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«Da quello che ho ascoltato, posso azzardare una diagnosi, che mi riservo di confermare dopo aver studiato meglio questo caso. Purtroppo, non potendo parlare in via diretta con la persona, devo basarmi sulle testimonianze, per cui penso che resteremo per sempre nel campo delle ipotetiche certezze.»

Si accarezzò i baffi, cercando di esprimersi con termini alla portata di tutti.

«Da quello che ho sentito, credo che padre McKean fosse affetto da molti disturbi. Il primo era uno sdoppiamento di personalità, che lo faceva smettere di essere se stesso nel momento in cui subentrava quell’altro, identificabile con una giacca verde. Per essere più chiari, quando la indossava non fingeva, non interpretava un ruolo come un attore, ma diventava davvero un uomo diverso. Del quale, quando era libero, non restava alcun ricordo. Sono sicuro che la sua angoscia, di fronte a tutte quelle morti, fosse sincera. Lo prova il fatto che ha deciso di contravvenire a uno dei massimi dogmi della sua Chiesa e di violare il segreto confessionale, purché il colpevole fosse assicurato alla giustizia e gli attentati cessassero.»

Il dottore si appoggiò a una scrivania e lasciò vagare lo sguardo intorno.

Forse quello era il suo atteggiamento quando teneva le lezioni all’università.

«Sovente, accanto a queste sindromi, compare l’epilessia. Questo termine non deve trarre in errore. Non si tratta del male che tutti siamo abituati a conoscere, vale a dire occhi bianchi, bava alla bocca, convulsioni. Si presenta a volte in forme molto diverse. Durante gli attacchi, chi ne è affetto può anche avere delle allucinazioni. Per cui non è improbabile che padre McKean, in quei momenti, vedesse il suo alter ego.

Il fatto che l’abbia descritto ne è la prova. E nello stesso tempo è la prova di quello che ho detto prima, della sua assoluta non coscienza di quello che stava vivendo.»

Fece un gesto con le spalle che introduceva quello che stava per dire.

«Il fatto che avesse doti da ventriloquo e che in gioventù abbia praticato quest’arte, non fa che confermare questa tesi. Si crea a volte, nelle persone predisposte, un’identificazione fra l’artista e il suo pupazzo, la cui simpatia e il cui appeal sul pubblico sono la vera causa del successo. E scaturisce l’invidia o addirittura l’avversione. So di un mio collega che ha avuto in cura un paziente che era convinto che il suo fantoccio avesse una relazione con la moglie.»

Sorrise senza allegria.

«Mi rendo conto che cose come queste, dette qui, ora, possono anche fare sorridere. Ma vi prego di credere che in un ospedale psichiatrico sono all’ordine del giorno.»

Si allontanò dalla scrivania e tornò a passeggiare per la stanza.

«Per quanto riguarda questo John Kortighan, penso che in modo involontario sia stato completamente plagiato dalla figura carismatica di padre McKean. Lo deve avere idealizzato al punto da farlo diventare un idolo. E di conseguenza abbatterlo quando ha capito chi era e che cosa stava facendo in realtà. Quando ci ho parlato mi ha proposto addirittura di dire a tutti che era lui il responsabile degli attentati, per conservare intatto il buon nome del sacerdote e tutte le cose importanti che aveva fatto nella sua vita. Come vedete la mente umana è…»

Il telefono sulla scrivania del sindaco squillò e interruppe la sua conclusione. Gollemberg allungò una mano e portò la cornetta all’orecchio.

«Pronto?»

Rimase un attimo in ascolto, senza cambiare espressione.

«Buongiorno, signore. Sì, è tutto finito. Le posso confermare che la città non corre più pericoli. Ci sono altri ordigni esplosivi ma li abbiamo individuati e resi innocui.»

Ci fu una replica dall’altra parte, che il sindaco parve accettare con piacere.

«Grazie, signore. Le farò avere quanto prima un rapporto dettagliato di questa storia pazzesca. Non appena ci avremo capito qualcosa nella sua interezza.»

Rimase ancora un attimo all’ascolto.

