— Lo so — disse Peter, stringendole una mano. — Lo so. Per alcuni minuti Sandra tacque, a occhi chiusi. Infine, parlando come se non avesse più una stilla d’energia nel corpo, mormorò: — La sua scoperta… io ho sentito… lei è sicuro che… c’è una vita… dopo la morte?
Tenendole la mano Peter annuì. — Sì, ne sono sicuro.
— Com’è… quella vita? — domandò lei.
Peter avrebbe voluto dirle che sarebbe stata meravigliosa, dirle di non aver paura, dirle di stare calma.
— Non ne ho idea — confessò.
Sandra annuì leggermente, accettando quelle parole. — Io lo saprò… molto presto — disse.
I suoi occhi si chiusero. Pochi minuti dopo Peter, col cuore in gola, vide l’elettrocardiogramma diventare piatto. Dopo averle lasciato la mano si guardò attorno, come in cerca di un segno dell’Onda dell’Anima che stava attraversando la stanza.
Non c’era niente.
Quando furono tornati alla Mirror Image, Sarkar caricò una copia della registrazione nel banco dati di una workstation. Nonostante l’ora tarda lavorò senza interruzione, fornendole le immagini della Dalhousie Stimulus Library. Poi, verso le ventidue, i preliminari terminarono. Mentre Peter, in piedi dietro di lui, gli teneva una mano su una spalla, attivò il simulacro.
— Salve, signora Philo — disse. — Come va? So che si è svegliata in questo momento. Io sono Sarkar Muhammed. Può sentirmi?
Ci fu una lunga pausa. Poi, esitante e tremula (incongruamente il sintetizzatore usava una voce maschile) lei disse: — Mio Dio, è questo che si prova quando si è morti?
— Non saprei — disse Sarkar. — Lei è l’altra… lei è il simulacro di cui abbiamo parlato. Capisce?
Stupita:-Oh!
— Ci scusi, Sandra — disse Peter, — ma abbiamo apportato qualche cambiamento, tagliato alcune reti neurali. Lei non è più esattamente quella di prima. Lei è ciò che Sandra Philo sarebbe se fosse uno spirito privo di ogni contatto col corpo.
— Un’anima, vuol dire. — Sì.
— Quel che sono è tutto ciò che resta di me, comunque — disse la voce. Una pausa. — Perché questo cambiamento?
— Anche perché lei non diventi ciò che è diventato Control. Ma soprattutto perché era necessario liberarla di certi legami: presto lei scoprirà che può costruire pensieri molto più complessi, ed elaborarli in modo assai più esteso di quel che poteva fare quando era viva. Le sue capacità mentali aumenteranno. Non dovrebbe avere troppe difficoltà a sopraffare le difese della versione di me che non è stata modificata nello stesso modo.
— È pronta a uscire da qui?
— Credo di sì.
— Può percepire qualcosa di ciò che la circonda?
— Vagamente. Sono in una stanza chiusa. C’è una porta, ma è fatta di luci terribili. Non oso toccarla.
— Niente paura. Lei si trova entro un banco di memoria isolato, e quelli che percepisce sono contatti elettrici chiusi — disse Sarkar. Batté un paio di comandi sulla tastiera. — Ecco fatto. Ora lei ha accesso alle Reti. Può cominciare da Internet.
— È un… si è aperto come un corridoio. Sì, posso vederlo.
— Attenta, Sandra: davanti a lei c’è anche l’ingresso di un banco dati che contiene una versione non-attiva di Control — disse Peter. Si fermi e la esamini. Lei può scandagliarla in profondità senza alcun pericolo, per apprendere tutto il possibile sul suo avversario… e su di me. Fatto questo, appena si sentirà pronta, potrà uscire sulle Reti. Poi non dovrà far altro che rintracciarlo. Lo trovi, e cerchi il modo di fermarlo.
— Lo fermerò — disse Sandra, con decisione.
Capitolo quarantaseiesimo
Disteso sul divano nel soggiorno di casa sua, Peter pensava agli avvenimenti di quegli ultimi mesi.
L’immortalità, per chi poteva pagarsela.
