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— Il villaggio non era così lontano, ne sono certo — affermò Colin, sfregandosi le braccia. — Stiamo camminando da ore.

Non si poteva parlare di ore, ma era di certo passata almeno un'ora e non avevano incontrato neppure la capanna di un contadino, e tanto meno un villaggio. Eppure lì intorno c'era una ventina di villaggi… ma dove?

— Vede — continuò Colin, tirando fuori il localizzatore. — Ci siamo spinti troppo a sud. Credo che dovremmo tornare indietro e prendere l'altra strada.

Dunworthy guardò il localizzatore e poi la mappa. Erano quasi direttamente a sud rispetto al sito e a tre chilometri da esso. Avrebbero dovuto tornare sui loro passi per quasi tutta quella distanza senza nessuna speranza di trovare Kivrin durante il tragitto, e lui non era certo di riuscire a procedere oltre perché si sentiva già sfinito, la morsa intorno al petto si serrava ad ogni passo e cominciava ad avvertire un dolore acuto a metà del costato. Si girò a guardare in direzione della curva, più avanti, cercando di decidere sul da farsi.

— Mi stanno gelando i piedi — protestò Colin, battendo per terra le appendici in questione, e subito un uccello si levò in volo, spaventato.

Dunworthy sollevò lo sguardo verso il cielo, accigliandosi nel vedere che si stava coprendo di nubi.

— Avremmo dovuto seguire la siepe — cominciò Colin. — Sarebbe stato molto…

— Zitto — ordinò Dunworthy.

— Cosa c'è? — sussurrò il ragazzo. — Sta arrivando qualcuno?

— Shh — sibilò Dunworthy, facendo indietreggiare Colin fino al limitare della strada e ascoltando ancora.

Gli era parso di sentire un cavallo, ma ora non udiva più nulla… forse si era trattato di un uccello.

— Resta qui — ingiunse a Colin, segnalandogli di mettersi dietro un albero, poi avanzò con cautela fino a poter vedere oltre la curva.

Lo stallone nero era legato a un cespuglio di rovi. Dunworthy si ritrasse in fretta al riparo di un abete e rimase immobile, cercando di vedere il cavaliere, ma sulla strada non c'era nessuno. Attese, sforzandosi di calmare il proprio respiro in modo da sentire meglio, ma non arrivò nessuno e non udì altro che il rumore prodotto dal muoversi degli zoccoli dello stallone.

L'animale era sellato e aveva la briglia decorata in argento, ma appariva smagrito, con le costole che spiccavano nitide sotto il sottopancia, che si era allentato al punto che la sella scivolò un poco da un lato quando l'animale si mosse all'indietro. Lo stallone agitò la testa e tirò con forza contro le redini, cercando di liberarsi… e nell'avvicinarsi maggiormente Dunworthy si accorse che non era legato ma si era impigliato nei rovi.

Non appena emerse sulla strada l'animale girò la testa verso di lui e si mise a nitrire.

— Su, su, è tutto a posto — lo calmò Dunworthy, accostandosi con cautela lungo il suo fianco sinistro e posandogli una mano sul collo; subito l'animale cessò di nitrire e lo urtò con il muso, all'evidente ricerca di cibo.

Dunworthy si guardò intorno nella speranza di trovare un po' d'erba che sporgesse dalla neve, ma quella zona era tutta di cespugli spinosi e quasi priva di altra vegetazione.

— Da quanto tempo sei intrappolato qui, vecchio mio? — commentò, domandandosi se il proprietario dello stallone fosse stato colpito dalla peste mentre cavalcava o se fosse morto di colpo, inducendo l'animale in preda al panico a darsi alla fuga e a correre fino a quando le sue redini si erano impigliate in quel cespuglio.

Si addentrò un poco nel bosco alla ricerca di eventuali impronte, ma non ce n'erano. Intanto lo stallone si rimise a nitrire e lui tornò indietro per liberarlo, raccogliendo lungo la strada i pochi steli d'erba che sbucavano fra la neve.

— Un cavallo! Apocalittico! — esclamò Colin, sopraggiungendo di corsa. — Dove lo ha trovato?

— Ti avevo detto di restare dov'eri.