«Sì, glielo confermo. Vivien Light.»

Un sorriso, forse provocato dalle parole della persona al telefono con lui.

«Va bene, signore.»

Il sindaco alzò il viso a cercare Vivien e

«E per lei.»

tese la cornetta al suo stupore.

Vivien si avvicinò, la prese e la portò all’orecchio come se non avesse mai fatto prima un gesto simile.

«Pronto?»

La voce che sentì arrivare era una delle più conosciute del mondo.

«Buongiorno, signorina Light. Mi chiamo Stuart Bredford e si mormora in giro che io sia il presidente degli Stati Uniti.»

Vivien trattenne l’istinto di mettersi sull’attenti ma non riuscì a trattenere l’emozione.

«È un onore parlare con lei, signore.»

«È un onore per me. Prima di tutto mi consenta di farle le condoglianze per la perdita di sua sorella. La scomparsa di una persona cara è un pezzo di noi che svanisce. E che lascia un vuoto che non si colmerà mai. So che voi due eravate molto legate.»

«Sì, signore. Moltissimo.»

Vivien si chiese come avesse potuto sapere della morte di Greta. Poi ricordò a se stessa che si trattava del presidente degli Stati Uniti e che aveva possibilità di avere informazioni su tutto e su tutti in pochi minuti.

«Questo le rende ancora più merito. Nonostante questo lutto lei è riuscita lo stesso a portare a termine un’impresa grandiosa. Ha salvato da morte sicura centinaia di innocenti.»

«Ho fatto il mio lavoro, signore.»

«E io la ringrazio, a nome mio e di tutte quelle persone. Ora, a proposito di fare il proprio lavoro, tocca a me.»

Una pausa.

«Per prima cosa le garantisco che, nonostante i fatti emersi, Joy non chiuderà. Sarà un mio preciso impegno, che prendo con lei in questo momento. Parola di presidente.»

Vivien vide sfilare a uno a uno i visi dei ragazzi e la loro aria smarrita mentre salivano sul mezzo che li avrebbe portati altrove. Sapere che avrebbero avuto ancora una casa le riempì il cuore di pace.

«Tutto questo è meraviglioso, signore. Quei giovani ne saranno felici.»

«E per quanto riguarda lei, c’è una cosa che vorrei chiederle.»

«Dica pure, signore.»

Una piccola pausa, forse una riflessione.

«È libera il 4 Luglio?»

«Prego, signore?»

«È mia intenzione proporla per la Medaglia d’Oro del Congresso. Il conferimento di questa onorificenza avviene qui a Washington il 4 Luglio.

Pensa di riuscire a liberarsi, per quella data?»

Vivien sorrise come se l’uomo dall’altra parte potesse vederla.

«Annullerò qualsiasi impegno fin da ora.»

«Molto bene. Lei è una grande persona, Vivien.»

«Anche lei, signore.»

«Io resterò presidente per altri quattro anni. Lei per sua fortuna resterà com’è per tutta la vita. A presto, amica mia.»

«Grazie, signore.»

La voce scomparve e Vivien rimase per qualche istante in piedi accanto alla scrivania, senza sapere che dire o che fare. Appoggiò il telefono sul suo supporto e si guardò intorno. Leggeva sui visi dei presenti la curiosità.

E non aveva alcuna voglia di soddisfarla. Quello era un momento suo e finché fosse stato possibile non intendeva dividerlo con nessuno.

Una mano che bussava alla porta venne in soccorso di quella certezza e di quel silenzio.

Il sindaco si girò in quella direzione.

«Avanti.»

Un ragazzo sulla trentina si affacciò dall’uscio socchiuso. In mano reggeva un quotidiano.

«Che c’è, Trent?»

«C’è una cosa che dovrebbe vedere, signor sindaco.»

Gollemberg fece un gesto e Trent si avvicinò alla scrivania. Appoggiò sul piano davanti a lui una copia del «New York Times». Il sindaco la scorse brevemente, poi prese il giornale e lo girò in modo che tutti i presenti potessero vederlo.