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— Login — disse.

— Nome Login? — chiese la voce del computer, femminile e priva di emozioni.

— Sarkar.

— Buongiorno, Sarkar. Ordini?

— Rinomina Hobson 1 come: Spirito.

— Prego sillabare il nome di Destinazione.

Sarkar sospirò. La parola «spirito» era senza dubbio nel vocabolario del computer, ma il suo accento meridionale a volte gli creava delle difficoltà.

— S-P-I-R-I-T-O.

— Eseguito. Altri ordini?

— Rinomina Hobson 2 come: Ambrotos.

— Eseguito. Altri ordini?

Peter intervenne: — Perché «Ambrotos»?

— È la parola greca che significa «immortale» — spiegò Sarkar. — La puoi risentire in sostantivi come «ambrosia», il cibo che conferiva l’immortalità.

— Oh, la tua famosa scuola superiore privata — annuì Peter.

Sarkar sorrise. — Esattamente. — Si rivolse alla consolle: — Rinomina Hobson 3 come: Control.

— Eseguito. Altri ordini?

— Carica Spirito.

— Caricato. Altri ordini?

— Okay — disse Sarkar, tornando a girarsi verso Peter. — Spirito è la tua copia che dovrà simulare un’entità vivente dopo la morte. Per arrivare a questo bisognerà amputargli tutte le funzioni puramente biologiche. Questo non significa rimuovere parti della mente conscia, in effetti, bensì disconnettere varie reti neurali. Per scoprire quali connessioni dobbiamo tagliare useremo la Dalhousie Stimulus Library. Sarebbe la versione canadese di una collezione di immagini standard e di suoni creati in origine dall’Università di Melbourne; è usata comunemente nei test psicologici. Intanto che Spirito sarà esposto alle immagini e ai suoni, noi registreremo quali neuroni emettono per reazione. Peter annuì.

— Gli stimoli sono tutti catalogati in base al tipo di emozione che si suppone debbano innescare: paura, ribrezzo, eccitazione sessuale, fame, eccetera. Noi cercheremo di capire quali reti neurali vengono attivate esclusivamente dalle necessità biologiche, e provvederemo ad azzerarle. Dovremo comunque far passare queste immagini più volte, in sequenze mescolate a caso. Questo a causa delle azioni potenziali: certe reti neuroniche non vengono attivate, a meno che poco prima una combinazione di neuroni sostanzialmente analoga non sia stata innescata da altri stimoli. Quando avremo finito questa operazione avremo ottenuto una versione della tua mente che simula, almeno nei parametri essenziali, come tu saresti se ti fossi liberato da tutte le necessità fisiche… come saresti dopo morto, in altre parole. Quindi faremo la stessa cosa con Ambrotos, la versione immortale, con la differenza che da lui amputeremo la paura d’invecchiare e tutte le preoccupazioni sul decadimento fisico e sulla morte.

— E per la versione di controllo?

— Control sarà sottoposto alla stessa collezione di immagini e di suoni, per mantenere la massima somiglianza possibile con gli altri due simulacri, ma non azzererò nessuna delle sue reti neurali.

— Molto bene.

— Okay — disse Sarkar. Si girò verso la consolle. — Fai girare la versione 4 della Dalhousie.

— Eseguito — rispose il computer.

— Riferisci il tempo stimato per il completamento.

— Undici ore e diciannove minuti.

— Informami quando l’operazione sarà completata. — Sarkar fece ruotare lo sgabello. — Bene. Né tu né io dobbiamo stare qui durante l’intera faccenda, ovviamente. Ma su quel monitor puoi vedere ciò che Spirito sta osservando in questo momento.

