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— Mmh. E la luce chiara alla fine del tunnel?

— La mancanza d’ossigeno causa un’iperstimolazione della corteccia cerebrale, anche nella zona visiva. Normalmente i neuroni della corteccia sono inibiti contro i superstimoli.

Ma quando il livello di ossigeno si abbassa, la prima cosa che smette di funzionare sono gli inibitori chimici. Il risultato è la percezione di una luce vivida.

— E le scene della vita passata?

— Non hai fatto un seminario, una volta, all’Istituto Neurologico di Montreal?

— Uhm… sì.

— E chi è il medico più famoso che abbia mai lavorato in quell’istituto?

— Wilder Penfield, mi sembra.

— Ti sembra — annuì Sarkar. — Nel mio ufficio ho una stampa che lo raffigura. Chissà quante volte l’hai guardata. Penfield fece degli studi che comportavano la stimolazione diretta del cervello. Scoprì che in questo modo era facile richiamare immagini visive di cose da lungo tempo dimenticate. E inoltre, in condizioni di anossia, il cervello è più attivo del normale, a causa dell’assenza degli inibitori. La rete neuronica spara stimoli a destra e a sinistra. Così, che il cervello sia pieno di immagini provenienti dal passato è del tutto inevitabile.

— E il senso di pace?

— Le endorfine prodotte dall’organismo, naturalmente.

— Mmh. Ma la visione di parenti morti da molto tempo? La donna con cui ho parlato dice di aver visto la sua gemella, Mary, che era morta poco dopo la nascita.

— L’ha vista come una bambinetta?

— No. L’ha descritta come una donna che assomigliava a lei.

— Il cervello non è stupido — disse Sarkar. — Sa quando è probabile che stia per morire. Ciò ovviamente induce i pensieri a dirigersi verso chi ci ha preceduto nell’aldilà. Ti dirò inoltre che questo è un punto pregnante: ci sono casi di bambini piccoli che hanno avuto un’esperienza di quasi-morte. E sai chi hanno visto?

Peter scosse il capo.

— I loro genitori, o i loro compagni di giochi. Individui che erano quantomai vivi. I bambini non conoscono nessuno che sia già morto. Se la EQM fosse realmente una finestra che si apre sull’aldilà, non avrebbero visto persone in quel momento ancora in vita.

— Mmh — disse Peter. — Del resto, la donna che ha visto la sua gemella Mary mi ha raccontato di aver avuto la EQM durante un malore mentre parlava al telefono con un’amica di nome Mary.

Sarkar annuì trionfante. — La potenza della suggestione. È tutto normale, spiegabile con le naturali reazioni cerebrali. — Il cameriere arrivò con il conto. Sarkar diede un’occhiata alla cifra. — Sai, la mia religione insegna che noi continuiamo a esistere dopo questo percorso terreno, ma l’esperienza di quasi morte non ha niente a che fare con la vera vita dopo la morte. Se vuoi sapere cosa c’è nell’aldilà, per Natale ti regalerò una copia del Corano.

Peter estrasse il portafoglio per pagare la sua metà del conto. — Credo che opterò per l’abbonamento a Skeptical Inquirer, se non ti spiace.

Capitolo nono

Peter Hobson aveva sempre avuto una spiccata simpatia per sua cognata Marissa. Nel 2004 la prima figlia di Marissa era deceduta di Sindrome di Morte Improvvisa Infantile: aveva semplicemente smesso di respirare, senza alcun preavviso, durante il suo terzo anno di vita. Marissa e il suo ex marito facevano uso di un Baby Monitor standard, un microfono collegato a un ricevitore che si portavano in giro per la casa.

Ma la piccola Amanda era spirata in silenzio.

Marissa aveva avuto un altro figlio, un anno dopo, ma fino da quand’era tornata a casa dalla clinica con il bambino s’era rifiutata di allontanarsi da lui. Giorno e notte, per mesi e mesi, era stata incapace di perderlo di vista salvo che non avesse la certezza che qualcuno lo stesse sorvegliando con attenzione. Razionalmente lei sapeva che quella sindrome ancora mal conosciuta poteva colpire anche i bambini meglio allevati, ma emotivamente dava la colpa a se stessa: se fosse stata accanto ad Amanda quando aveva smesso di respirare, forse avrebbe potuto salvarla.