La vita dopo la morte.
La scelta di Hobson.
Era mezzanotte passata. Prese il telecomando e passò da un canale all’altro. Una televendita. Ironside. La CNN. Altra pubblicità. Una versione colorata artificialmente del Dick Van Dyke Show. La replica di un notiziario in lingua francese. Lo schermo della TV era l’unica fonte di luce nella stanza. Palpitava d’immagini e lampi di colore, un temporale teletrasmesso.
Peter pensò ad Ambrotos, il simulacro immortale. Tutto quel tempo a disposizione, la possibilità di fare tutto ciò che voleva. Diecimila anni, centomila anni di attività…
L’immortalità nanotecnologica. Gesù, riuscivano a fare le cose più incredibili da un po’ di tempo a quella parte.
Lasciarselo alle spalle, aveva detto Ambrotos. Null’altro che un piccolo incidente di viaggio su una strada senza fine.
Peter continuò a cambiare canale, distrattamente.
La faccenda di Cathy aveva avuto un grosso impatto su di lui.
Lo aveva fatto piangere, per la prima volta in un quarto di secolo.
Ma il simulacro immortale lo definiva un fatto di poco conto.
Gli sfuggì un sospiro rumoroso.
Lui amava sua moglie.
Ma lei gli aveva fatto del male.
La sofferenza era stata… era stata squisita.
Ambrotos non provava più nulla così intensamente.
Attraversare l’eternità con quell’indifferenza sembrava sbagliato.
Non sentirsi distrutto da una cosa del genere era come… in un certo senso era come essere meno vivo.
La qualità, non la quantità.
Hans Larsen aveva fatto tutte le scelte sbagliate. Naturalmente.
Peter smise di saltare da un canale all’altro. Eccone uno: la CBC francese, e come al solito a quell’ora una donna nuda.
Lui la guardò con piacere.
Probabilmente un immortale sarebbe arrivato a stancarsi, forse addirittura a detestare la vista di una bella femmina. Avrebbe mantenuto la capacità di gustare una buona cena? Avrebbe sofferto ancora dopo esser stato tradito dall’ennesima donna amata? Avrebbe gioito nel riallacciare il rapporto con lei? Forse sì, ma non intensamente come le prime volte, non con lo stesso brivido, con gli stessi timori, con le stesse speranze.
Solo un altro episodio nell’infinito fiume degli eventi.
Peter spense la televisione.
Cathy gli aveva detto che l’immortalità non le interessava, e lui era arrivato alla conclusione di non esserne più attratto come una volta. Dopotutto, ora sapeva che c’era qualcosa di più dopo la vita, qualcosa aldilà di essa, qualcosa di misterioso.
E voleva scoprire cosa fosse… a suo tempo, naturalmente.
Lui aveva definito quei fatti essenziali. Il principio della vita. La fine della vita.
E, almeno per quanto riguardava se stesso, aveva definito ciò che significava essere un uomo.
La sua scelta era fatta.
La mente di Alexandria Philo viaggiava nei labirinti delle Reti. Control, il simulacro di Peter Hobson, era voluminoso: gigabyte di dati. Per quanto clandestinamente uno cercasse di spostare quella massa d’informazioni, lasciava disturbi e tracce che potevano essere rilevate. Lei seguì i suoi spostamenti lungo i meandri di Internet dal Canada agli Stati Uniti, sulle porte d’accesso ai computer del governo e delle forze armate, su fino ai satelliti dove passavano i dati finanziari internazionali, di nuovo nel Canada dove Control era tornato per due volte, e quindi oltre l’oceano in Inghilterra; poi in Francia, poi in Germania.
E ora tutto le faceva pensare che il simulacro omicida si fosse fermato nei massicci sistemi cibernetici della Bundespost, ad Hanover.
Per precauzione, tuttavia, Sandra non lo aveva seguito direttamente fin lì. S’era invece infiltrata nei banchi dati della Società Idroelettrica Tedesca, nel cui computer principale aveva lasciato un piccolo programma che ad un’ora predeterminata avrebbe bloccato il sistema, interrompendo l’erogazione di energia elettrica in tutta la città.