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Ci fu un attimo di silenzio.

«Non riuscirai mai a perdonarmi, vero?»

«Nathan, il perdono è per chi si pente. Il perdono è per chi cerca di riparare al male che ha fatto.»

L’uomo dall’altra parte attese un attimo, per dare modo a quelle parole di perdersi nella distanza che li separava. In ogni senso.

«Hai visto Greta di recente?»

«E tu?»

Vivien lo aggredì, sentendo salire quella voglia di picchiarlo che provava ogni volta che si trovava in sua presenza o semplicemente lo sentiva. In quel momento, se fossa stato seduto al suo fianco, gli avrebbe spezzato il naso con una gomitata.

«Quanto tempo è che non vedi tua moglie? Quanto tempo è che non vedi tua figlia? Per quanto tempo ancora credi di poterti nascondere?»

«Vivien, io non mi nascondo. Io…»

«Io un cazzo, brutto figlio di puttana!»

Aveva urlato. E aveva sbagliato a farlo. Il disprezzo che provava per quell’uomo non doveva essere manifestato con un ruggito. Doveva essere espresso con il sibilo del serpente.

E serpente divenne.

«Nathan, tu sei un vigliacco. Lo sei sempre stato e sempre lo sarai. E quando ti sei trovato davanti a delle difficoltà troppo grandi per te hai fatto l’unica cosa che sai fare: sei scappato.»

«Io ho sempre provveduto a tutte le loro necessità. A volte ci sono scelte che…»

Lo interruppe bruscamente.

«Tu non avevi scelte. Avevi delle responsabilità. E te le dovevi assumere. Quello straccio di assegno che mandi tutti i mesi non è sufficiente a compensare la tua latitanza. E nemmeno a mettere in pace la tua coscienza. Dunque adesso non chiamarmi per sapere come sta tua moglie. Non chiamarmi per sapere come sta tua figlia. Se vuoi sentirti meglio, alza quel maledetto culo sul quale sei seduto e vai a vederlo di persona.»

Premette con tanta rabbia il pulsante di fine comunicazione che per un istante ebbe timore che si fosse rotto. Rimase per qualche istante a guardare davanti a sé, guidando e ascoltando il battito forsennato del suo cuore. Poche lacere lacrime di rabbia le scesero lungo le guance. Se le asciugò con il dorso della mano e cercò di calmarsi.

Per dimenticare il posto dove era stata quel mattino e il posto verso il quale stava andando ora, si rifugiò nell’unico luogo sicuro che aveva: il suo lavoro.

Cercò di lasciarsi alle spalle ogni altro pensiero e ordinò alla sua mente di concentrarsi sull’indagine che si preparava ad affrontare. Richiamò le immagini di quel braccio che sporgeva dalla breccia di un muro, la desolazione di quella testa incartapecorita appoggiata a una spalla che era solo un residuo di pelle e ossa.

Anche se la pratica le aveva insegnato che tutto era possibile, quella stessa esperienza le faceva temere che sarebbe stato molto difficile risalire all’identità dell’uomo nel cemento. Di solito i cantieri erano un posto molto appetito dalla malavita per nascondere le vittime dei loro regolamenti di conti. Trattandosi di professionisti, spesso i cadaveri venivano sepolti nudi o stracciando dai vestiti tutte le etichette, nel caso remoto di un ritrovamento. Qualcuno addirittura cancellava le impronte digitali con l’acido. Esaminando il corpo, aveva notato che questo non era stato fatto e che le etichette erano al loro posto, per quanto fossero parecchio deteriorate. Significava che forse non si trattava di un professionista, ma di un omicida occasionale che non aveva avuto la freddezza e l’esperienza di eliminare ogni possibile traccia.

Ma chi poteva avere la possibilità di nascondere il corpo in un blocco di cemento? Era abbastanza difficile per chiunque, a meno di non avere la complicità di un addetto ai lavori. O forse il colpevole era proprio uno di loro. Uno che lavorava per un’impresa edile. Il delitto, quale ne fosse il movente, poteva essere l’azione isolata di un uomo comune verso un altro uomo comune, senza nessun coinvolgimento da parte della malavita organizzata.

L’unica pista era rappresentata da quelle foto, soprattutto da quel bizzarro gatto nero a tre…

«Cazzo!»