— Lo so, ma ho sentito il cavallo che nitriva e ho pensato che lei fosse nei guai.

— Una ragione in più per obbedirmi — sottolineò Dunworthy, porgendogli l'erba. — Dagliela da mangiare.

Si chinò quindi sul cespuglio e cercò di districare le redini. Nei suoi sforzi per liberarsi lo stallone le aveva avvolte intorno ai rami spinosi e Dunworthy dovette tenerli indietro con una mano mentre protendeva l'altra per districarle, con il risultato che si ritrovò coperto di graffi entro pochi secondi.

— Di chi è questo cavallo? — domandò Colin, offrendo all'animale un po' d'erba da una distanza di un paio di metri. Lo stallone si gettò in avanti per prenderla e Colin si ritrasse di scatto, lasciandola cadere. — È certo che sia domestico?

Dunworthy aveva rischiato di riportare una lesione letale quando lo stallone aveva mosso bruscamente la testa per prendere l'erba, ma era riuscito a liberare la redine impigliata; avvolgendosela intorno alla mano sanguinante si chinò a prendere l'altra.

— Sì — rispose.

— Di chi è? — insistette Colin, accarezzando timidamente il muso della bestia.

— Nostro — replicò Dunworthy, stringendo la cinghia del sottopancia; Ignorando le proteste di Colin, issò quindi il ragazzo in groppa dietro la sella e montò a sua volta.

Lo stallone non si era ancora reso conto di essere libero e girò la testa con aria accusatoria quando lui gli assestò un colpetto gentile ai fianchi, ma subito dopo si avviò al trotto lungo la strada coperta di neve, deliziato della propria libertà.

Colin si aggrappò freneticamente a Dunworthy, stringendolo intorno al petto proprio nel punto in cui era annidato il dolore, ma dopo un centinaio di metri si sedette più eretto e cominciò a chiedere come si facesse a guidare l'animale e a farlo andare più in fretta.

Impiegarono pochissimo tempo a tornare alla strada principale. Una volta lì Colin avrebbe voluto che raggiungessero la siepe e tagliassero attraverso i campi, ma Dunworthy diresse lo stallone dall'altra parte. Dopo mezzo chilometro la strada si biforcò e lui prese la diramazione di sinistra.

Quella strada mostrava molti più segni di passaggio della precedente, anche se i boschi circostanti erano ancora più fitti. Adesso il cielo era del tutto coperto e il vento stava aumentando d'intensità.

— Lo vedo! — esclamò Colin, abbandonando la presa per un momento per indicare un punto oltre una macchia di frassini, dove era possibile intravedere un tetto di pietra grigia che spiccava sullo sfondo del cielo… forse una chiesa, o magari una stalla. La costruzione si trovava verso est e quasi subito dopo averla avvistata trovarono un sentiero che si diramava dalla strada e oltrepassava un traballante ponte di legno gettato su un ruscello per poi attraversare uno stretto prato.

Lo stallone non rizzò gli orecchi né tentò di accelerare il passo, e da questo Dunworthy dedusse che non doveva provenire da quel villaggio… il che era un bene, altrimenti avrebbero potuto essere impiccati per furto prima ancora di avere il tempo di chiedere dove fosse Kivrin. Poi vide le pecore.

Gli animali giacevano sul fianco, simili a mucchi di lana sporca, anche se alcune si erano raggomitolate vicino agli alberi nel tentativo di tenersi al riparo dal vento.

— Cosa faremo quando arriveremo? — domandò Colin, che non si era accorto di nulla. — Entreremo di soppiatto oppure ci presenteremo apertamente per chiedere a qualcuno se l'ha vista?

Non ci sarà nessuno a cui chiedere, pensò Dunworthy, spingendo lo stallone al trotto; oltrepassata la macchia di frassini, arrivarono al villaggio.

Esso non era per nulla come nelle illustrazioni del libro di Colin, con gli edifici disposti in cerchio intorno ad uno spiazzo centrale; invece, le case erano sparpagliate fra gli alberi, quasi nascoste una all'altra. Poteva intravedere i tetti coperti di paglia e più lontano, in un altro boschetto di frassini, la chiesa, ma in quella radura piccola quanto quella del sito c'erano soltanto una casa di legno e una bassa baracca.