Anche quella sera decise di selezionare il simulacro Control.
— Salve — lo salutò. — Sono io, Peter.
— Salve — rispose il simulacro. — E mezzanotte passata. Non dovresti essere a letto?
Peter annuì. — Suppongo di sì. Il fatto è che… non so bene come spiegarlo, ma mi sento geloso, in un modo abbastanza strano.
— Geloso?
— Di Hans. È stato assassinato ieri mattina.
— È stato… oh, mio Dio!
— Parli come Cathy. Tutte quelle fottute esclamazioni di cordoglio.
— Be’, è stata una sorpresa.
— Su questo non c’è dubbio — borbottò Peter. — Tuttavia…
— Tuttavia cosa?
— Mi dà fastidio che Cathy ne sia così sconvolta. A volte… — Fece una lunga pausa, poi: — A volte mi chiedo se ho sposato la donna giusta.
La voce del simulacro suonò neutra: — Non è che tu avessi una gran scelta di donne.
— Oh, non saprei — disse Peter. — C’era Becky, no? Becky e io ci saremmo divertiti un mondo, insieme.
Dall’altoparlante uscì un suono strano, quello che uno avrebbe potuto emettere sputando dei semi d’arancia. — La gente crede che la scelta della persona da sposare sia basata su quello che uno è. In altre parole, uno riflette su se stesso e decide: io sono fatto così, e quindi scelgo una persona fatta così. Be’… non è vero.
— È verissimo, invece.
— Nossignore. Ascolta, in questi giorni io non ho avuto molto da fare, a parte leggere il materiale che arriva sulle Reti. Una cosa che mi ha colpito sono gli studi sui gemelli… suppongo d’esserne stato interessato perché sono il tuo gemello al silicone.
— All’arsenicato di gallio — disse Peter.
Di nuovo il rumore di semi sputati. — Gli studi dimostrano che i gemelli separati alla nascita restano identici in migliaia di cose: comprano la stessa marca di sigarette, mangiano gli stessi dolciumi, ascoltano la stessa musica. Se sono maschi si fanno crescere entrambi la barba, oppure entrambi no. Sul lavoro hanno carriere analoghe, e così via, somiglianza dopo somiglianza… salvo che in una cosa: le loro mogli. Un gemello può avere una sposa atletica, l’altro una delicata intellettuale. Uno può aver sposato una bionda, l’altro una bruna. Uno un’estroversa ridanciana, l’altro una donna ombrosa e scostante.
— Sul serio? — si stupì Peter.
— È un fatto accertato — disse Control. — Gli studi sui gemelli sono devastanti per l’ego. Tutte quelle somiglianze dimostrano che è l’eredità genetica, non l’educazione intellettuale, il fattore basilare della personalità. In effetti giusto oggi leggevo un ampio studio su due gemelli orfani, separati alla nascita. Entrambi erano molto disordinati. Uno aveva genitori adottivi maniaci della pulizia; l’altro era stato adottato da una famiglia con una casa trasandata e sporca come un pollaio. Lo studioso domandò ai gemelli perché fossero così disordinati, ed entrambi risposero che si trattava di una reazione ai genitori adottivi. Uno disse: «Mia madre era così meticolosa e precisa che non potevo sopportare le sue pignolerie.» L’altro disse: «Be’, mia madre non aveva il minimo senso dell’ordine, così penso di aver preso da lei.» In realtà nessuna delle due risposte corrispondeva al vero. La propensione al disordine era nei loro cromosomi. Quasi tutto ciò che siamo è nei nostri cromosomi.
Peter ruminò su quel concetto. — Ma questo non è dimostrato falso dalla scelta di spose radicalmente diverse? Una scelta divergente non significa che siamo individui formati da quel che ci accade dopo la nascita?
