— Uh-hu — canterellò Raheema, scettica. — Io non riesco mai a parlargli, quando guarda una partita. Aspetta un secondo.
Alla fine la voce di Sarkar fu in linea. — Stanno nove a otto, nei tempi supplementari. Sarà meglio che questa sia davvero una cosa importante, Pete.
— Abbi pazienza — disse lui. — Senti una cosa, tu hai letto di quell’omicidio con la vittima anche mutilata? È stato sui giornali per alcuni giorni, qualche settimana fa.
— Mi sembra di averne letto, sì.
— La vittima era un collega di Cathy, alla Doowap.
— Ah.
— Ed era… — disse Peter, poi s’interruppe. — Sì?
Lui è il tuo migliore amico pensò Peter. Il tuo migliore amico. Si sentiva un po’ nauseato. Tutte quelle cene insieme, faccia a faccia, e adesso doveva buttarlo fuori per telefono. — Cathy aveva avuto una relazione con lui.
Sarkar ne fu sconvolto. — No. Possibile?
Lui si costrinse a confermarlo. — Sì.
— Uauh — mormorò Sarkar. — Uauh.
— Tu sai che il padre di Cathy è morto giorni fa, vero?
— Naturalmente. Raheema le ha mandato un biglietto di condoglianze, e mi è dispiaciuto molto.
— Io non sono sicuro di poter affermare la stessa cosa. — Peter rallentò a un semaforo, poi accelerò di nuovo.
— Che vuoi dire?
— La polizia sta pensando che si tratti di omicidio.
— Omicidio!
— Sì, tutti e due. Il padre di Cathy e il suo collega.
— A’udhu billah.
— Non sono stato io a ucciderli — disse Peter.
— Naturalmente. Perché dici questo?
— Non posso negare che avrei voluto vederli morti. Almeno uno di loro. E adesso la polizia…
— Sospetta di te?
— Suppongo di sì.
— Ma tu non ne sai niente? Tu non c’entri?
— No. Almeno, non la versione di me che ti sta parlando.
— Questa è una strana… oh, mio Dio.
— Proprio così.
— Ci vediamo alla Mirror Image. Subito — disse Sarkar, e riappese.
Peter si spostò sulla corsia di sorpasso. Stava cominciando a cadere un nevischio fitto.
Peter abitava più vicino di Sarkar alla Mirror Image. Inoltre era uscito di casa prima di lui, e il risultato fu che dovette aspettare l’amico quasi mezz’ora, fermo in un parcheggio dove a quell’ora c’era soltanto un’altra macchina.
La Toyota di Sarkar sbucò dalla nebbiolina che aveva preso il posto del nevischio e rallentò accanto alla Mercedes. Peter spense il riscaldamento e uscì dall’auto, alitandosi il fiato sulle mani.
— I Leafs hanno vinto — disse Sarkar. — L’ho sentito alla radio poco fa.
Un’osservazione irrilevante. Sarkar stava cercando punti fermi in un mondo che scivolava nell’irrealtà. Peter annuì, conscio di avere lo stesso bisogno.
— E così tu credi… pensi che uno dei simulacri…? — Sarkar aveva paura di mettere in parole quella domanda.
Peter annuì. — Sulle Reti è possibile trovare qualsiasi cosa. Anche un killer. — S’incamminarono verso le doppie porte a vetri dell’edificio dove aveva sede la Mirror Image. Sarkar appoggiò il pollice destro sulla piastra del file scanner. — Sembra che la polizia abbia le prove che la cartella medica di mio suocero, sul MedBase, sia stata esaminata. O almeno, qualcuno ha contattato il database per un’operazione. Il costo dell’accesso è stato addebitato sul conto di un uomo che io ho conosciuto all’università.
— Ah. — Entrarono nel lungo corridoio d’ingresso. — Però occorre sapere il login, la parola-chiave e roba di questo genere.
