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Cercò di contare i secondi: parevano trascinarsi, interminabili.

La colonna sonora disse: Osservate attentamente, adesso… osservate attentamente… salgono e spariscono… salgono e spariscono… salgono e spariscono…

C’erano meno uomini intorno al tavolo, adesso, soltanto due o tre, e osservavano così attentamente che non avevano visto sparire gli altri. Forse quei due o tre sarebbero rimasti. Tra tutti, quei due o tre erano i soli che non erano dei mutanti ignari.

Vickers aprì la porta, senza fare rumore, sgattaiolò fuori e chiuse la porta alle sue spalle.

L’uscio smorzò la voce sommessa del commento: salgono e spariscono… osservate attentamente… salgono e spariscono…

Crawford stava avanzando pesantemente nel corridoio.

Vide Vickers là fuori, che lo aspettava, e si fermò. Nei suoi occhi apparve immediatamente una luce di allarme.

«Che cosa vuole?» domandò. «Perché è qui fuori?»

«Voglio rivolgerle una domanda,» disse Vickers. «Quando eravamo là dentro, lei non mi ha risposto. Forse mi risponderà adesso. Perché ha fatto girare la trottola, quella notte?»

Crawford scrollò il capo.

«Non capisco, Vickers. Non ha senso, ma una volta anch’io sono entrato in quella terra incantata. Proprio come lei, quand’era bambino. L’ho ricordato dopo avere parlato con lei. Forse proprio perché avevo parlato con lei. Ho ricordato che una volta mi ero seduto sul pavimento, a guardare la trottola che girava, e mi chiedevo dove andavano a finire le strisce… che salgono e spariscono, salgono e spariscono, e poi un’altra sale e sparisce, e così via. Mi chiedevo dove finivano, e me lo chiedevo con tanta intensità, ero così interessato, che devo averle seguite, perché all’improvviso mi sono trovato in una terra incantata, e c’erano tanti fiori; e ho colto un fiore, e quando sono tornato indietro avevo ancora il fiore, e così ho capito che ero stato davvero nella terra incantata. Vede, era inverno e non c’erano fiori, e quando ho mostrato il fiore a mia madre…»

«Basta così,» l’interruppe Vickers. C’era un’euforia improvvisa, un’attonita esultanza, nella sua voce. «Mi basta. Non dica altro.»

Crawford lo fissò.

«Non mi crede? Dopotutto, è capitato anche a lei. Non so… forse è questo uno dei motivi che mi hanno indotto a risparmiarla, Vickers. Questo strano ricordo che mi ha fatto ritornare alla mente… forse per questo ho dato l’ordine di usare i gas, e di non ucciderla, e…»

«Non c’è bisogno che lei mi spieghi altro,» disse Vickers. «Le credo.»

«Che cosa le succede, Vickers?»

«Niente,» fece Vickers. «Niente, niente.»

Non era Ann Carter, dunque!

Lui e Flanders e Crawford… erano loro i tre che avevano preso vita dal corpo di Jay Vickers!

E Ann?

Ann aveva in sé la vita di quella ragazza che aveva passeggiato nella valle insieme a lui… la ragazza che lui ricordava come Kathleen Preston, ma che aveva avuto un altro nome. Perché Ann ricordava la valle, ricordava di avere passeggiato nella valle, in primavera, con qualcuno al suo fianco.

Poteva esserci qualcosa di più di Ann. Potevano esserci tre Ann come c’erano tre lui, ma neppure questo importava. Forse il vero nome di Ann era proprio Ann Carter, come il suo era veramente Jay Vickers. Forse significava che, quando le vite sarebbero tornate nei corpi veri, a sopravvivere sarebbero state la sua coscienza e la coscienza di Ann.

E adesso era giusto che lui amasse Ann. Perché lei era un’altra persona, non una parte di lui.

Ann, la sua Ann, era tornata in questa Terra per fare una telefonata e attirare Crawford fuori della sala, in modo che non riconoscesse il pericolo rappresentato dalla trottola che girava sullo schermo, e adesso era ritornata sull’altro mondo e la minaccia era svanita.

«Tutto a posto,» disse Vickers. «Va tutto magnificamente.»

Presto sarebbe ritornato anche lui, e Ann sarebbe stata ad attenderlo. E sarebbero stati felici, come aveva detto lei, seduta su un’altura di Manhattan, ad attendere i robot, mentre la luna spuntava all’orizzonte.

«Bene, allora,» disse Crawford. «Rientriamo.»

Vickers tese un braccio per fermarlo.

«È inutile rientrare.»

«Inutile?»

«I suoi direttori non ci sono più,» disse Vickers. «Sono sulla seconda Terra. Quella che, ricorderà, i Finzionisti predicavano agli angoli di tutte le vie della città.»

Crawford lo fissò, sgomento:

«La trottola!»

«Infatti.»

Perché lui non avrebbe potuto rivelare altrimenti a quegli uomini che essi erano mutanti. Se l’avesse detto, Crawford l’avrebbe negato, o gliel’avrebbe impedito. Ma ora lo sapevano. E se non lo sapevano ancora, presto l’avrebbero saputo.

«Ricominceremo daccapo,» disse Crawford. «Con un altro consiglio direttivo, con altri uomini, con altri mezzi…»

«Non ne avrà il tempo,» disse Vickers. «La Terra è finita. Questa Terra non ha più avvenire. Tutti i suoi abitanti fuggono via. E neppure quelli che resteranno vorrano ascoltarla, Crawford. Nessuno di loro si batterà per lei.»

«L’ammazzerò, Vickers,» disse Crawford. «L’ammazzerò con le mie mani.»

«No, invece. Lei non lo farà.»

Si guardarono negli occhi, in un silenzio teso.

«No,» disse Crawford. «No, credo che non lo farò. Dovrei ammazzarla, ma non posso. Perché non posso ucciderla, Vickers?»

Vickers sfiorò il braccio dell’altro.

«Andiamo, amico,» disse sottovoce. «O dovrei dire fratello?»

FINE