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— Lei pensa che Kivrin sia morta, vero? — aveva chiesto il ragazzo, dopo che Montoya se n'era andata. — Ne è convinto come la Signora Montoya.

— Temo di sì.

— Ma ha detto che lei non può contrarre la peste. E se non fosse morta? Se fosse proprio ora al punto di recupero ad aspettarla?

— È stata contagiata dall'influenza, Colin.

— Ma lo è stato anche lei, e non è morto. Forse neppure lei è morta. Penso che dovrebbe andare a parlare con Badri e vedere se lui ha qualche idea. Magari si potrebbe riattivare la macchina, o qualcosa del genere.

— Non capisci — aveva ribattuto Dunworthy. — Non è come una torcia elettrica, non la si può accendere e spegnere a piacimento senza perdere i dati.

— D'accordo, ma forse Badri potrebbe rifare tutto daccapo e ottenere nuove coordinate che portino in quello stesso tempo.

Nello stesso tempo. Ci volevano giorni per organizzare una transizione, anche conoscendo già le coordinate, e Badri non le aveva. Non aveva che la data e poteva «fabbricare» un nuovo set di coordinate basandosi unicamente su di essa soltanto se le coordinate locazionali erano rimaste le stesse, se la febbre non lo aveva indotto ad alterare anche quelle e se i paradossi avessero permesso una seconda transizione.

Era impossibile spiegare tutto questo a Colin, non c'era modo di spiegargli che era impensabile che Kivrin fosse sopravvissuta all'influenza in un secolo in cui la cura standard erano i salassi.

— Non funzionerà, Colin — aveva detto, sentendosi improvvisamente troppo stanco per spiegare qualsiasi cosa. — Mi dispiace.

— Allora ha intenzione di lasciarla là? Che sia morta o meno? Non vuole neppure chiedere a Badri?

— Colin…

— La prozia Mary ha fatto tutto il possibile per lei. Non si è arresa!

— Cosa sta succedendo qui? — aveva chiesto l'infermiera, entrando accompagnata dallo scricchiolare della sua uniforme. — Se continui ad agitare il paziente dovrò chiederti di andartene.

— Me ne stavo andando comunque — aveva ribattuto Colin, lasciando a precipizio la stanza.

E non era più tornato né quel pomeriggio, né la sera e neppure il mattino successivo.

— Non mi è permesso di ricevere visite? — chiese Dunworthy all'infermiera amica di William, quando lei prese servizio.

— Certo che le è permesso — replicò lei, esaminando gli schermi. — C'è qualcuno che sta aspettando di vederla.

Era la Signora Gaddson, e aveva già la Bibbia aperta.

— Luca, Capitolo 23, versetto 33 — dichiarò, scoccandogli un'occhiata rovente, — dal momento che è tanto interessato alla Crocifissione. «E quando giunsero in quel luogo chiamato Calvario, là lo crocifissero.»

Se Dio avesse saputo dove si trovava Suo Figlio non avrebbe mai permesso che gli facessero una cosa del genere, pensò Dunworthy. Lo avrebbe recuperato, sarebbe venuto e lo avrebbe salvato.

Durante la Morte Nera, la gente dell'epoca si era convinta che Dio l'avesse abbandonata. «Perché distogli il tuo volto da noi?» aveva scritto. «Perché ignori le nostre grida?» Ma forse Lui non le aveva sentite, forse era stato privo di conoscenza perché giaceva malato in cielo, Lui stesso impotente e incapace di intervenire.

— «E fino alla nona ora ci fu un'oscurità su tutta la terra» — lesse ancora la Signora Gaddson, — «e il sole fu oscurato…»

La gente del quattordicesimo secolo aveva creduto che quella fosse la fine del mondo, che l'Armageddon fosse giunto e che Satana avesse infine trionfato. Ed ha trionfato, pensò Dunworthy. Ha disattivato la rete e perso i dati.

Ripensò quindi a Gilchrist e si domandò se prima di morire si fosse reso conto di ciò che aveva fatto, o se avesse giaciuto in stato d'incoscienza, ignaro di aver assassinato Kivrin.