Si era fatta prendere dai suoi pensieri e non si era accorta che lo svincolo per la Hutchinson River Parkway era bloccato da una coda di macchine.

Frenò bruscamente, deviando verso sinistra per non tamponare l’auto che la precedeva. Il guidatore di un grosso pick-up alle sue spalle suonò con forza il clacson. Vivien vide dallo specchietto retrovisore che sporgendosi verso il parabrezza le stava mostrando il dito medio.

Di solito detestava ricorrere a certi mezzi quando non era in servizio, ma quella sera decise che aveva fretta. La propria distrazione, più che il gesto dell’uomo, l’aveva innervosita. Prese il lampeggiante magnetico dietro al sedile, aprì il finestrino, lo accese e lo appoggiò sul tetto.

Con un sorriso, vide l’uomo abbassare di colpo la mano e ritrarsi. Le macchine davanti a lei, nei limiti del possibile, accostarono per agevolare il suo passaggio. Si fece strada in direzione di Zerega Avenue e un paio di isolati dopo aver svoltato sulla Logan si trovò di fianco alla chiesa di Saint Benedict.

Parcheggiò la XC60 in un posto libero dal lato opposto della strada.

Rimase un attimo a osservare la facciata in mattoni chiari, la breve scalinata che portava ai tre portoni d’ingresso sormontati da archi a tutto sesto, le colonne e i fregi che li decoravano.

Era una costruzione recente. La sua storia non andava cercata nel passato, ma in quello che stava costruendo nel presente per il futuro. Mai Vivien avrebbe pensato che un posto come quello potesse un giorno diventarle così familiare.

Scese dalla macchina e attraversò la strada.

C’era già nell’aria quella penombra che confonde il colore dei gatti ma restava ancora luce a sufficienza per riconoscere una persona. Stava per avviarsi verso il priorato quando vide padre Angelo Cremonesi, uno dei vicari della parrocchia, uscire dal portone centrale insieme ad altre due persone, un uomo e una donna. Di solito le confessioni erano il sabato dalle quattro alle cinque ma nessuno era troppo fiscale e gli orari si rivelavano sempre abbastanza elastici.

Vivien salì i pochi gradini e lo raggiunse. Il prete rimase ad attenderla e la coppia che era con lui si allontanò.

«Buonasera, signorina Light.»

«Buonasera, reverendo.»

Vivien gli strinse la mano. Era un uomo che aveva superato la sessantina, con i capelli bianchi, un aspetto vigoroso e uno sguardo mite.

La prima volta che lo aveva incontrato le aveva ricordato Spencer Tracy in un vecchio film.

«È venuta a prendere sua nipote?»

«Sì. Ho parlato con padre McKean e tutti e due crediamo sia arrivato il momento di provare a farle passare un paio di giorni a casa. Lunedì mattina la riporto qui.»

Pronunciarne il nome le richiamò alla mente il viso e lo sguardo di Michael McKean. Aveva un volto espressivo e occhi che davano la sensazione di poter arrivare dentro le persone e oltre le pareti. Senza tuttavia forzare nessuna serratura o abbattere nessun muro. Forse era questa sua capacità di vedere oltre che lo faceva essere presente ogni volta che c’era bisogno di lui.

Il vicario, un uomo docile ma un poco pignolo, tenne a precisare i fatti.

«Padre McKean oggi non c’è e si scusa per questo. I ragazzi sono ancora al molo. Una persona gentile di cui non ricordo il nome ha offerto loro un giro in barca a vela. Mi ha appena chiamato John. Sa del vostro accordo con Michael e ha detto di avvertirla che stavano finendo di sistemare le loro cose e che fra poco saranno qui.»

«Molto bene.»

«Vuole attendere nel priorato?»

«No grazie, padre. Li aspetto in chiesa.»

«Allora a presto, signorina Light.»

Il sacerdote si allontanò. Forse aveva scambiato la sua intenzione di attendere in chiesa per devozione. Vivien non si pose il problema. In realtà tutto quello che desiderava in quel momento era restare da sola.

Spinse il battente del portone e superò l’atrio rivestito in legno chiaro, lasciandosi alle spalle le due statue di santa Teresa e san Gerardo poste in una nicchia nella parete. Un’altra porta, più leggera, la condusse all’interno vero e proprio della chiesa.