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Dunworthy aprì gli occhi e protese la mano verso gli occhiali, senza però riuscire a trovarli.

— «Io riverserò su di te terrore, consunzione e febbri brucianti»

Era la Signora Gaddson che, seduta su una sedia accanto al letto, stava leggendo la Bibbia. La donna non aveva indosso né la maschera né il set IPS, anche se la Bibbia era ancora avvolta nel politene, e Dunworthy la fissò socchiudendo gli occhi.

— «E quando sarete raccolti all'interno delle vostre città io manderò la pestilenza fra di voi»

— Che giorno è? — chiese Dunworthy.

La donna fece una pausa, lo scrutò con una strana espressione e riprese a leggere placidamente.

— «E sarete consegnati nelle mani del nemico»

Dunworthy rifletté che non si poteva trovare lì da molto tempo. La Signora Gaddson era intenta a leggere a beneficio dei pazienti quando lui era andato a trovare Badri, quindi forse si trattava dello stesso pomeriggio e Mary non era ancora venuta a buttare fuori la Gaddson.

— Può inghiottire? — domandò un'infermiera, l'anziana veterana dell'Approvvigionamento. — Ho chiesto se può inghiottire, perché devo darle una pillola termometrica.

Diligentemente, Dunworthy aprì la bocca e la donna gli posò la capsula sulla lingua, poi gli inclinò la testa in avanti in modo che potesse bere, il tutto accompagnato dagli scricchiolii della sua uniforme.

— È andata giù? — domandò la donna, permettendogli di inclinarsi un po' all'indietro.

La capsula si era incastrata lungo la gola ma lui annuì lo stesso e lo sforzo gli fece dolere la testa.

— Che ore sono? — domandò, cercando di non sputare la capsula con un colpo di tosse.

— È ora che riposi — replicò l'infermiera, sbirciando con occhi miopi gli schermi sopra la sua testa.

— Che giorno è? — insistette Dunworthy, ma lei era già uscita, e quando si volse per chiederlo alla Signora Gaddson scoprì che se ne era andata a sua volta.

Non poteva essere lì da molto, visto che aveva ancora emicrania e febbre, che erano i sintomi iniziali dell'influenza. Forse si era ammalato da poche ore appena, forse era ancora lo stesso pomeriggio e lui si era svegliato quando lo avevano trasferito in quella stanza, prima che avessero avuto il tempo di collegare il pulsante di chiamata o di controllargli la temperatura.

— È ora di misurare la temperatura — annunciò l'infermiera, questa volta la bionda graziosa che gli aveva fatto tante domande sul conto di William Gaddson.

— Me l'hanno già misurata.

— Questo è stato ieri — replicò la ragazza. — Avanti, inghiotta la capsula.

Lo studente del primo anno nella camera di Badri gli aveva detto che quell'infermiera aveva contratto il virus.

— Credevo che fosse ammalata — le disse.

— Infatti, ma sto di nuovo bene, e presto si rimetterà anche lei — dichiarò l'infermiera, passandogli una mano dietro la testa e sollevandolo in modo che potesse bere un sorso d'acqua.

— Che giorno è oggi? — domandò Dunworthy.

— L'undici — replicò la ragazza, — anche se io stessa ci ho messo un po' a rendermene conto. Verso la fine le cose si sono fatte un po' affannose, perché quasi tutto il personale era malato e chi era in piedi faceva turni doppi, e così ho perso un po' la cognizione del tempo — spiegò, mentre inseriva dei dati e fissava gli schermi con espressione accigliata.

Dunworthy ne era però stato consapevole prima che lei glielo dicesse, prima ancora che cercasse di allungare la mano verso il campanello per chiedere aiuto. La febbre aveva trasformato in un unico pomeriggio piovoso le notti di delirio e le mattine di intontimento che non riusciva a ricordare, ma il suo corpo aveva mantenuto una chiara nozione dello scorrere del tempo, scandendo le ore e i giorni, quindi lui lo aveva saputo prima che la ragazza glielo dicesse: aveva saltato la data del recupero.

Non c'è nessun recupero da fare, ricordò amaramente a se stesso. Gilchrist ha chiuso la rete.

Se anche lui fosse stato presente, se non si fosse ammalato, non avrebbe comunque potuto fare nulla perché la rete era disattivata.