— «E Gesù li condusse fino a Betania» — stava leggendo la Signora Gaddson, — «e sollevò le mani e li benedisse. E accadde che mentre li stava benedicendo venne separato da loro e portato in cielo»

Venne separato da loro e portato in cielo, pensò Dunworthy. Dio era venuto a prenderlo, ma troppo tardi. Troppo tardi.

La Signora Gaddson continuò la lettura fino a quando l'infermiera bionda tornò nella stanza.

— Ora di dormire — annunciò in tono deciso, facendo uscire la Signora Gaddson, poi si avvicinò al letto, sottrasse il cuscino da sotto la testa di Dunworthy e gli assestò alcune manate decise.

— Colin è venuto? — domandò lui.

— Non lo vedo da ieri — replicò la ragazza, rimettendogli il cuscino sotto la testa. — Adesso voglio che cerchi di riposare.

— La Signora Montoya è stata qui?

— Anche lei non si vede da ieri — rispose la ragazza, porgendogli una pastiglia e un bicchiere di carta.

— Ci sono stati messaggi?

— Niente messaggi.

Niente messaggi. Kivrin aveva detto a Montoya che avrebbe cercato di farsi seppellire nel cortile della chiesa, ma durante la peste erano rimasti a corto di spazio nei cortili delle chiese e avevano seppellito i morti in trincee improvvisate e nei fossi, li avevano addirittura gettati nel fiume, e verso la fine non li avevano seppelliti affatto, limitandosi ad ammucchiare i corpi e ad appiccarvi il fuoco.

Montoya non sarebbe mai riuscita a trovare il registratore, e se anche lo avesse recuperato, quali messaggi potevano esservi registrati? Qualcosa come:

— Sono andata al sito ma la rete non si è aperta. Cosa è successo? — E la voce di Kivrin che saliva di tono per il panico e gridava con rimprovero: — Eloi, eloi, perché mi hai abbandonata?

L'infermiera amica di William gli permise di sedere su una sedia per mangiare il pranzo, e mentre stava finendo le prugne cotte arrivò Finch.

— Abbiamo quasi esaurito la frutta in scatola — commentò, indicando il vassoio di Dunworthy, — e la carta igienica. Non ho idea di come ci si aspetta che possiamo cominciare il trimestre — si lamentò, sedendosi sul letto. — L'università ne ha fissato l'inizio per il venticinque, ma è semplicemente impossibile essere pronti per allora. Abbiamo ancora quindici pazienti nell'ala Salvin, l'immunizzazione di massa non è quasi cominciata e non sono convinto che non ci saranno altri casi.

— Cosa mi dice di Colin? — domandò Dunworthy. — Sta bene?

— Sì, signore. È apparso un po' malinconico dopo il decesso della Dottoressa Ahrens ma il suo umore è decisamente migliorato da quando lei ha cominciato a riprendersi.

— Voglio ringraziarla per averlo aiutato — disse Dunworthy. — Colin mi ha informato che è stato lei a occuparsi del funerale.

— Oh, sono stato lieto di poterlo aiutare, signore… vede, il ragazzo non aveva nessuno. Ero certo che sua madre sarebbe venuta adesso che il pericolo era passato ma lei ha detto che era troppo difficile organizzare ogni cosa con un preavviso tanto breve e ha mandato degli splendidi fiori… gigli e gladioli. Abbiamo tenuto il servizio funebre nella cappella di Balliol — aggiunse, poi cambiò posizione sul letto e continuò: — Oh, a proposito della cappella, spero che non le dispiaccia se abbiamo dato al prete della Santa Chiesa Riformata il permesso di usarla per un concerto di campane a mano il giorno quindici. I suonatori americani devono eseguire «Quando Infine Viene il Mio Salvatore» di Rimbauld, ma la chiesa del culto riformista è stata requisita dall'SSN come centro d'immunizzazione. Spero di aver agito bene.

— Sì — rispose distrattamente Dunworthy, che stava pensando a Mary, chiedendosi quando avevano tenuto il funerale e se dopo avessero suonato la campana.

— Se vuole posso dire che lei preferisce che venga usata la chiesa di St. Mary — insistette Finch, in tono ansioso.

— No, certo che no — replicò Dunworthy. — La nostra cappella andrà benissimo. È evidente che ha svolto un ottimo lavoro in mia assenza.