— Brasenose è sotto quarantena — disse. — L'accesso è vietato.
— Apra immediatamente — ribatté Dunworthy.
— Temo di non poterlo fare, signore — insistette il portiere. — Il Signor Gilchrist ha dato ordine che a Brasenose non venga ammesso nessuno fino a quando non sarà stata scoperta la fonte del virus.
— La conosciamo già — replicò Dunworthy. — Apra la porta.
Il portiere riabbassò la serranda e un minuto più tardi venne fuori dal suo gabbiotto, avvicinandosi alle porte.
— Sono state le decorazioni natalizie? — chiese. — C'è chi dice che gli ornamenti fossero infetti.
— No — tagliò corto Dunworthy. — Apra la porta e mi lasci entrare.
— Non so se dovrei farlo, signore — temporeggiò il portiere, che appariva a disagio. — Il signor Gilchrist…
— Il Signor Gilchrist non è più a capo di Brasenose — lo interruppe Dunworthy, sfilandosi di tasca il foglio piegato e protendendolo verso il portiere attraverso le sbarre della cancellata.
Questi lo aprì e lo lesse, restando fermo lì sotto la pioggia.
— Il Signor Gilchrist non è più Sostituto Preside e il Signor Basingame mi ha autorizzato ad assumere il controllo della transizione. Apra la porta — incalzò Dunworthy.
— Il Signor Basingame — ripeté il portiere, scrutando la firma già resa indistinta dalla pioggia. — Vado a prendere le chiavi.
Tornò quindi nel gabbiotto portando il foglio con sé e Dunworthy si raggomitolò contro il cancello, tremando e cercando di ripararsi dalla pioggia gelida.
Si era preoccupato che Kivrin potesse essere costretta a dormire sul terreno gelato e lei era nel bel mezzo di un olocausto, fra gente che moriva congelata perché non c'era più nessuno che tagliasse la legna e animali che morivano nei campi perché nessuno li riportava al coperto. Ottantamila morti a Siena, trecentomila a Roma, oltre centomila a Firenze. Mezza Europa.
Infine il portiere emerse con un grosso mazzo di chiavi e si avvicinò alle porte.
— Aprirò in un momento, signore — garantì, cercando la chiave giusta.
Di certo Kivrin era tornata al punto di recupero non appena si era accorta di essere nel 1348 e doveva essere rimasta lì per tutto quel tempo, aspettando che la rete si aprisse, frenetica per il fatto che non l'avevano ancora recuperata.
Sempre se si era resa conto dell'anno in cui era, considerato che non aveva modo di sapere di essere nel 1348. Badri le aveva detto che lo slittamento sarebbe stato di parecchi giorni, quindi lei doveva aver controllato la data con quella delle festività dell'Avvento ed essersi convinta di essere dove si supponeva che fosse. Di certo non le era passato per la mente di domandare che anno era, quindi doveva essere convinta di trovarsi nel 1320, mentre la peste stava strisciando verso di lei.
La serratura del cancello si aprì e Dunworthy lo spinse quanto bastava per passare.
— Porti le chiavi con sé — disse. — Ho bisogno che apra il laboratorio.
— Quella chiave non è fra queste — replicò il portiere, e scomparve di nuovo nel casotto.
Il gelo era intenso sotto il passaggio delle porte e la pioggia vi penetrava di traverso, ancora più fredda. Dunworthy si strinse contro il muro vicino alla porta del gabbiotto nel tentativo di intercettare parte del calore dell'interno e piantò con forza le mani contro il fondo delle tasche dei pantaloni per smettere di tremare.
Si era preoccupato dei ladri e dei tagliagole e per tutto quel tempo lei si era trovata nel 1348, quando la gente aveva ammucchiato i morti per strada e sulla spinta del panico aveva bruciato sul rogo ebrei e stranieri.
Si era preoccupato che Gilchrist non avesse effettuato i controlli dei parametri, si era preoccupato a tal punto che la sua ansia aveva contagiato Badri e lui, già febbricitante, aveva reinserito le coordinate. Così preoccupato.
All'improvviso si rese conto che il portiere era assente da troppo tempo, segno che stava avvertendo Gilchrist, e accennò a muoversi verso la porta del casotto, ma in quel momento il portiere ne venne fuori munito di ombrello. Lanciando un'esclamazione a proposito del freddo, l'uomo offrì riparo a Dunworthy sotto il proprio ombrello.
