Peter e Cathy avevano già deciso che quella sera sarebbero andati a cena al Barberian, il loro locale favorito per le bistecche. Ma all’ultimo momento lui telefonò per disdire il tavolo, e cenarono in un ristorante per vegetariani.
Quando Peter Hobson seguiva i corsi di tassonomia all’università, le due specie di scimpanzè note alla scienza erano il Pan Troglodytes (lo scimpanzè comune) e il Pan Paniscus (lo scimpanzè nano, detto anche Bonobo).
Ma la separazione fra gli scimpanzè e gli esseri umani è avvenuta solo circa 500.000 generazioni fa, ed essi hanno ancora il 98,4 % del DNA in comune. Nel 1993 un gruppo comprendente l’evoluzionista Richard Dawkins e il noto scrittore di fantascienza Douglas Adams pubblicò la Carta delle Grandi Scimmie, con la quale si chiedeva urgentemente l’adozione di una lista di diritti per i nostri cugini quadrumani.
Ci vollero tredici anni, ma alla fine la loro Carta fu discussa alle Nazioni Unite. Venne approvata formalmente una risoluzione senza precedenti con la quale si riclassificavano gli scimpanzè come membri del genere Homo, e ciò significò che da quel momento ci furono tre specie diverse di esseri umani: l’Homo Sapiens, l’Homo Troglodytes, e l’Homo Paniscus. Le prerogative umane furono divise in due grandi categorie: quella che includeva cose comuni a tutti (come il diritto alla vita, alla libertà, e alla salvezza da ogni genere di tortura), e quella che riguardava diritti d’altro genere, (come quello di perseguire la felicità, quello della libertà di religione, quello di possedere beni materiali, ecc.) concernenti esclusivamente l’Homo Sapiens.
Ovviamente, rientrando la cosa nei diritti del genere Homo, nessuno avrebbe più potuto uccidere uno scimpanzè adducendo come motivo la sperimentazione medica. In effetti, non fu più consentito tenere in gabbia uno scimpanzè, tantomeno in un laboratorio. E molte nazioni modificarono la definizione legale di omicidio includendo in essa l’uccisione di scimpanzè.
Adriaan Kortlandt, il primo esperto in comportamento animale a studiare gli scimpanzè, una volta li aveva definiti «anime timide dentro una pelliccia animale.» Ma ora Peter Hobson era in grado di constatare fino a che punto l’osservazione di Kortlandt poteva esser presa alla lettera. L’Onda dell’Anima esisteva nell’Homo Sapiens. Non esisteva nel Bos Taurus, la comune mucca. Peter era favorevole alla difesa dei diritti delle scimmie, ma tutti i progressi che erano stati fatti in quel campo negli ultimi decenni sarebbero stati annullati se fosse venuto fuori che gli esseri umani avevano l’anima e gli scimpanzè no. Comunque, lui si rendeva conto che sarebbe stato meglio non eseguire quei test di persona; a farli ci avrebbe pensato qualcun altro.
Anche se gli scimpanzè non venivano più catturati per i circhi, gli zoo e i laboratori, non pochi di essi vivevano in strutture di vario genere. La Gran Bretagna, il Canada, gli U.S.A., la Tanzania e il Burundi sovvenzionavano in comune un «albergo» per scimpanzè a Glasgow — fra tutti i posti possibili — dov’erano ospitati individui che non potevano essere rimandati nel loro ambiente naturale. A detta della direttrice, Brenda McTavis, molti avevano raggiunto i cinquant’anni, età piuttosto tarda per uno scimpanzè, ma in quel periodo nessuno era in punto di morte. Ad ogni modo Peter le spedì un paio dei suoi apparecchi, il programma di analisi dei dati e le istruzioni per eseguire i test.
— E ora — disse a Sarkar durante la loro cena settimanale da Sonny Gotlieb, — penso d’essere pronto per rendere pubblica la scoperta. Ah, i miei esperti di marketing hanno trovato un nome per il nuovo superEEG. Sarà chiamato SoulDetector.
— Oh, per favore! — si scandalizzò Sarkar.
