Cathy scese dalle scale, nell’atrio. Aveva i capelli sciolti e indossava un paio di jeans malridotti e una blusetta bianca che le stava larga, coi due bottoni superiori aperti… negligenza, pensò Peter, che poteva essere vista come un’intenzione sexy oppure no. Evidentemente Cathy era confusa quanto lui, e si sforzava di inviare segnali che sperava fossero quelli giusti senza però considerare quello che poteva essere l’umore di lui. — Posso sedermi qui con te? — domandò Cathy, con voce morbida come una piuma fluttuante nella brezza.
Peter annuì.
Il divano consisteva in tre larghi cuscini. Peter era su quello di sinistra. Cathy sedette sulla fessura fra il cuscino di centro e quello di sinistra, anche in ciò mantenendo la distanza e cercando la vicinanza nello stesso tempo.
Restarono seduti così per alcuni lunghi minuti, senza dir parola e senza guardarsi.
Peter cominciò a muovere la testa avanti e indietro, sospirando. Aveva caldo agli occhi. Non riusciva a mettere a fuoco lo sguardo. Mancanza di sonno, diagnosticò. Ma poi, all’improvviso, si accorse che stava per cominciare a piangere. Trasse un lungo respiro e cercò di spingere indietro le lacrime. Ricordava ancora l’ultima volta che aveva pianto davvero; gli era successo a dodici anni. A quel tempo se ne era vergognato, convinto d’essere troppo grande per piangere, ma era caduto su un filo elettrico scoperto e aveva preso una brutta scossa, un vero e proprio shock. Nei trent’anni successivi aveva sempre mostrato al mondo una faccia stoica, spesso a fatica, ma ora sembrava che una marea salisse dentro di lui…
Doveva uscire dal soggiorno, andare da qualche parte in privato, lontano da Cathy, lontano da tutti…
Ma era troppo tardi. Il suo petto fu scosso da un sussulto. Aveva gli zigomi già umidi. Non ebbe la forza di reprimere un secondo singhiozzo, e poi un terzo. Cathy alzò una mano verso di lui come per toccarlo, ma dopo qualche istante ci rinunciò. Peter pianse per oltre cinque minuti, con la testa girata per nasconderle la faccia. Una lacrima cadde sulla copertina del libro di Robert A. Parker e fu lentamente assorbita dalla carta.
Avrebbe voluto smettere, ma non poteva. Le lacrime venivano fuori e continuavano a venire. Adesso cominciavano a colargli anche dal naso. Lui tossì, in una pausa fra due dei singhiozzi che gli portavano su le lacrime. Era un pianto troppo lungo, trattenuto per troppi giorni. Alla fine riuscì a schiarirsi la voce e mormorò alcune parole come per scusarsi, con calma. — Mi hai fatto male — fu tutto ciò che disse.
Cathy si stava mordendo il labbro inferiore. Annuì appena e sbatté le palpebre, come se trattenesse le lacrime. — Lo so.
Capitolo settimo
— Salve — disse la ragazza, un’afro-americana snella e attraente. — Benvenuta alla Family Service Association. Io sono Danita Crewson. Lei preferisce essere chiamata Catherine, o Cathy? — Aveva corti capelli riccioluti e indossava un completo giacca e gonna beige. Portava pochi gioielli, ma probabilmente autentici, e di buon gusto. La tipica immagine di una moderna professionista molto attiva.
Cathy, tuttavia, ne era stata colta di sorpresa. Danita Crewson non dimostrava più di ventitré o ventiquattro anni. Lei s’era aspettata che una consulente matrimoniale fosse una donna anziana, con un aspetto saggio e matronale, non una ragazza che in teoria avrebbe potuto essere sua figlia. — Cathy va bene. La ringrazio per avermi ricevuta con un preavviso così breve.
— Non c’è problema, Cathy. Venga, si accomodi. Ha riempito il modulo che la nostra impiegata le ha consegnato?
Lei le porse la cartella portadocumenti. — Sì. Il denaro non è un problema. Posso pagare l’intera tariffa.
