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— Dov'è Padre Roche? — gli gridò, ma il castaldo non rispose e non sollevò lo sguardo. La mucca venne a fermarsi accanto a Kivrin e si mise a muggire piano.

— Vattene — disse lei, e si mise a correre verso il castaldo.

Si accorse allora che la tomba non era nel cortile ma sulla piazza, oltre il cancello, e che accanto ad essa ce n'erano in fila altre due, con la terra indurita ammucchiata sulla neve accanto a ciascuna di esse.

— Cosa stai facendo? — domandò. — Per chi sono queste tombe?

Il castaldo gettò una badilata di terra sul mucchio più vicino e le zolle indurite dal gelo emisero un suono simile all'acciottolio dei sassi.

— Perché hai scavato tre tombe? — insistette Kivrin. — Chi è morto? La mucca le pungolò una spalla con il corno e lei si contorse per allontanarsi dall'animale.

— Chi è morto? — ripeté.

Il castaldo piantò la pala nel terreno e vi premette sopra un piede, gravandovi con tutto il suo peso.

— Sono gli ultimi giorni, ragazzo — replicò, e Kivrin si rese conto che non l'aveva riconosciuta a causa dei suoi abiti maschili.

— Sono io, Katherine — disse.

— È la fine del tempo — annuì l'uomo, sollevando lo sguardo. — Coloro che ancora non sono morti moriranno.

E riprese a scavare.

La mucca cercò di infilare la testa sotto il braccio di Kivrin.

— Vattene! — ripeté lei, colpendola sul muso; l'animale si ritrasse aggirando le tombe, e Kivrin si accorse che non erano tutte delle stesse dimensioni.

La prima era grande, mentre la seconda non era molto più lunga di quella in cui giaceva Agnes e la terza era di dimensioni appena maggiori.

— Non hai il diritto di fare questo — inveì. — Tuo figlio e Rosemund stanno migliorando e Lady Eliwys è soltanto stanca e provata dal dolore. Non moriranno.

Il castaldo sollevò su di lei lo stesso sguardo inespressivo che aveva avuto quando aveva sostato presso la barricata squadrando Rosemund per prendere le misure per la sua tomba.

— Padre Roche dice che sei stata mandata per aiutarci, ma di che utilità può essere una persona di fronte alla fine del mondo? — ribatté, tornando a gravare sulla pala. — Ti serviranno tutte queste tombe, perché moriremo tutti.

La mucca trottò sul lato opposto della fossa, portando il muso all'altezza della testa del castaldo e muggendogli in faccia, ma lui non parve notarlo.

— Non devi scavare altre fosse — insistette Kivrin. — Lo proibisco.

Lui continuò a lavorare come se non avesse parlato.

— Non moriranno — disse ancora Kivrin. — La Morte Nera ha ucciso soltanto da un terzo alla metà della popolazione e noi abbiamo già raggiunto la nostra quota.

Il castaldo continuò a scavare.

Eliwys morì durante la notte e fu necessario allungare per lei la fossa di Rosemund. Quando la seppellirono, Kivrin vide che il castaldo aveva già cominciato una nuova fossa per la ragazza.

Li devo portare via di qui, si disse ancora una volta, guardandolo. L'uomo aveva assistito al rito funebre con la pala appoggiata alla spalla, e non appena aveva finito di riempire la fossa di Eliwys si era messo a lavorare di nuovo a quella di Rosemund. Devo portarli via prima che prendano il contagio.

Perché lo avrebbero preso. Esso giaceva in agguato annidato nei bacilli presenti nei loro vestiti, nelle coltri, nell'aria stessa che respiravano. E se anche per qualche miracolo non l'avessero contratto in quel modo, a primavera la peste si sarebbe sparsa per tutto l'Oxfordshire, portata da messaggeri, contadini e inviati vescovili. Non potevano restare qui.

Dobbiamo andare in Scozia, pensò, mentre si avviava verso il maniero. Li potrei portare nella Scozia settentrionale, dato che la peste non è arrivata così lontano. Il figlio del castaldo potrebbe cavalcare l'asino e potremmo costruire una lettiga per Rosemund.

Trovò la ragazza seduta sul pagliericcio.

