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— Dio! — sibilò lei, con voce impastata di paura e di rabbia.

Per un poco tacquero. Cathy s’era scostata da lui, sotto le coperte. Peter cercò di decifrare il miscuglio di emozioni che le vedeva sul viso. Alla fine, controllandosi con sforzo evidente, lei chiese: — C’è qualcun altro che vorresti vedere al cimitero?

— Sarkar mi ha domandato la stessa cosa — borbottò lui, seccato. — No, al momento non mi viene in mente nessun altro.

— E cosa… cosa pensi di me?

— Di te? Non dire sciocchezze.

— Ma io ti ho fatto del male.

— Sì, ma non desidero certo la tua morte. Quell’assicurazione non la placò affatto. — Cristo, Peter, come hai potuto fare una cosa tanto stupida?

— Era un esperimento. Non potevamo soppesare certe conseguenze.

— E la detective Philo?

— Che vuoi dire?

— Cosa succederà se comincerà ad avvicinarsi troppo alla verità? — domandò Cathy. — Vorrai uccidere anche lei?

Sabato mattina, Sarkar arrivò a casa di Peter alle dieci e un quarto. Cathy fece il caffè e glielo servì mentre suo marito finiva di vestirsi, poi sedettero tutti e tre al tavolo di cucina e spensero la TV.

— Allora, cosa pensate di fare? — li interrogò Cathy, con le braccia incrociate sul petto.

— Dobbiamo andare alla polizia — dichiarò Sarkar. Peter lo guardò sbalordito. — Cosa?

— Andare alla polizia — ripetè lui. — Questa cosa è completamente fuori dal nostro controllo. Abbiamo bisogno del loro aiuto.

— Ma se…

— Dobbiamo rivolgerci alla polizia. Racconteremo la verità. È un fatto scientifico senza precedenti. Noi non potevamo prevederne i risultati. Diremo loro questo.

— Se rendete pubblica una cosa del genere — disse lentamente Cathy, ci saranno forti ripercussioni.

— Puoi scommetterci — annuì Peter. — Prima di tutto saremo portati in tribunale.

— Con quali accuse? — obiettò Sarkar. — Noi non abbiamo fatto niente di illegale.

— Stai scherzando? — esclamò Peter. — Potrebbero accusarmi di omicidio, se risultasse che ad assoldare un killer per Hans Larsen sono stato io. E se anche credessero alla nostra storia, io sarei comunque ritenuto corresponsabile di un omicidio. E tu puoi essere accusato di negligenza criminale.

Sarkar sbatté le palpebre. — Criminale?

— Per non parlare delle leggi internazionali contro gli hacker — disse Cathy. — Se ho capito bene, voi avete messo in circolazione un software che sta invadendo come un virus computer e banchi dati di proprietà altrui, chissà dove. Questo è un reato grave.

— Ma noi non volevamo fare niente di male — insistè Sarkar.

— Questa è proprio la frase che ogni pubblico ministero sogna di sentir pronunciare agli imputati — disse Peter. — Un uomo tradito dalla moglie e un suo complice creano un software per uccidere l’amante di lei. Non ci vorrebbe molto per dimostrare che il mio era un piano per ottenere proprio quel risultato. Ma anche in caso contrario, ricordate il processo contro la Consolidated Edison? Il Decreto Frankenstein, lo chiamò la stampa: chi cerca di ottenere un profitto applicando una certa tecnologia deve pagare il costo delle conseguenze.

— Queste sono leggi statunitensi — lo corresse Sarkar.

— Io penso che un tribunale canadese riconoscerebbe la validità di quel precedente anche qui — disse Cathy.

— Sia come sia — insistè Sarkar, — i simulacri devono essere subito fermati.

— Sono pericolosi — annuì Cathy.

Sarkar guardò Peter. — Prendi il telefono. Chiama il noveuno-uno.

— Ma cosa potrebbe fare la polizia? — domandò Peter, allargando le braccia. — Anch’io sarei del parere di informarli, credetemi, se solo fossero in grado di fare qualcosa.

— Possono far spegnere le Reti — disse Sarkar. — I ripetitori via etere, i cavi ottici, le antenne paraboliche.

