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L'edificio era troppo piccolo per poter essere un maniero… forse era l'abitazione del castaldo o dell'intendente. La porta di legno della baracca era aperta e la neve si era accumulata sulla soglia; dal tetto non usciva traccia di fumo e non si sentivano rumori di sorta.

— Forse sono fuggiti — suggerì Colin. — Molte persone sono fuggite quando hanno sentito che stava arrivando la peste. È stato così che si è diffuso il contagio.

Forse gli abitanti erano davvero fuggiti. La neve davanti alla casa era pressata e dura, come se molte persone e molti cavalli avessero sostato nel cortile.

— Resta qui con il cavallo — ordinò Dunworthy, ed entrò in casa. Anche quella porta non era chiusa, sebbene fosse stata accostata quasi del tutto, e lui dovette chinarsi per oltrepassare la bassa soglia.

L'interno era gelido e così buio dopo il chiarore abbagliante della neve che per un po' non riuscì a vedere altro che una chiazza rossa davanti agli occhi. Spalancò la porta, ma la luce continuò ad essere scarsa e tutto pareva sfumato di rosso.

Quella doveva essere la casa del castaldo, perché c'erano due stanze, divise da una partizione di legno, e il pavimento era coperto da stuoie. Il tavolo era nudo e il focolare doveva essere spento da giorni, come testimoniava l'odore di cenere fredda che pervadeva l'ambiente. Il castaldo e la sua famiglia erano fuggiti, e forse anche il resto degli abitanti, portando senza dubbio con loro la peste. E anche Kivrin.

Si appoggiò contro lo stipite della porta, mentre la morsa al petto tornava di colpo a causargli dolore: si era preoccupato di molte cose riguardo a Kivrin, ma non aveva mai pensato a questo… al fatto che poteva essere andata via.

Andò a guardare nell'altra stanza, e in quel momento Colin si affacciò alla soglia.

— Il cavallo continua a cercare di bere da un secchio che c'è là fuori. Devo permetterglielo? — chiese.

— Sì — rispose Dunworthy, mettendosi in modo che il ragazzo non potesse vedere oltre la partizione. — Però non permettergli di bere troppo, perché è rimasto senz'acqua per giorni.

— In ogni caso nel secchio non ce n'è molta — ribatté Colin, guardandosi intorno nella stanza con espressione interessata. — Questa è una delle capanne dei servi, giusto? Non erano poi così poveri, vero? Ha trovato qualcosa?

— No — replicò Dunworthy. — Torna fuori e sorveglia il cavallo. E non gli permettere di allontanarsi.

Colin uscì, sfiorando con la testa l'architrave della porta.

Il neonato giaceva su un sacco di lana in un angolo, e a quanto pareva era stato ancora vivo quando sua madre era morta, perché la donna era stesa sul pavimento con le braccia protese verso di esso. Entrambi erano scuri, quasi neri, e i pannolini del piccolo erano rigidi per il sangue secco.

— Signor Dunworthy! — chiamò Colin, in tono allarmato, e Dunworthy si voltò di scatto, timoroso che il ragazzo fosse entrato di nuovo… lui però era ancora fermo accanto allo stallone, che aveva il muso immerso nel secchio.

— Cosa c'è? — domandò.

— C'è qualcosa laggiù, per terra — spiegò Colin, indicando verso le altre capanne. — Credo che sia un corpo.

E assestò alle redini uno strattone così deciso che il secchio si rovesciò e la poca acqua residua andò a formare una pozzanghera sulla neve.

— Aspetta — cominciò Dunworthy, ma il ragazzo stava già correndo verso gli alberi, seguito dallo stallone.

— È un c… — iniziò, troncando bruscamente la frase a mezzo, e Dunworthy si mise a correre per raggiungerlo, serrandosi un braccio intorno al fianco dolorante.