— Sono già fradicio — replicò questi, e si avviò a grandi passi attraverso il cortile.
La porta del laboratorio era coperta da uno striscione di plastica gialla che lui strappò via mentre il portiere cominciava a cercare la chiave della porta.
— Ancora non sono convinto che dovrei aprire la porta del laboratorio senza l'autorizzazione del Signor Gilchrist — disse.
— Signor Dunworthy! — gridò Colin dal centro del cortile, e mentre i due uomini sollevavano lo sguardo li raggiunse di corsa, fradicio fino all'osso e con il libro sotto il braccio, avvolto nella sciarpa. — Non… ha… colpito… parti dell'Oxfordshire… fino a… marzo — ansimò, fermandosi fra una parola e l'altra per riprendere fiato. — Scusi. Ho… corso… per tutta… la strada.
— Quali parti? — chiese Dunworthy.
Colin gli consegnò il libro e si chinò in avanti con le mani puntellate sulle ginocchia, traendo respiri profondi e rumorosi.
— Non… lo… dice.
Dunworthy svolse la sciarpa e aprì il libro alla pagina che Colin aveva piegato, ma i suoi occhiali erano troppo schizzati di pioggia perché potesse leggere e inoltre le pagine aperte si inzupparono immediatamente.
— Dice che la peste è cominciata a Melcombe e si è spostata a nord fino a Bath e poi ad est — sintetizzò Colin. — Dice che è arrivata ad Oxford a Natale e a Londra l'ottobre successivo, ma che in parti dell'Oxfordshire non è arrivata che nella tarda primavera e che alcuni villaggi sono stati risparmiati fino a luglio.
— Il che non ci rivela nulla — commentò Dunworthy, fissando le pagine illeggibili.
— Lo so — ammise Colin, raddrizzandosi anche se aveva ancora il respiro affannoso, — ma almeno non c'è scritto che la peste si è diffusa in tutto l'Oxfordshire entro Natale. Forse lei è in uno di quei villaggi dove non è arrivata fino a luglio.
Dunworthy asciugò le pagine umide con la sciarpa penzolante e chiuse il libro.
— Da Bath la peste si è postata verso est — mormorò in tono sommesso. — Skendgate è appena a sud rispetto alla strada fra Oxford e Bath.
Intanto il portiere aveva finalmente scelto una chiave e la spinse nella serratura.
— Ho chiamato di nuovo Andrews, ma non ho avuto risposta.
Il portiere aprì il battente.
— Come farà a far funzionare la rete senza un tecnico? — chiese Colin.
— Far funzionare la rete? — domandò il portiere, con la chiave ancora in mano. — Avevo capito che lei voleva ottenere dei dati dal computer, Il Signor Gilchrist non le permetterà di mettere in funzione la rete senza autorizzazione.
E tirò fuori la supposta autorizzazione di Basingame, esaminandola ancora.
— Autorizzo io la cosa — ribatté Dunworthy, oltrepassandolo ed entrando nel laboratorio.
L'uomo accennò a seguirlo, si impigliò con l'ombrello nell'intelaiatura della porta e annaspò sull'impugnatura in cerca della chiusura automatica.
Colin si abbassò per schivare l'ombrello e seguì Dunworthy.
Gilchrist doveva aver disattivato il riscaldamento perché il laboratorio era appena più caldo dell'esterno, ma gli occhiali bagnati di Dunworthy si velarono lo stesso subito di vapore e lui fu costretto a toglierli e a cercare di pulirli contro la giacca fradicia.
— Prenda — offrì Colin, offrendogli un rotolo di carta morbida. — È carta igienica, la sto raccogliendo per il Signor Finch. Il problema è che sarà già abbastanza difficile trovare la ragazza se arriviamo nel punto giusto, e lei ha detto che ottenere lo stesso tempo e luogo è spaventosamente complicato.
— Abbiamo già tempo e luogo esatti — spiegò Dunworthy, asciugando gli occhiali con la carta. Quando li rimise erano ancora appannati.
— Adesso temo di dovervi chiedere di andare via — intervenne il portiere. — Non vi posso permettere di entrare qui senza che il Signor Gilchrist…