. Preferì non girarsi, per dare al tipo che lo seguiva l’impressione di non essersi accorto di nulla.
Uscì sulla 42sima e piegò subito a destra e poi ancora a destra, sulla Vanderbilt. C’era un tratto poco trafficato e quello era il posto giusto per controllare se il tipo con la giacca militare lo seguiva veramente oppure no.
Rientrò nel Terminal dall’ingresso laterale, approfittando dell’occasione per gettare uno sguardo distratto alla sua destra. Non vide girare l’angolo nessuno che potesse assomigliare alla persona in questione. Ma ancora non significava nulla. Se quello era un tipo sveglio, sapeva come fare per seguire qualcuno senza farsene accorgere. Esattamente come lui conosceva il modo per seminare qualcuno che lo stava pedinando. Si chiese di nuovo come mai il tipo non avesse avvertito i poliziotti. Se si era accorto subito del furto e gli era andato dietro per occuparsi personalmente di recuperare la borsa, questo poteva avere due significati.
Primo: correva il rischio che fosse un tipo pericoloso. Secondo: nella borsa ci poteva essere qualcosa di valore ma che era meglio non finisse sotto gli occhi della Polizia. E nell’ipotesi che questo secondo punto si fosse rivelato esatto, cresceva parecchio l’interesse di Ziggy per il contenuto. Ma nello stesso tempo il tipo diventava molto pericoloso.
Il suo presentimento luminoso si stava girando a poco a poco verso un cielo meno sereno. Scese al livello inferiore affollato di ristoranti etnici e gente che a ogni ora beveva e mangiava, dopo l’arrivo o prima della partenza. L’enorme sala era piena di insegne, colori, odori di cibo e un senso di fretta. E quest’ultima era quella che lo coinvolgeva di più, anche se si stava imponendo di camminare con passo normale.
Si trovò dall’altra parte e mentre saliva la scalinata di nuovo girò lo sguardo per controllare la strada dietro a sé. Nessuna persona sospetta.
Iniziò a rilassarsi. Forse era stata solo un’impressione. Forse iniziava a diventare troppo vecchio per quel lavoro.
Seguì le indicazioni e rientrò nella metropolitana. Si diresse verso la stazione della linea viola, quella che portava in alto, nel Queens. Aspettò l’arrivo di un treno e seguì il flusso di passeggeri che salivano in vettura.
Una precauzione dovuta. Alla luce del ragionamento di poco prima, l’uomo con la giacca verde, ammesso che lo stesse seguendo davvero, non avrebbe mai tentato nulla contro di lui in un posto affollato. Attese con aria indifferente fino a quando la solita voce annunciò che le porte stavano per chiudersi.
Solo allora, con uno scatto, tornò sulla banchina, come un passeggero che di colpo si rende conto di avere sbagliato vettura. Si lasciò alle spalle lo sferragliare del treno in partenza e si mosse di nuovo verso la linea verde che scendeva a Downtown per poi proseguire fino a Brooklyn.
Fece il viaggio in più tappe, aspettando a ogni fermata il convoglio successivo, continuando con aria indifferente a far vagare lo sguardo intorno a lui. Anonimo fra gente scazzata e anonima, con a tratti quelle macchie di colore umano che a New York facevano da termine di paragone. Ammesso che qualcuno avesse tempo e voglia di farne.
Quando decise che tutto era tranquillo, dopo l’ultima fermata trovò un posto a sedere. Si mise comodo e attese, la borsa in grembo, vincendo la curiosità di aprirla e di scoprire cosa c’era dentro. Meglio a casa, dove avrebbe potuto esaminare tutto con calma, senza fretta.
Ziggy Stardust sapeva aspettare.
Lo aveva fatto per tutta la vita, fin da quando era ragazzo e aveva iniziato ad arrabattarsi in mille modi per unire il pranzo con la cena. Aveva continuato in seguito, senza cadere nell’errore marchiano dell’avidità.
Accontentandosi, ma con l’incrollabile certezza che un giorno tutto sarebbe cambiato, di colpo. La sua vita, la sua casa, il suo nome.
Addio Ziggy Stardust, bentornato signor Zbigniew Malone.
Cambiò ancora una linea prima di arrivare a una stazione nei paraggi di casa sua. Abitava a Brooklyn, nel quartiere dove c’era la maggior concentrazione di haitiani e dove addirittura le scritte di alcuni ristoranti erano ancora in francese. Un mondo multietnico, con donne dal culo enorme e voce acuta e ragazzi dal passo strascicato e il berretto con la visiera girata da una parte. Al confine con quella zona il mondo ordinato e composto del quartiere ebreo, villette con prati ben curati e Mercedes nel vialetto d’ingresso. Persone silenziose, che si muovevano come ombre scure, i visi seri sotto i loro cappelli neri. Ziggy, ogni volta che li vedeva, aveva l’impressione che pregassero anche quando contavano il denaro.
Però a lui andava bene così. In attesa del giorno in cui avrebbe potuto permettersi di dire adesso basta e scegliere.
Sul muro della casa dove abitava, quello senza finestre che dava sulla strada, qualcuno aveva dipinto un murale. L’artista non era granché, ma quei colori, in un posto così stinto e slavato, gli avevano sempre messo allegria. Superò l’ingresso e scese i gradini che portavano verso il seminterrato che era casa sua. Un’unica stanza con un minuscolo bagno, mobili dozzinali e consumati e l’odore di cucina esotica che scendeva dai piani superiori. Il letto sfatto era appoggiato contro la parete di fronte, sotto la finestra vicina al soffitto che portava in casa la poca luce che arrivava dall’esterno. Tutto sembrava far parte di un tempo addietro, anche il tocco di modernità del televisore ad alta definizione, del pc e della stampante All-in-one, sui quali era posato un velo di polvere.