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«Forse sarà meglio che le dica che non sono riuscito a trovarla,» dissi e mi diressi verso la dispensa.

Giunto a metà strada la porta si aprì e ne uscirono la signora Lucy insieme al nuovo arrivato. Era un rimpiazzo per modo di dire, rispetto al massiccio Olmwood. Doveva avere appena qualche anno più di me, era di corporatura sottile, certo non il tipo che sollevi architravi. Il suo viso era magro e piuttosto pallido, e mi chiesi se fosse uno studente.

«Questo è il nostro nuovo collaboratore a tempo ridotto, il signor Settle,» disse la signora Lucy, e ci indicò uno dopo l’altro. «Il signor Morris, il signor Twickenham, il signor Swales, il signor Harker.» Fece un sorriso al nuovo arrivato, poi a me. «Anche il signor Harker si chiama Jack,» disse. «Faticherò un poco a non confondervi.»

«Una coppia di jack,» disse Swales. «Niente male, come mano.»

L’uomo sorrise.

«Le brande sono là dentro, se vuole riposarsi un po’,» disse la signora Lucy, «e in caso di incursioni ravvicinate la carbonaia è rinforzata. Temo che il resto dello scantinato non lo sia, ma mi sto dando da fare perché lo rinforzino.» Agitò i fogli che teneva in mano. «Ho fatto richiesta al responsabile del distretto per avere dei travi di rinforzo. Le maschere antigas sono laggiù,» disse, indicando una cassa di legno, «le batterie per le torce sono là,» e aprì un cassetto, «e il ruolino dei turni di servizio è appeso a questa parete.» Indicò l’elenco preciso di nominativi. «Qui le pattuglie e qui i turni di osservazione. Come vede, stasera il primo turno tocca alla signorina Westen.»

«Non è ancora arrivata,» disse Twickenham, senza nemmeno smettere di battere a macchina.

«Non sono riuscito a trovarla,» dissi.

«Oh, santo cielo,» disse la donna. «Spero che sia tutto a posto. Signor Twickenham, le dispiacerebbe prendere il posto di Vi?»

«Lo prendo io,» disse Jack. «Dove devo andare?»

«Lo accompagno,» dissi, dirigendomi verso le scale.

«No, un attimo,» disse la signora Lucy. «Signor Settle, detesto affidarle un incarico prima che lei abbia avuto occasione di familiarizzare con tutti gli altri, e non c’è proprio nessun bisogno di salire prima che siano suonate le sirene. Mettetevi a sedere, tutti e due.» Tolse dalla teiera il coperchio dipinto a fiori. «Gradisce una tazza di tè, signor Settle?»

«No, grazie,» disse lui.

La donna rimise il coperchio e gli sorrise. «Lei è dello Yorkshire, signor Settle,» disse, come se ci trovassimo tutti a un tè fra amici. «Di dove, esattamente?»

«Newcastle,» rispose lui educatamente.

«Che cosa l’ha portata a Londra?» chiese Morris.

«La guerra,» rispose l’altro, sempre educatamente.

«Voleva fare il suo dovere, eh?»

«Sì.»

«Ecco che cosa mi ha detto mio figlio Quincy. “Papà,” mi ha detto, “voglio fare il mio dovere per l’Inghilterra. Voglio diventare un pilota.” Ha abbattuto ventuno aerei, il mio Quincy, proprio così,» disse Morris a Jack, «ed è stato colpito dodici volte. Oh, anche luì ha avuto qualche graffio, te lo dico io, ma è tutto top secret.»

Jack annuì.

C’erano delle volte in cui mi domandavo se Morris, come Violet con i suoi piloti della RAF, non si fosse inventato tutte le imprese di suo figlio. Qualche volta mi domandavo se non si fosse inventato addirittura il figlio benché, se le cose stavano davvero così, avrebbe potuto trovargli un nome migliore di Quincy.»

«“Papà,” mi dice una volta all’improvviso, “devo fare il mio dovere,” e mi fa vedere la domanda di arruolamento. Mi ha quasi preso un colpo. Non che non sia patriottico, capisci, ma a scuola aveva qualche piccolo problema, era uno scavezzacollo, per così dire, e invece eccolo lì a dirmi, “Papà, voglio fare il mio dovere”.»

Le sirene si misero a suonare una dopo l’altra. La signora Lucy disse: «Ah, bene, eccole finalmente,» come se alla riunione fosse arrivato l’ultimo ospite, e Jack si alzò in piedi.

