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— Sì — disse Peter. — Invece del ristretto numero di fili usati da un comune EEG, il mio superEEG impiega oltre un miliardo di sensori nanotecnologici. Ogni sensore è sottile quanto un singolo neurone. Questi sensori circondano il cranio, come una cuffia da bagno. A differenza degli elettro-encefalografi standard, che ricevono la mescolanza di tutti i segnali neuronici da una vasta zona, questi sensori sono altamente direzionali e misurano soltanto il potenziale elettrico della membrana dei neuroni che si trovano direttamente sotto di essi. — Peter alzò una mano. — È ovvio che una linea verticale tracciata dall’esterno al centro del cranio interseca migliaia di neuroni, ma ciascuno origina un segnale diverso, e grazie a questo il computer può operare un sistema di riferimenti incrociati sui segnali provenienti da tutti i sensori, così è possibile isolare l’attività elettrica di ogni singolo neurone fra quelli presenti nel cervello.

Sarkar masticò un altro boccone di pesce e di gelatina. — Capisco. Ciò che chiamavi «rumore di fondo» era questo insieme di segnali non identificabili. Il problema non stava nella sensibilità, ma nella definizione.

— Sì. Aumentando la seconda, aumentiamo anche la prima. Con questa nuova apparecchiatura dovrei essere in grado di rilevare l’attività elettrica a livello minimo in ogni zona del cervello, anche se è rimasto in vita un unico neurone.

Sarkar parve impressionato. — L’hai già collaudata?

Peter sospirò. — Sì, ma soltanto su animali. Alcuni grossi cani. Non ho ancora potuto ridurre le dimensioni della cuffia e del resto per adeguarle alla testa di un topo, o di un coniglio.

— Ma questo superEEG fa realmente ciò che tu vuoi? Rivela l’esatto, pregnante momento della vera morte… la cessazione ultima di ogni attività cerebrale?

Peter si mordicchiò un labbro. — Non lo so. Ho raccolto gigabyte di registrazioni riguardanti le onde cerebrali di cani Labrador vivi, ma non ho avuto il permesso di metterne a dormire uno per sempre. — Spalmò dell’altra mostarda sulla carne affumicata. — Il solo modo di eseguire un collaudo corretto sarebbe con un essere umano in punto di morte.

Capitolo sesto

Peter bussò delicatamente, poi entrò in silenzio nella camera singola del reparto dove tenevano in cura i malati terminali. Una fragile donna sui novant’anni era seduta sul letto, con le spalle poggiate alla testata inclinata a un angolo di quarantacinque gradi. Due bottiglie di liquido chiaro pendevano da un’asta, a sinistra. Un piccolo apparecchio TV era montato su un supporto girevole sul lato destro del letto.

— Buongiorno, Mrs. Fennell — la salutò Peter.

— Buongiorno, giovanotto — disse la donna, con voce rauca e sottile. — Lei è un dottore?

— No. O almeno, non un dottore in medicina. Sono un ingegnere.

— È venuto per costruirmi una pista di pattinaggio in camera? O una diga idroelettrica? Io preferirei la pista.

— Temo di no. Io non sono quel tipo di ingegnere. Io sono…

— Stavo scherzando, giovanotto.

— Già. L’avevo capito. Il Dr. Chong mi ha detto che di solito lei è di buonumore.

Lei si strinse amabilmente nelle spalle, un gesto rassegnato con cui commentava la stanza d’ospedale, le fleboclisi, il lettino e tutto quanto. — Ci provo.

Peter si guardò attorno. Non c’erano vasi di fiori, né cartoline o biglietti, o cose che sembrassero portate da un visitatore. Mrs. Fennell era sola al mondo. Si chiese quali motivi avesse per essere di buonumore.

— Spero di non disturbarla. Io avrei, mmh, un favore da chiederle — disse. — Ho bisogno del suo aiuto in un esperimento.

La voce di lei crepitava come un cartoccio di foglie secche. — Che genere di esperimento?

— È una cosa del tutto innocua, indolore. Mi limiterei a chiederle di mettersi una specie di cuffia che ha una serie di piccoli elettrodi nel suo interno.