L'undici di gennaio. Per quanto tempo Kivrin aveva atteso nel luogo del recupero? Un giorno? Due? Tre, prima di cominciare a supporre di aver sbagliato la data, o magari il posto? Aveva atteso per tutta la notte sulla strada fra Oxford e Bath, raggomitolata nel suo inutile mantello bianco e timorosa di accendere il fuoco perché la luce avrebbe potuto attirare i lupi o i ladri? O contadini in fuga dalla peste? E quand'era stato che si era finalmente resa conto che nessuno sarebbe venuto a prenderla?

— Le posso portare qualcosa? — domandò l'infermiera, premendo una siringa nella cannula della flebo.

— Quello serve per farmi dormire? — controbatté Dunworthy.

— Sì.

— Bene — sospirò lui, e chiuse gli occhi con gratitudine.

Quando si svegliò non avrebbe saputo dire se aveva dormito per pochi minuti, oppure per un giorno o un mese, perché la luce, la pioggia e l'assenza di ombre erano identiche. Colin era seduto sulla sedia accanto al letto, intento a leggere il libro che lui gli aveva regalato per Natale e a succhiare qualcosa.

Non può essere passato troppo tempo, si disse Dunworthy, fissandolo con occhi socchiusi, la gomma da masticare è ancora con noi.

— Oh, bene — esclamò Colin, chiudendo il volume con un tonfo. — Quell'orribile infermiera ha detto che potevo restare soltanto se promettevo di non svegliarla, e non l'ho fatto, vero? Le dirà che si è svegliato da solo, d'accordo?

Il ragazzo tirò fuori la gomma da masticare, l'esaminò e se la ficcò in tasca.

— Lei l'ha vista? — continuò. — Deve essere nata nel medioevo. È necrotica quasi quanto la Signora Gaddson.

Dunworthy lo scrutò socchiudendo gli occhi miopi. La giacca nella cui tasca lui aveva infilato la gomma da masticare era nuova, di colore verde, e la sciarpa grigia che il ragazzo aveva al collo appariva ancora più tetra per il contrasto… e Colin sembrava più vecchio, come se fosse maturato mentre lui dormiva.

— Sono io, Colin — insistette il ragazzo, accigliandosi. — Non mi riconosce?

— Sì, certo che ti riconosco. Perché non hai indosso la maschera?

— Non mi serve — replicò il ragazzo, con un sorriso, — e comunque lei non è più contagioso. Vuole i suoi occhiali?

Dunworthy annuì con cautela, per evitare che la testa ricominciasse a dolergli.

— Quando si è svegliato le altre volte non mi ha riconosciuto affatto — spiegò il ragazzo, frugando nel cassetto del comodino e porgendo a Dunworthy gli occhiali. — Stava davvero male, tanto che ho pensato che avrebbe tirato le cuoia. Continuava a chiamarmi Kivrin.

— Che giorno è? — domandò Dunworthy.

— Il dodici — rispose Colin, con impazienza. — Me lo ha già chiesto stamattina. Non lo ricorda?

— No — replicò Dunworthy, mettendosi gli occhiali.

— Non ricorda niente di quello che è successo? — domandò Colin.

Ricordo di essere venuto meno a Kivrin, pensò Dunworthy. Ricordo di averla lasciata nel 1348.

— L'infermiera mi aveva avvertito che non lo avrebbe ricordato a causa della febbre — dichiarò Colin, accostando maggiormente la sedia e posando il libro sul letto. Dal suo tono, però, sembrava che fosse leggermente irritato con Dunworthy, come se fosse stata colpa sua. — Non voleva che venissi a trovarla e non mi ha permesso di dirle niente. Credo che questo sia assolutamente ingiusto. Ti costringono a startene seduto in una stanza d'attesa e continuano a ripeterti di andare a casa, che non c'è niente che puoi fare qui, e quando chiedi informazioni ti rispondono che il dottore verrà fra un momento e non ti dicono niente. Ti trattano come un bambino… voglio dire, ci sono cose che prima o poi devi venire a sapere. Sa cos'ha fatto l'infermiera, questa mattina? Mi ha buttato fuori. 'Il Signor Dunworthy è stato molto malato,' ha detto, 'e non voglio che gli causi agitazione.' Come se potessi fare una cosa del genere!