«Se volesse mostrarmi qual è il posto di osservazione, signor Harker,» disse Jack.

«Jack,» dissi io. «È un nome che dovrebbe essere facile da ricordare.»

Lo accompagnai di sopra, in quella che era stata la camera da letto del cuoco della signora Lucy, proprio sotto il tetto… al contrario della strada, un luogo di osservazione perfetto per le bombe incendiarie. Si trovava al quarto piano, più in alto della maggior parte degli edifici che davano sulla strada, così che era possibile vedere tutto ciò che cadeva sui tetti circostanti. Si poteva vedere anche il Tamigi, in mezzo ai comignoli, e nella direzione opposta i fari di Hyde Park.

La signora Lucy aveva sistemato accanto alla finestra, cui erano stati tolti i vetri, una sedia dallo schienale ampio, e lo stretto pianerottolo in cima alle scale era stato rinforzato con pesanti travi di quercia che nemmeno Olmwood era riuscito a sollevare.

«Quando le bombe cadono troppo vicine ci si rifugia qui sotto,» dissi, puntando la torcia sui travi. «Si sente un sibilo e poi una specie di gemito crescente.» Lo feci entrare nella stanza. «Se vedi delle bombe incendiarie grida e cerca di individuare esattamente il punto dove cadono sui tetti.» Gli spiegai come si usava il congegno di mira montato su una base di legno che ci serviva da sestante, e gli porsi il binocolo. «Hai bisogno d’altro?» gli chiesi.

«No,» rispose. «Grazie.»

Lo lasciai e tornai dabbasso. Stavano ancora parlando di Violet.

«Comincio a essere veramente preoccupata,» disse la signora Lucy. Uno dei cannoni della contraerea cominciò a sparare e si sentì in lontananza lo scoppio sordo delle bombe, e tutti ci fermammo ad ascoltare.

«ME 109,» disse Morris. «Vengono di nuovo dal sud.»

«Spero che abbia avuto il buon senso di trovarsi un rifugio,» disse la signora Lucy, e in quel momento Vi irruppe dalla porta.

«Scusate il ritardo,» disse, poggiando sul tavolo accanto alla macchina da scrivere di Twickenham una scatola legata con un nastro. Ansimava e il suo viso era soffuso di rossore. «So che è il mio turno di guardia, ma oggi pomeriggio Harry mi ha portato a vedere il suo aereo, e sulla via del ritorno abbiamo avuto un tempo orribile.» Si sfilò il cappotto e lo appoggiò sullo schienale della sedia di Jack. «Volete sapere come lo ha chiamato? Non ci crederete mai! Lo ha chiamato Sweet Violet!» Sciolse il nastro della scatola. «Eravamo così in ritardo che non abbiamo fatto in tempo a prendere il tè, e lui ha detto, “Porta questo alla tua postazione e fatevi un buon tè, mentre io terrò occupati i crucchi finché non avete finito”.» Frugò nella scatola e ne tirò fuori una torta con la glassa di zucchero. «Ha dipinto il nome sul muso e ha messo dappertutto delle piccole violette color porpora,» disse, posando la torta sul tavolo. «Una per ogni tedesco che ha abbattuto.»

Guardammo la torta. Le uova e lo zucchero erano stati razionati dall’inizio dell’anno, e anche prima era difficile trovarli. Era più di un anno che non vedevo un dolce straordinario come quello.

«C’è un ripieno di lamponi,» disse cominciando a tagliarla. «Non avevano cioccolato.» Sollevò il coltello sgocciolante di marmellata. «Allora, chi ne vuole una fetta?»

«Io,» dissi. Soffrivo la fame dall’inizio della guerra, ma da quando avevo aderito al Servizio di Pronto Intervento Antiaereo ero diventato ingordo, soprattutto di dolci, e avevo già divorato la mia fetta prima che lei avesse finito di mettere le fette sui piattini Wedgwood della signora Lucy e li avesse distribuiti agli altri.

Ne era rimasto un quarto. «Chi c’è di sopra che mi sostituisce?» chiese, succhiandosi un po’ di marmellata di lamponi dal dito.

«Il nuovo arrivato,» risposi. «Gliela porto su.»

Ne tagliò una fetta e la mise sul piattino con il coltello. «Che tipo è?» domandò.

«È dello Yorkshire,» disse Twickenham, poi guardò la signora Lucy. «Che faceva prima della guerra?»