A quell’epoca Peter lavorava sui suoi primi progetti di strumenti per il controllo medico a distanza. Con l’AIDS che continuava la sua lenta ma inesorabile diffusione in tutto il mondo, c’era una forte domanda di attrezzature che non dovessero entrare in contatto col corpo dei malati. I monitor per il controllo del cuore a distanza erano alquanto semplici, poiché si basavano sull’uso di minuscoli e precisi detector un tempo utilizzati nello spionaggio elettronico. E il controllo dell’attività cerebrale era già eseguito tecnicamente a distanza, poiché a separare gli elettrodi e l’encefalo c’era lo spessore dell’osso e del cuoio capelluto. Peter era però riuscito a realizzare un nuovo sistema per leggere i rudimenti dell’attività cerebrale a grande distanza, senza nulla che fosse a contatto col cranio del soggetto salvo un raggio laser ad infrarossi a basso voltaggio.

Così era nato il Baby Monitor Hobson, un apparecchio che poteva trasmettere i segni di vita nel cervello di un infante a un piccolo ricevitore situato altrove. Aveva regalato il prototipo a Marissa e a suo marito. Se il bambino fosse stato fisicamente in difficoltà, l’allarme del monitor li avrebbe avvertiti subito. I due erano stati entusiasti dell’apparecchio, e Peter, incitato da Cathy, aveva lasciato il lavoro all’East York General Hospital e fondato una piccola ditta per la costruzione e la vendita del Baby Monitor.

Poi una mattina Peter, disteso nel letto accanto a sua moglie, era stato svegliato dal bisogno di orinare. Guardando la radiosveglia aveva visto che erano le 06:45 a.m. La sveglia doveva suonare alle sette. Se Cathy stava dormendo non profondamente, lui sapeva che alzandosi l’avrebbe svegliata col risultato di privarla del suo ultimo quarto d’ora di sonno, pensiero che gli apparve detestabile.

Peter era rimasto a letto, sopportando la pressione nella vescica. Gli sarebbe piaciuto sapere se Cathy stava dormendo profondamente oppure no. Forse era già mezza sveglia e sonnecchiava con gli occhi chiusi.

E in quel momento l’idea lo aveva colpito: un uso del tutto diverso della sua tecnologia di monitoraggio. L’apparecchio gli era apparso nella mente completo di ogni particolare. Un pannello appeso alla parete di fronte al letto, con due ricevitori separati, uno per ognuna delle due persone della camera. Ciascuno avrebbe avuto un display grosso e uno piccolo. Quello grosso per indicare il tipo di sonno attuale del soggetto, e quello piccolo per il tipo di sonno verso il quale si stava spostando. Poteva essere aggiunto anche un contatore digitale per indicare il tempo trascorso dal picco massimo del tipo di sonno precedente, e il tempo che mancava al picco massimo del tipo di sonno successivo. Dopo poche notti di funzionamento l’apparecchio avrebbe avuto in memoria il ciclo di sonno di entrambi i soggetti monitorati.

I display avrebbero cambiato colore: bianco quando il soggetto era sveglio, rosso per rivelare che si trovava in stato di sonno leggero e sarebbe stato disturbato dal minimo rumore o movimento. Il giallo avrebbe indicato che il soggetto era in uno stato di sonno medio, cosicché l’altra persona si sarebbe potuta alzare per andare in bagno, o muovere, o tossire, con buona probabilità di non svegliare il partner. Il verde avrebbe significato che il soggetto era immerso in un sonno profondo, e che il suo compagno avrebbe potuto mettersi a ballare sul letto senza interrompere i suoi sogni.

Sarebbe stato ridicolmente facile da leggere: una grossa luce gialla più una verde piccola, con un 07 sul contatore, avrebbe voluto dire che se uno si fosse alzato in quel momento poteva disturbare il suo partner, ma se avesse portato pazienza per altri sette minuti il partner sarebbe stato profondamente addormentato e nessuno scossone avrebbe rischiato di svegliarlo.