Girando dietro la scrivania Danita ebbe una risatina, come se quella fosse una frase che le sarebbe piaciuto sentire più spesso. — Splendido — disse. Quando sorrideva le comparivano due fossette sulle guance. Cathy invidiò la sua freschezza. — Bene, ora mi dica qual è il problema.
Cathy cercò di mostrarsi composta. Per mesi s’era torturata su ciò che aveva fatto. Dio pensò, come ho potuto essere così stupida? E tuttavia, soltanto quando aveva visto piangere Peter s’era resa conto che doveva fare qualcosa, cercare un aiuto. Non sopportava il pensiero di farlo soffrire a quel modo. Unì le mani in grembo e disse, con voce misurata: — Io ho, uh, tradito mio marito.
— Capisco — annuì Danita con voce distaccata, professionale, esente da qualsiasi giudizio. — Lui lo sa?
— Sì, gliel’ho detto io. — Cathy sospirò. — È stata la cosa più difficile che io abbia mai fatto.
— Come l’ha presa?
— Ne è rimasto distrutto. Non l’avevo mai visto così sconvolto.
— Si è arrabbiato?
— Era inferocito. Ma anche molto triste.
— L’ha picchiata?
— Cosa? No, no, mio marito non è un violento. Non mi ha colpita.
— Né fisicamente, né verbalmente?
— Proprio così. È sempre stato buono e gentile con me.
— Ma lei lo ha tradito. — Sì.
— Perché?
— Non lo so.
— Ora che ha confessato tutto a suo marito — disse Danita, — lei come si sente?
Cathy ci pensò un momento, poi scosse le spalle. — Meglio. Peggio. Non lo so.
— Si aspetta che suo marito la perdoni?
— No — disse lei. — No. La fiducia è molto importante per Peter. E anche per me. Io… mi aspetto che il nostro matrimonio finisca.
— Ed è già finito?
Cathy guardò fuori dalla finestra. — Non lo so.
— Lei vuole che finisca?
— No, assolutamente no. Ma… ma voglio che Peter sia felice. Lui merita qualcosa di meglio.
Danita annuì. — Questo lo ha detto a suo marito?
— No, naturalmente, no. Ma è vero.
— È vero che lui merita qualcosa di meglio?
Cathy annuì.
— Lei sembra una persona piena di attrattive. Perché pensa una cosa del genere?
Cathy non disse niente.
Danita si appoggiò allo schienale della poltrona. — Il vostro matrimonio ha sempre funzionato bene, in precedenza?
— Oh, sì.
— Mai un periodo di separazione, o crisi analoghe?
— No… be’, una volta ci siamo lasciati, quando eravamo fidanzati.
— Ah. Per quale motivo?
Lei si strinse nelle spalle. — Non so dirlo, esattamente. Da circa un anno ci vedevamo regolarmente, all’università, poi un giorno io ruppi con lui.
— E non sa il perché?
Cathy guardò ancora fuori, come se dovesse estrarre energia dalla luce del sole. Chiuse gli occhi. — Suppongo che… non so bene, ma suppongo che non potessi credere che un uomo poteva amarmi tanto incondizionatamente.
— E così volle allontanarlo da sé?
Lei annuì lentamente. — Suppongo di sì.
— Sta ancora cercando di allontanarlo? È questo che c’è dietro il suo tradimento, Cathy?
— Forse — disse sottovoce lei. — Forse.
Danita si piegò in avanti. — Perché lei pensa che nessuno possa amarla? — volle sapere.
— Non lo so. Cioè, so che Peter mi ama. Siamo insieme da molto tempo, e questa è stata una delle costanti della mia vita. Io lo so. Eppure, anche dopo tutti questi anni, mi riesce difficile crederlo.
— Perché?
Un’impercettibile scrollata di spalle. — A causa di quello che io sono.
— E lei cos’è?
— Io… non sono niente. Niente di speciale.
Danita tamburellò sul piano della scrivania. — Sembra che lei non abbia molta fiducia in se stessa.
Cathy ci rifletté. — Probabilmente è così — ammise.
— Ma lei ha studiato all’università, mi ha detto.