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Si cerca una persona all’ultimo stadio di una malattia terminale, o comunque in punto di morte, per il collaudo totalmente innocuo di una nuova apparecchiatura di monitoraggio biomedico. Località: Ontario Meridionale. Per la collaborazione saranno pagati 10.000 dollari canadesi. I soggetti terminali interessati, o le persone legalmente autorizzate ad agire in loro nome, sono pregati di rivolgersi in via confidenziale alla Hobson Monitoring (codice rete HOBMON).

Peter ebbe una smorfia di acre divertimento inviando quell’annuncio su Internet; sembrava così freddo. In effetti il suo imbarazzo era anche collegato al timore di apparire troppo ansioso, per aver offerto una ricompensa così elevata. Ma due giorni dopo gli avevano già risposto quattordici persone. Lui optò per un ragazzo, di appena dodici anni, che stava morendo di leucemia. La sua scelta fu motivata più dalla compassione che dalla necessità di variare la tipologia dei soggetti: la famiglia del ragazzo aveva dato fondo ai suoi risparmi per venire in Canada dall’Uganda, con la speranza di trovare una terapia più efficace nel suo caso. Il denaro sarebbe servito per pagare le spese che si accumulavano sulle loro spalle.

Dopo averci riflettuto Peter decise inoltre che i due precedenti casi meritavano la stessa ricompensa, e fece un versamento di 10.000 dollari alla famiglia di Gustav Reichhold. E dal momento che Peggy Fennell non aveva eredi localizzabili, lui fece una donazione a nome della donna alla Canadian Diabetes Association. S’era detto che presto molti ricercatori di tutto il mondo avrebbero lavorato per riprodurre i suoi risultati, e gli parve giusto stabilire un precedente perché i soggetti dei test ricevessero una somma generosa.

Tutte e tre le registrazioni risultarono notevolmente simili: un minuscolo campo elettrico coesivo abbandonava il cervello al momento del decesso. Per restare più sul sicuro Peter aveva registrato la morte del ragazzo ugandese con un diverso apparecchio superEEG. I princìpi di funzionamento erano gli stessi, ma in questo aveva usato altri componenti elettronici e soluzioni tecniche non identiche, tanto per accertarsi che l’effetto non fosse causato da una caratteristica peculiare dell’attrezzatura.

Nel frattempo — durante le ultime settimane — Peter aveva provato alcuni prototipi del superEEG su tutti i 119 dipendenti della Hobson Monitoring, senza dire a nessuno salvo un paio dei suoi più fidati collaboratori quale fosse lo scopo del test. Nessuno di loro stava morendo, ovviamente, ma lui voleva esser sicuro che l’Onda dell’Anima esistesse anche nei soggetti sani e non fosse soltanto una sorta di ultimo rantolo elettrico generato da un cervello morente.

L’Onda dell’Anima aveva una precisa caratteristica elettrica. La sua frequenza era molto elevata, ben superiore a quella della normale attività elettrochimica dell’encefalo, perciò, sebbene avesse un basso voltaggio, non restava confusa e sommersa dagli altri segnali emessi all’interno del cervello. Dopo aver apportato gli opportuni perfezionamenti all’apparecchiatura, Peter era riuscito senza alcuna difficoltà a isolare quello schema nell’immagine cerebrale di tutti i suoi dipendenti, anche se — questo lo fece ridere — gli occorsero parecchi tentativi prima di localizzare «l’anima» di Caleb Martin, l’avvocato della ditta.

Lo stesso Martin fu nel contempo incaricato del lavoro legale, e provvide di brevetti ogni componente del superEEG in Canada, negli Stati Uniti, nella Comunità Economica Europea, in Giappone, nella CIS e altrove. E l’industria coreana che fabbricava la maggior parte della produzione etichettata Hobson Monitoring stava già costruendo una nuova catena di montaggio per il superEEG.

Presto sarebbe giunto il momento di rendere pubblica la scoperta dell’Onda dell’Anima.

Capitolo dodicesimo

Peter aveva l’impressione d’essere uno scolaretto alle prese con lo sciocco scherzo bambinesco di mettere i pantaloni agli animali. Si fece strada verso una delle mucche, quella impastoiata in un angolo del recinto, e la accarezzò con rude gentilezza su un lato del collo. Erano passati anni dall’ultima volta che s’era avvicinato a una mucca; lui era cresciuto a Regina, ma aveva molti parenti che possedevano fattorie e allevamenti in varie zone del Saskatchewan, e da ragazzo era spesso andato a trascorrere da loro le vacanze estive.

Come tutte le mucche, anche quella aveva grandi occhi marrone e narici umide. Sembrava ignorare le carezze di Peter, così, senza ulteriori preliminari, lui le applicò il casco modificato sulla parte superiore del cranio, rasata a zero. L’animale muggì, ma più per la sorpresa che per protestare per quel trattamento. Il suo alito caldo puzzava in modo insostenibile.

— Siamo a posto laggiù, doc? — domandò il sovrintendente.

Peter guardò ancora la mucca. Si sentiva un po’ triste per lei. — Sì. Potete procedere.

In quel macello il bestiame veniva solitamente stordito con una scarica elettrica prima d’essere ucciso. Il metodo dell’elettroshock avrebbe però mandato in corto circuito l’apparecchiatura di Peter. Così quella particolare mucca sarebbe stata messa in stato d’incoscienza con il gas, diossido di carbonio, e quindi appesa a testa in giù sopra una vasca, dopodiché le avrebbero tagliato la gola per svuotarla del sangue. Con gli anni Peter aveva assistito a molte operazioni chirurgiche, ma c’erano cose a cui non poteva fare l’abitudine. Fu poco sorpreso quando nel vedere la mucca sgozzata a quel modo sentì una morsa allo stomaco per la nausea. Il caposquadra del reparto lo invitò a restare per tutte le fasi dell’operazione, compresa la macellazione della carcassa, ma lui non era dell’umore adatto. Recuperò il casco costruito appositamente per il cranio dei bovini, arrotolò i cavi del registratore, ringraziò per la loro pazienza gli operai a cui aveva dato disturbo e tornò in città, nel suo ufficio.

Trascorse il resto del pomeriggio lavorando sulla registrazione, e provò diverse nuove tecniche inserite nel suo programma di analisi grafica tridimensionale. Il risultato fu sempre lo stesso: qualsiasi metodo usasse, e per quanto a fondo cercasse, non potè trovare alcuna prova che le mucche avessero un’anima. Al momento della morte dell’animale nulla usciva dal suo piccolo cervello. Quella scoperta, si disse, non era poi molto stupefacente. Comunque fosse, per ogni persona che lo avrebbe definito un genio ce ne sarebbe stata un’altra che lo avrebbe maledetto. In quel caso, a esprimere opinioni poco entusiaste su di lui sarebbero state le associazioni che tutelavano i diritti degli animali.