— A un primo sguardo può sembrare così — disse Control, — ma i fatti ci provano esattamente il contrario. Pensa a quando abbiamo deciso di sposarci con Cathy. Avevamo ventotto anni, giusto prima di prendere la specializzazione. Eravamo pronti ad affrontare la vita, volevamo farci una famiglia. Sicuro, eravamo già molto innamorati di Cathy, ma anche senza quella gran passione saremmo stati disposti a sposarci nello stesso periodo. E se lei non ci fosse stata avremmo cercato una compagna nella nostra cerchia di conoscenze. Ma pensaci un momento: avevamo un numero molto ristretto di possibilità. Prima eliminiamo tutte quelle che erano già fidanzate o impegnate… e in quel periodo Becky stava già con un altro, ad esempio. Poi togliamo tutte quelle che non erano di un’età compatibile con la nostra. Poi, per essere spiacevolmente onesti, scartiamo anche quelle che erano di un’altra razza o di una religione eccessivamente diversa. Quante ragazze sarebbero rimaste? Una, forse? Due, diciamo. Oppure tre o quattro, se avessimo cercato bene e fossimo stati molto fortunati. Ma non di più. Tu stai fantasticando su tutte quelle femmine che avremmo potuto sposare, ma se guardi com’era la situazione, quella reale, ti accorgerai che non avevamo quasi nessuna alternativa.
Peter scosse il capo. — Se la metti così, questa scelta sembra una cosa dannatamente fredda e impersonale.
— In un certo senso lo è — disse il simulacro. — Però mi ha fatto vedere con occhi diversi il matrimonio di Sarkar e Raheema, combinato dalle famiglie. Io ho sempre pensato che fosse una cosa sbagliata, ma quando ci guardi dentro non c’è poi tanta differenza. Loro due non hanno avuto molti candidati fra cui scegliere, e noi anche.
— Può darsi — disse Peter.
— È così come ti dico — insistè il simulacro. — E adesso vattene a letto. Sali al piano di sopra, entra in camera e sdraiati accanto a tua moglie. — Fece una pausa. — Vorrei averla io la tua fortuna.
Capitolo ventisettesimo
Il detective ispettore Alexandria Philo aveva un rapporto di amore-odio con quella parte del suo lavoro. Da un lato, interrogare quelli che avevano conosciuto le persone assassinate spesso le forniva indizi interessanti. Ma dall’altro, dover fare pressione su dei parenti ancora sconvolti dal dolore era un’esperienza spiacevole per lei quanto per loro.
Ancor peggio era il cinismo di cui a volte sentiva la presenza: non tutti le dicevano la verità; alcuni le nascondevano qualcosa, altri piangevano lacrime di coccodrillo. Personalmente Sandra era incline a fornire comprensione a chi vedeva soffrire, ma il poliziotto in lei diceva che niente doveva esser preso per quel che sembrava.
No, pensò. Non era il poliziotto in lei a darle quel consiglio. Era la semplice persona umana. Quando il suo matrimonio con Peter s’era concluso con la separazione, tutti i conoscenti che dapprima s’erano congratulati con loro affermando che erano fatti uno per l’altra avevano detto: «Oh, io lo sapevo che non sarebbe durato», e «Gesù, come hai potuto credere che quello fosse l’uomo per te», e «L’ho sempre detto che era uno scimmione» o un animale, o un bastardo, o qualunque fosse la definizione che uno preferiva per un uomo che era meglio perdere che trovare. Sandra aveva imparato allora che le persone, anche quelle come si deve, anche gli amici, mentivano con estrema spontaneità. In molte situazioni dicevano solo quello che secondo loro uno voleva sentirsi dire.
La porta dell’ascensore si aprì al sedicesimo piano del grattacielo North American Life. Sandra uscì. La Doowap Advertising aveva il suo elegante atrio, tutto in cromo e plastica rosa, proprio di fronte agli ascensori. In quegli anni moltissime compagnie private avevano rinunciato a esibire ragazze d’aspetto sensuale al banco d’ingresso, sostituendole con receptionist più anziani di entrambi i sessi che proiettavano un’immagine più seria e professionale. Ma la pubblicità era sempre la pubblicità, e il sesso continuava a vendere. Sandra cercò di esprimersi con parole semplici per non confondere la mente della cinguettante creatura piazzata dietro il bancone al solo scopo di rimbecillire i clienti maschi col suo sorriso.
Dopo aver mostrato la sua tessera a un paio di dirigenti, Sandra ebbe il permesso di disturbare la giornata lavorativa e cominciò a interrogare gli impiegati. La Doowap usava ancora uffici open space, che cinquant’anni prima erano molto comuni negli USA, benché la mentalità canadese fosse più portata a preferire uffici alla francese, o alla tedesca, ovvero porte chiuse e pochi contatti fra dirigenti e personale. Ma, di nuovo, la pubblicità era un mondo diverso.