Peter sogghignò. — Ehi, io lascio sempre queste decisioni a Joginder e alla sua squadra. Comunque, i brevetti del SoulDetector sono già a posto. Abbiamo oltre duecento esemplari imballati e pronti per la spedizione. Io dispongo di tre ottime registrazioni di Onde dell’Anima che lasciano il corpo di altrettanti esseri umani. So che alcuni animali semidomestici non hanno un’anima, e fra poco spero di avere i dati riguardanti gli scimpanzè.
Sarkar tagliò in due un lungo baccello. — Stai ancora trascurando un elemento di notevole importanza.
— Sì?
— Mi sorprende che tu non abbia già pensato da solo alla questione, Peter.
— Quale questione?
— L’estremità opposta della tua indagine: tu ora sai in quale momento l’anima parte dal corpo. Ma quando ci arriva?
Peter restò a bocca aperta. — Tu vuoi dire… vuoi dire nel feto?
— Precisamente.
— Santo cielo — mormorò Peter. — Potrei trovarmi dannatamente in imbarazzo, se qualcuno volesse una risposta a questa domanda.
— Forse — disse Sarkar. — Ma appena ti presenterai in pubblico, qualcuno te la farà.
— Ci saranno delle controversie di risonanza incredibile. Sarkar annuì. — È inevitabile. Ma mi stupisce che tu non ci abbia ancora pensato.
Peter distolse lo sguardo. Aveva cercato di non farsi quella domanda, ecco la verità. Una vecchia ferita, da molto tempo ormai guarita. O così aveva creduto.
Maledizione pensò Peter. Oh, maledizione.
Capitolo tredicesimo
Era successo tredici anni addietro, durante il loro primo anno di matrimonio. Peter lo ricordava ancora nitidamente.
31 ottobre 1998. Anche allora non cenavano a casa molto spesso. Ma s’erano detti che la sera di Halloween sarebbe stato meglio non uscire. Qualcuno doveva essere in casa per dare i dolciumi ai bambini che venivano a bussare alla porta.
Cathy aveva messo in forno le sue Fettuccine Alfredo, mentre Peter s’era impegnato a guarnire un’insalata Caesar con quadrettini di pancetta fritta, e poi avevano lavorato insieme a un budino come dessert. A far da mangiare insieme si divertivano, e negli spazi ristretti della piccola cucina avevano molte occasioni per toccarsi, stuzzicarsi, e scherzare su chi avesse la precedenza con i vari elettrodomestici. Cathy finì per ritrovarsi macchie di farina con la forma delle mani di Peter sui seni e sulle natiche, e lui finì con le impronte delle mani di lei, al pomodoro, su entrambe le guance.
Ma più tardi, quand’ebbero mangiato la pasta e furono sul punto di attaccare l’insalata, Cathy aveva detto senza alcun preavviso: — Sono incinta.
Peter aveva abbassato la forchetta, guardandola. — Sul serio?
— Sì.
— Questo è… — Lui sapeva che avrebbe dovuto dire «Questo è meraviglioso», ma era stato incapace di pronunciare l’ultima parola. Aveva invece optato per «interessante.»
Lei s’era alquanto raggelata. — Interessante?
— Be’, suppongo che sia una notizia inaspettata, tutto qui.
— Una pausa. — Tu non avevi preso… — Un’altra pausa. — Dannazione.
— Credo che sia stato quando eravamo al cottage dei miei — aveva detto lei. — Ricordi? Tu avevi dimenticato i…
— Sì, ricordo — aveva annuito Peter, con una nota tesa nella voce.
— Dicevi che ti saresti fatto una vasectomia, quando avresti avuto trent’anni — aveva aggiunto Cathy, un po’ sulla difensiva. — Hai detto che se a quell’età non avessimo ancora voluto un figlio, te la saresti fatta.
— Be’, non intendevo dire che me la sarei fatta proprio il dannato giorno del mio compleanno. Ho ancora trent’anni. E inoltre, stavamo ancora discutendo se era il caso di avere un bambino.
— Allora perché ti stai arrabbiando? — aveva chiesto Cathy.
— Io… non sono affatto arrabbiato. — Lui aveva sorriso. — Davvero, tesoro, non lo sono. È solo che è una sorpresa, tutto qui. Una pausa. — Allora, se è successo in quel weekend, di quante settimane sei gravida? Un mese e mezzo?