— All’Università di Toronto ci assegnavano il nominativo del conto aggiungendo l’iniziale del nome al cognome. In quanto alla parola-chiave, la scelta di default per i primi giorni era sempre il cognome al contrario. Poi ti invitavano a cambiarla, ma c’era sempre qualcuno che non si curava di farlo. Se uno dei miei simulacri stava cercando il modo di entrare in un database medico, può aver provato coi nomi degli studenti di medicina che io conoscevo a quel tempo, per vedere se uno di loro ha mantenuto il login e la parolachiave che aveva allora.
Arrivarono al laboratorio principale della Mirror Image. Sarkar poggiò ancora il pollice contro un altro file scanner. La serratura scattò e i robusti battenti della porta scivolarono di lato con un sonoro ronzio. — Per prima cosa, bisogna disattivare e cancellare i tre simulacri — stabilì Sarkar.
Peter corrugò le sopracciglia.
— Che c’è? Non ti sembra una precauzione logica?
— È che… mi sento un po’ riluttante a farlo — disse Peter. — Tanto per cominciare, è probabile che soltanto uno di loro sia il responsabile. Gli altri due non devono soffrirne.
— Noi non abbiamo il tempo di giocare ai detective. È nostro dovere fermare questa faccenda prima che il simulacro colpevole dei due delitti uccida ancora.
— Ma perché dovrebbe uccidere ancora? Io so per quale motivo Hans Larsen è stato assassinato e, anche se non sarei mai arrivato a fargli questo, non posso dire che la sua morte mi addolori. Riesco anche a capire perché mio suocero sia stato ucciso. Ma non c’è nessun altro che io voglia veder morto. Oh, posso farti il nome di individui che mi hanno danneggiato o imbrogliato nel mondo degli affari, e di altri che ho odiato per anni ma, onestamente, non mi sogno neppure di volere la loro morte.
Sarkar gli diede uno schiaffetto amichevole. — Svegliati, Pete. Se non li cancelliamo saremo colpevoli di complicità.
Lui annuì lentamente. — Hai ragione, non posso negarlo. È l’ora di mettere fine all’esperimento.
Capitolo trentasettesimo
Sarkar si massaggiò nervosamente le dita, batté alcuni ordini sulla consolle del computer principale e disse, nel microfono: — Sistema operativo: pronto a ricevere istruzioni vocali.
— Voce confermata. Login? — domandò il computer.
— Sarkar.
— Buongiorno, Sarkar. Ordini?
— Cancellazione multipla, senza condizioni. Oggetto: tutti i file dei tre banchi dati di nome Spirito, Control, e Ambrotos.
— Confermi l’ordine di cancellazione? Potrò procedere solo se pronunci la parola «confermo.»
— Confermo.
— Cancellazione fallita. Motivo: tutti i file sono su soialettura.
Sarkar annuì. — Cambio di attributo. A tutti i file dei tre banchi dati già menzionati viene tolto l’attributo soia-lettura.
— Per l’accesso al cambio di attributo occorre la parolachiave.
— Parola-chiave: Abu Yusuf.
— Parola-chiave non corretta.
Sarkar si girò verso Peter. — Strano. Questa è l’unica parola-chiave che uso da qualche mese.
Peter si strinse nelle spalle. — Sarà la tua pronuncia. Usa la tastiera.
— Parola-chiave: Abu Yusuf. Riscontro su tastiera — disse Sarkar nel microfono, e premette i tasti con attenzione.
— Parola-chiave non corretta.
Lui tornò all’interfaccia vocale. — Chi ha bloccato i file su soia-lettura? — domandò al computer.
— Hobson, Peter G. — rispose la voce artificiale. Peter sentì il cuore balzargli in gola. — Oh, merda.
— Stampa a schermo la registrazione degli accessi dell’utente Hobson Peter G. — ordinò Sarkar.
Il computer gli fornì una lunga lista di dati in linguaggiomacchina a tratti intervallati da parole e cifre comprensibili. Lui fece scorrere tutte le schermate, poi batté un dito sulle ultime righe. — Vedi qui? Nodo nove-nove-nove. Modo diagnostico. Il tuo login è stato usato, ma dall’interno del sistema… non dal microfono o dalla tastiera.
— Maledizione. — Peter si piegò verso la consolle. — Sistema operativo, pronto a ricevere istruzioni vocali.