Appena il programma segnalò che i percorsi neuronici del soggetto erano in memoria, Peter cominciò a far scorrere la registrazione in tempo reale a partire da una decina di minuti prima del momento della morte. Il computer cercava e delineava lo schema di emissione delle cellule nervose. Ogni gruppo interconnesso di neuroni che mandava un segnale di uscita singolo era codificata in rosso, un segnale doppio in arancione, un segnale triplo in giallo, e così via per i sette colori dello spettro.
Il risultato visivo era che l’immagine del cervello a schermo appariva pervasa da un’uniforme e palpitante luce bianca, l’effetto combinato di tutti i punti di colore diverso. Ogni tanto Peter ne ingrandiva una sezione con lo zoom per vedere da vicino l’attività di questa o quella zona. Alcune tacevano quasi del tutto, altre (presumibilmente quelle collegate alla vista e all’udito, o alla memoria) lampeggiavano di luci e filamenti multicolori come alberi di natale.
Ad un tratto potè vedere chiaramente gli effetti del collasso che aveva dato il colpo di grazia a Peggy Fennell. Lo schema grafico codice-colore si rinnovava ogni decimo di secondo, e ciò che accadde fu che un’area di tenebra cominciò ad allargarsi nel lobo parietale sinistro della donna, fra la Scissura Interemisferica e il Condotto di Silvio. A questo seguì un aumento dell’attività, con l’intero encefalo che si faceva sempre più brillante mentre gli inibitori perdevano ossigeno e di conseguenza i neuroni emettevano segnali a ripetizione. Dopo alcuni secondi una complessa rete di linee rosse prese forma nell’intero cervello della donna, schemi di zone che non avrebbero dovuto essere attive così all’unisono ma che s’accendevano e si spegnevano di continuo, come se la massa di tessuto nervoso fosse percorsa da spasimi. Poi la rete svanì, e nessun altro schema ne prese il posto. Dopo novant’anni di servizio, il cervello di Peggy Fennell era come un edificio ormai vuoto dove il vento stava soffiando dalle finestre spalancate. Il vento e i fantasmi.
Peter aveva sperato di poterlo guardare spassionatamente. Dopotutto erano soltanto dati. Ma era anche Peggy, quella brava donna dal carattere allegro che già una volta aveva sfiorato la morte, quella donna che lo aveva tenuto per mano mentre la vita sfuggiva alle sue povere forze.
I dati continuarono a scorrere, e in breve nell’immagine restarono solo pochi gruppi di punti colorati, come costellazioni in una notte di nebbia sempre più deboli e rade. Quando l’attività a schermo si fermò fu senza alcuno spasimo finale. Nessun grido, nessun sussurro. Soltanto il vuoto e il nulla.
A parte un…
Cosa diavolo era?
Un minuscolo lampo sullo schermo.
Peter riportò indietro la registrazione e la fece scorrere di nuovo, a velocità molto inferiore.
C’era un piccolo insieme di luci viola. Le palpitazioni avevano uno schema stabile, che si ripeteva e ripeteva identico, con la sola differenza che ogni volta era spostato più a destra. La tecnica di registrazione del superEEG giustificava quello spostamento: i neuroni non emettevano sempre nello stesso modo, e la massa cerebrale era abbastanza gelatinosa perché i più lievi movimenti della testa e le pulsazioni arteriose cambiassero leggermente le coordinate spaziali dei neuroni. L’attività che si spostava dai neuroni a quelli adiacenti lo faceva a passi così piccoli che il registratore l’aveva interpretato come il ripetersi della stessa emissione da parte degli stessi neuroni. Peter guardò la barra della scala sul fondo dell’inquadratura. Lo schema di luci viola, un complesso gruppetto di linee simile a un mucchio di tubi al neon affastellati, s’era già mosso di cinque millimetri, assai più di quanto dei neuroni potessero fare all’interno di una testa umana, salvo che in caso di un urto fisico violento, mentre lui sapeva che Peggy Fennell in quel momento era del tutto immobile.