Le foglie secche crepitarono in quella che poteva essere una risata. Mrs. Fennell gli indicò i tubi che aveva nelle braccia. — Un altro affare o due ficcato addosso non cambierà le cose, suppongo. Quanto tempo dovrò portare quella sua cuffia?

— Be’, finché… uh, fino a…

— Finché morirò? È questo che vuol dire? Peter si sentì arrossire. — Sì, signora.

— A cosa servono gli elettrodi?

— La mia ditta costruisce apparecchiature biomediche. Abbiamo realizzato il prototipo di un nuovo elettro-encefalografo super sensibile. Lei sa cos’è un elettro-encefalografo?

— Un’attrezzatura che controlla le onde cerebrali. — La faccia di Mrs. Fennell era poco mobile; Chong aveva detto che era stata colpita da alcune piccole paresi. Ma i suoi occhi sorridevano. — Non si passa tanto tempo in un ospedale come ne ho passato io, senza imparare qualcosa.

Peter annuì.

— Questo speciale apparecchio per il controllo delle onde cerebrali è molto più preciso di quelli che usano qui. Ciò che io mi proporrei di registrare, sarebbe…

— Lei si propone di registrare la mia morte. È così?

— Mi spiace. Non volevo sembrarle insensibile.

— Non penso che lo sia. Perché vuole registrare la mia morte?

— Be’, vede, in questo momento non c’è nessun modo sicuro al cento per cento di capire se il cervello umano ha smesso di funzionare. Questo nuovo apparecchio dovrebbe essere in grado di stabilire il momento preciso della morte.

— Perché a qualcuno dovrebbe interessare questo? Io non ho parenti.

— Be’, in molti casi i degenti sono tenuti collegati ad apparecchi medici semplicemente perché non sappiamo con certezza se una persona sia veramente morta. Io sto cercando di arrivare a una definizione della morte che sia valida non soltanto dal punto di vista legale, ma da quello reale… un inequivocabile test che dimostri se un individuo è vivo o morto.

— E questo come può servire a qualcuno? — domandò lei. Il suo tono rivelava che quella era la questione che le interessava di più.

— Sarebbe importante nel trapianto degli organi — disse Peter.

Lei inclinò il capo. — Nessuno potrebbe volere i miei organi.

Peter sorrise. — Forse no, ma un giorno il mio apparecchio potrebbe servire a garantire che non vengano accidentalmente prelevati organi da una persona che non è del tutto morta. Sarà utile anche nei reparti di pronto soccorso, o nelle sale operatorie, per accertarsi che i tentativi di salvare un paziente non siano interrotti troppo presto.

Mrs. Fennell digerì quelle spiegazioni per qualche momento, poi: — Lei avrebbe anche potuto fare a meno del mio permesso, no? Le sarebbe bastato montare la sua attrezzatura, dicendomi che è solo un esame di routine. La metà delle volte non mi spiegano neppure quello che stanno facendo, qui.

Peter annuì. — Suppongo che sia come dice. Ma io ho pensato che fosse meglio chiederle il permesso.

Mrs. Fennell sorrise ancora. — Lei è un giovanotto molto simpatico, dottor…?

— Hobson. Ma la prego, mi chiami Peter.

— Peter. — Le rughe intorno ai suoi occhi s’accentuarono. — Sono qui da mesi, e nessuno dei medici mi ha mai chiesto di chiamarlo per nome. Hanno esaminato ogni parte del mio corpo, ma continuano a pensare che tenere le distanze sia parte del loro lavoro. — Fece una pausa. — Lei mi piace, Peter.

Lui sorrise. — Anche lei mi piace, Mrs. Fennell… Margaret.

L’anziana donna fece una risata, stavolta inequivocabile. — Mi chiami Peggy. — Tacque un momento, e il suo volto rugoso fu attraversato da un’ombra. — Sa, questa è la prima volta che sento il mio nome di battesimo da quando sono ricoverata qui. E così, Peter, lei è interessato a quello che succede al momento della morte?

— Sì, Peggy. Molto interessato.