— Stai scherzando? Soltanto un ordine del CSIS o del RCMP potrebbe far questo, e magari dovrebbero invocare il War Measure Act per sospendere la trasmissione di informazioni su scala nazionale. E poi, chi ti dice che i simulacri siano ancora qui in Canada? A loro basta un attimo per passare sulle Reti statunitensi, o per varcare l’oceano. — Peter scosse il capo. — No, guarda, non esiste nessun modo di cancellarli dalle Reti.

Sarkar annuì lentamente. — Forse hai ragione.

Per qualche minuto tacquero. Alla fine Cathy disse: — Perché non provate voi stessi ad agire… a fare qualcosa sulle Reti? Io sono certa che il modo c’è.

Gli altri due la guardarono con aria d’attesa.

— Tu sei un esperto programmatore, Sarkar — continuò lei. — Scrivi un virus o un worm capace di rintracciarli e di distruggerli. Io ricordo il worm di Internet, quand’ero all’università… in pochi giorni s’era sparso in tutto il mondo.

Negli occhi di Sarkar si accese un lampo d’eccitazione. — Perché no? — disse. — Perché no?

Peter cercò di mostrarsi calmo e obiettivo. — Giusto. I simulacri sono molto voluminosi, dopotutto. Rintracciarli non può essere troppo difficile.

Sarkar stava annuendo. — Un virus che controlli tutti i file più grossi di, diciamo, dieci gigabyte… e potrebbe cercare due o tre degli schemi base delle tue reti neurali. Se li trova, cancella il file. Sì… sì, credo di poter scrivere qualcosa del genere. — Si volse a Cathy. — Idea geniale, Catherine!

— Quanto pensi di metterci a scriverlo? — volle sapere Peter.

— Non so esattamente — rispose l’amico. — Non ho mai scritto un virus prima d’ora. Un paio di giorni.

Lui annuì. — Auguriamoci che funzioni.

Sarkar lo guardò. — Io mi giro verso la Mecca cinque volte al giorno e prego. Forse Dio ci darebbe una mano più volentieri se anche voi infedeli gli rivolgeste una delle vostre preghiere cristiane. — Si alzò dal tavolo. — Meglio che vada. Per un paio di giorni avrò molto da fare.

Capitolo trentanovesimo

Peter aveva cercato di prepararsi a quell’inevitabile incontro. Eppure, ogni volta che l’interfono suonava, il cuore gli balzava in gola. In quei giorni c’erano stati solo falsi allarmi. Ma una mattina…

— Mr. Hobson? — disse la voce della sua segretaria. — C’è una persona che vorrebbe parlare con lei. E il detective ispettore Philo, della Polizia Metropolitana.

Peter inalò il fiato, lo trattenne per alcuni secondi e lo lasciò uscire in un lungo lento sospiro. Poi premette un pulsante sull’intercom.

— La faccia entrare, per favore.

Pochi momenti dopo la porta si aprì e la detective Alexandria Philo entrò nel suo ufficio. Peter s’era aspettato una poliziotta un po’ rigida in uniforme blu, invece quella che entrò era una giovane donna dalle movenze elastiche, in pantaloni grigi, camicetta bianca e blusa di seta color caffè. Esibiva orecchini color rubino a forma di goccia, capelli rossi tagliati sportivamente corti, due luminosi occhi verdi, ed era piuttosto alta. In mano aveva una valigetta portadocumenti coperta di pelle nera.

Peter si alzò e girò intorno alla scrivania. — Buongiorno, ispettore — la salutò, porgendole la mano.

— Buongiorno, dottor Hobson. — La stretta di lei fu ferma. — Penso che lei mi stesse aspettando, vero?

— Uh, be’, perché dice questo?

— Non ho potuto fare a meno di sentire la sua risposta. Lei ha detto «La faccia entrare.» Ma la segretaria non le aveva dato alcuna indicazione che facesse capire se ero un uomo o una donna.

Peter sorrise. — Vero. E sapevo già che lei è molto brava nel suo lavoro. Mia moglie mi ha parlato di lei.