— Il figlio del castaldo ti stava chiamando — disse, non appena lei entrò.

Il ragazzo aveva vomitato muco insanguinato: il suo pagliericcio ne era intriso e quando infine Kivrin lo ebbe pulito lui era troppo debole perfino per sollevare la testa.

Anche se Rosemund potesse cavalcare, lui non ne sarà mai in grado, pensò Kivrin, disperata. Non andremo da nessuna parte.

Durante la notte si ricordò del carro che era apparso con lei nel sito della transizione: forse il castaldo avrebbe potuto aiutarla a ripararlo e Rosemund avrebbe viaggiato su di esso. Accesa una torcia ai carboni ardenti del fuoco, sgusciò nella stalla per dare un'occhiata al veicolo. L'asino di Padre Roche ragliò quando aprì la porta e intorno si sentì un frusciare che si sparpagliava in tutte le direzioni non appena sollevò la torcia fumosa.

Le casse fracassate erano ammucchiate contro il carro come una barricata, e una volta che le ebbe spostate lei si accorse che la sua idea non avrebbe mai funzionato perché il veicolo era troppo pesante per poter essere tirato dall'asino e perché l'assale di legno era sparito, portato via da qualche anima intraprendente per riparare una staccionata o per usarlo come legna da ardere o magari come feticcio per tenere a bada la peste.

Quando uscì il cortile era immerso nel buio più totale e le stelle erano nitide e scintillanti come lo erano state alla vigilia di Natale. Ripensò ad Agnes addormentata contro la sua spalla, alla campanella legata al suo piccolo polso e al suono delle campane che scandivano i rintocchi del diavolo. Prematuramente, pensò. Il diavolo non è ancora morto, è in giro per il mondo.

Rimase sveglia a lungo cercando di elaborare un altro piano, forse avrebbero potuto fabbricare una sorta di lettiga che l'asino fosse in grado di trascinare se la neve non era troppo profonda, oppure avrebbero potuto caricare i due bambini sull'animale e portare i bagagli in fagotti sulla schiena.

Alla fine si addormentò solo per essere risvegliata quasi immediatamente… o almeno così le parve. Era ancora buio, e Roche era chino su di lei, con la luce del fuoco morente che gli rischiarava il viso dal basso come aveva fatto nella radura quando lo aveva creduto un tagliagole; ancora in parte addormentata, Kivrin si protese a posargli con gentilezza una mano su una guancia.

— Lady Katherine — chiamò il prete, e Kivrin si svegliò del tutto.

Si tratta di Rosemund, pensò, girandosi a guardarla, ma la ragazza stava dormendo tranquilla con la mano sotto la guancia.

— Cosa c'è? — domandò. — Stai male?

Lui scosse il capo, poi aprì la bocca ma la richiuse senza dire nulla.

— È arrivato qualcuno? — insistette Kivrin, alzandosi in piedi.

Di nuovo Roche scosse il capo.

Non è possibile che qualcuno si sia ammalato, perché non resta più nessuno, rifletté lei, poi guardò verso il mucchio di coperte vicino alla porta su cui dormiva il castaldo e si accorse che lui non c'era.

— Il castaldo è malato? — insistette.

— Suo figlio è morto — replicò il prete, con uno strano tono di voce stordito, e lei si accorse che anche Lefric era scomparso. — Sono andato in chiesa per il mattutino… — continuò Roche, ma la voce gli venne meno. — Devi venire con me — concluse, e uscì a grandi passi.

Kivrin afferrò la propria lacera coperta e si affrettò a seguirlo nel cortile.

Non potevano essere più delle sei del mattino. Il sole si era appena alzato sull'orizzonte e chiazzava di rosa il cielo nuvoloso e la neve. Più avanti Roche stava già scomparendo lungo lo stretto passaggio che portava alla piazza e Kivrin gli corse dietro dopo essersi gettata la coperta sulle spalle.

La mucca del castaldo era ferma nel passaggio, con la testa infilata in una breccia nella staccionata e intenta a brucare la paglia; quando la vide sollevò la testa e muggì.

— Via! — esclamò lei, battendo le mani per spaventarla, ma la bestia si limitò a ritrarre la testa dalla staccionata e ad avanzare verso di lei continuando a muggire.