Peter guardò lo schermo: una farfalla Monarch che usciva da un bozzolo. Il porto di Melbourne. Una bella ragazza che gettava un bacio alla telecamera. Alcune stelle del cinema del 1980, che lui riconobbe al primo sguardo. Un incontro di boxe su un ring. Una casa in fiamme…

Capitolo diciannovesimo

novembre 2011

Sarkar aveva chiamato Peter di buon’ora, quella domenica mattina, per informarlo che la potatura e l’addestramento dei simulacri erano completati. Cathy era fuori in cerca di qualcosa da comprare alle «garage sales» — l’usanza americana di vendere oggetti d’ogni sorta sullo spiazzo davanti al garage di casa, che aveva preso piede anche in Canada — così Peter le lasciò un messaggio sul computer domestico. Poi saltò sulla sua Mercedes e raggiunse la sede della Mirror Image, a Concord.

Negli uffici non c’era nessun altro, ma Sarkar non conosceva orari o festività. Mentre lo precedeva fra le complesse apparecchiature del suo laboratorio, disse: — Per primo, cercheremo di attivare il simulacro Control. — Peter annuì. L’amico premette alcuni pulsanti e quindi si rivolse a voce al microfono che sporgeva dalla consolle. — Salve — disse.

Dall’altoparlante uscì una voce sintetica. — Sa… salve.

— Salve — disse ancora lui. — Sono io, Sarkar.

— Sarkar! — la voce era piena di sollievo, adesso. — Che diavolo sta succedendo? Non riesco a vedere niente.

Peter si accorse d’essere rimasto a bocca aperta. Il simulacro era molto più realistico di quel che s’era aspettato.

— Va tutto bene, Peter — disse Sarkar nel microfono. — Non devi preoccuparti.

— Ho avuto… mi è successo un incidente? — disse la voce dall’altoparlante.

— No — rispose Sarkar. — No, stai benissimo.

— E andata via la luce, allora? Che ore sono?

— Circa le undici e quaranta.

— Di mattina o di sera?

— Di mattina.

— Allora perché è così buio? E perché hai la voce così strana?

Sarkar si volse a Peter. — Diglielo tu.

Lui si schiarì la gola. — Ehm, salve. Mi senti?

— Ti sento, ma chi sei? Sei ancora Sarkar?

— No. Sono io. Peter Hobson.

— Io sono Peter Hobson.

— No, non lo sei. Tu sei un’altra cosa.

— Di che accidenti stai parlando?

— Tu sei un simulacro. Una simulazione eseguita dal computer. Una mia copia.

Ci fu un lungo silenzio, poi: — Ah.

— Mi credi? — domandò Peter.

— Suppongo di sì — disse la voce dall’altoparlante. — Voglio dire, ricordo di aver discusso dell’esperimento con Sarkar. Ricordo… ricordo tutto, fino alla registrazione cerebrale. — Una pausa, poi: — Oh, merda! Allora lo avete fatto, è così?

— Sì — rispose Sarkar.

— Chi ha parlato? — volle sapere la voce.

— Sarkar.

— Non riesco a distinguervi bene — disse il simulacro. — Le vostre voci sembrano praticamente uguali.

Sarkar annuì. — Hai fatto bene a dirmelo. Modificherò il software perché accentui le differenze fra la mia voce e quella di Peter. Scusa se non ci avevo pensato.

— D’accordo, va bene — disse il simulacro. — Grazie. — E poi: — Cristo, hai fatto un buon lavoro. Mi sento… mi sembra d’essere ancora me stesso. Solo che… solo che non ho fame. Non sono stanco. E non sento contatti fisici da nessuna parte. — Ci furono alcuni mormorii. — Uh… ehi, quale sono io, dei tre simulacri?

— Tu sei Control — rispose Sarkar, — la versione sperimentale di appoggio. Sei il primo finora attivato. Ho preparato delle routine che possono simulare una varietà di input neurali, compresa la fame e la stanchezza. Temo di non aver pensato a simulare un certo numero di contatti corporali, pruriti o doloretti. Mi spiace.

— Non importa — disse Control. — Non mi ero mai accorto di quanto fossi abituato ai contatti o ai pruriti; ci faccio caso soltanto ora, con la scomparsa di ogni sensazione. E adesso cosa… cosa succederà?

— Puoi fare quello che vuoi — disse Sarkar. — Ad esempio, ci sono molti programmi di input a tua disposizione, sia qui in laboratorio che fuori, su Internet.