Peter diede un altro ordine al programma. La velocità di scorrimento aumentò. Non c’era dubbio su questo: il gruppetto di luci viola si stava spostando verso la Scissura di Rolando, dal lobo parietale sinistro a quello destro, in linea retta. Ruotava un poco nel muoversi, come un cespuglio del deserto fatto rotolare via dal vento. Peter lo guardava meravigliato, a bocca aperta. Lo schema continuò a muoversi sotto il corpo calloso, oltrepassò l’ipotalamo e fu nell’emisfero destro.
Ciascuna regione del cervello era di norma abbastanza isolata dalle altre, e le onde cerebrali tipiche, ad esempio, della corteccia cerebrale erano diverse da quelle del cervelletto, o dei ventricoli, o dei lobi occipitali o frontali. Ma quel piccolo insieme di punti rossastri andava muovendosi da una regione all’altra della massa encefalica senza cambiare la sua forma e il suo aspetto.
Un malfunzionamento dell’apparecchio, pensò Peter. Oh, be’, niente funzionava mai alla perfezione la prima volta.
Senonché…
Senonché lui non riusciva a immaginare quale fosse il particolare tecnico che funzionando in modo alterato poteva causare un effetto di quel genere.
E l’insieme di punti viola continuava a muoversi nell’immagine vitrea e trasparente di quel cranio vuoto.
Peter cercò d’ipotizzare un’altra spiegazione. Possibile che ciò che vedeva fosse causato da microscariche d’elettricità statica, ad esempio fra i capelli di Mrs. Fennell e il cuscino? Ma in genere i tessuti ospedalieri erano in materiale anti-statico, proprio allo scopo di non interferire coi delicati sensori dei monitor, e la donna aveva pochi radi capelli bianchi. Inoltre portava la cuffia collegata al superEEG.
No, la causa doveva essere un’altra.
Lo schema viola si avvicinava alla parte più esterna del cervello. Peter si domandò se al contatto con le circonvoluzioni complesse della corteccia avrebbe finito per dissiparsi, o se sarebbe rimbalzato e tornato indietro, come un’immagine da videogame nei circuiti nervosi di una testa umana.
Non fece nessuna delle due cose.
Raggiunse la superficie del lobo parietale destro… e continuò ad andare avanti, attraversando le membrane che racchiudevano il cervello.
Sorprendente.
Peter prese la tastiera e inviò al programma di grafica altri ordini per far apparire tutti i particolari ossei del cranio che conteneva l’encefalo di Mrs. Fennell più il contorno della cuffia con i micro-elettrodi. Si diede dello stupido per non averlo fatto prima. Adesso era chiaro dove il gruppo di punti viola si stava dirigendo: dritto verso una tempia.
Verso la zona più sottile del cranio.
L’immagine continuò ad andare avanti, attraverso l’osso e poi nel rivestimento di tessuto muscolare ed epiteliale.
Senza dubbio qui, pensò Peter, avrebbe deviato. C’erano dei nervi che si diramavano in basso lungo il muscolo temporale: il trigemino, il nervo facciale… o forse quell’effetto si stava spostando lungo dei vasi sanguigni. Ad ogni modo, qualunque fosse l’elemento che ne determinava il percorso, Peter si aspettava di vedere un mutamento. Le ramificazioni dei nervi e dei vasi sanguigni s’infittivano molto al livello dell’epidermide. L’immagine si sarebbe allargata ad ombrello e poi dispersa.
Ma non fu questo che fece. Proseguì, restando esattamente della stessa forma, e pian piano oltrepassò il muscolo, la pelle e…
Fuori. Oltre il campo rilevato dai sensori.
Non s’era allargata e dissolta. Aveva semplicemente preso il volo. E tutto ciò senza perdere la sua coesione. Lo schema era rimasto unito e integro finché la cuffia dei microelettrodi non ne aveva smarrito le tracce.
Incredibile, pensò Peter. Incredibile.
Rallentò la registrazione in cerca di altri piccoli sintomi di attività neurale, ingrandendo e ruotando in tutti i sensi l’immagine tridimensionale.
Ma non ce n’erano più.
Il cervello di Peggy Fennell era di nuovo una forma trasparente e verginale come prima che il programma assorbisse i dati, privo di qualsiasi attività elettrica.