Si trattava di un corpo, quello di un uomo giovane che giaceva disteso a faccia in giù nella neve in mezzo ad una pozzanghera congelata di liquido nero, con il volto coperto da una spolverata di neve… i suoi bubboni dovevano essere scoppiati. Dunworthy si girò verso Colin, ma il ragazzo non stava guardando il cadavere bensì la radura al di là di esso.

Era più grande di quella davanti alla casa del castaldo, lungo i suoi contorni sorgevano una mezza dozzina di capanne e all'estemità opposta c'era una chiesa in stile normanno. E nel centro, sulla neve calpestata, c'erano i cadaveri.

Non era stato fatto nessun tentativo di seppellirli, anche se vicino alla chiesa c'era una fossa poco profonda accanto alla quale si vedeva un mucchio di terra coperta di neve. Pareva che alcuni di quei corpi fossero stati trascinati fino al cortile della chiesa, perché si vedevano sulla neve lunghe strisce simili ai segni lasciati da una slitta… e almeno uno aveva strisciato fino alla porta della propria capanna e giaceva ora metà dentro e metà fuori della soglia.

— Temete Dio — mormorò Dunworthy, — perché l'ora del Suo giudizio è giunta.

— Sembra che qui ci sia stata una battaglia — commentò Colin.

— C'è stata — ribatté Dunworthy.

— Pensa che siano tutti morti? — domandò il ragazzo, avvicinandosi per sbirciare uno dei corpi.

— Non li toccare — ingiunse Dunworthy. — Non ti accostare neppure.

— Ho fatto le iniezioni di gammaglobuline — protestò il ragazzo, ma indietreggiò dal cadavere, deglutendo a fatica.

— Trai respiri profondi — consigliò Dunworthy, posandogli una mano sulla spalla, — e guarda da un'altra parte.

— Nel libro c'era scritto che era stato così — commentò il ragazzo, fissando con determinazione una quercia. — A dire il vero, temevo che fosse molto peggio… voglio dire, non c'è puzza o cose del genere.

— Sì.

— Adesso sto bene — annunciò Colin, deglutendo ancora e guardandosi intorno nella radura. — Dove pensa che possa essere Kivrin?

Non qui, pregò Dunworthy, dentro di sé.

— Potrebbe essere nella chiesa — suggerì, incamminandosi di nuovo insieme allo stallone, — e comunque dobbiamo vedere se c'è la tomba. Questo potrebbe non essere il villaggio giusto.

Il cavallo avanzò di un paio di passi, poi alzò la testa e appiattì gli orecchi all'indietro, emettendo un nitrito spaventato.

— Va' a portarlo nella baracca — ordinò Dunworthy, tenendo saldamente le redini. — Sente l'odore del sangue ed è spaventato. Legalo.

Mentre parlava allontanò lo stallone dal cadavere e porse le redini a Colin, che le prese con aria preocucpata.

— Va tutto bene — disse al cavallo, dirigendosi verso la casa del castaldo. — So esattamente come ti senti.

Dunworthy si incamminò con passo rapido attraverso la radura e verso il cortile della chiesa. C'erano quattro corpi in fosse poco profonde e accanto ad esse ce n'erano altre due già coperte e ammantate di neve… i primi che erano morti, quando ancora esistevano cose come i funerali, si disse nell'aggirare le tombe per arrivare davanti alla chiesa.

Sulla soglia c'erano altri due corpi, che giacevano uno sull'altro in posizione prona. Quello in cima era il cadavere di un vecchio, mentre quello sottostante apparteneva ad una donna… poteva vedere i lembi del suo rozzo mantello e una delle sue mani. Le braccia del vecchio erano protese sulla testa e sulle spalle della donna.

Dunworthy sollevò con cautela un braccio dell'uomo e il suo corpo scivolò leggermente di lato, tirando con sé il mantello. L'abito sottostante era sporco e chiazzato di sangue, ma si vedeva ancora che era stato di un azzurro acceso. Tirando indietro il cappuccio del mantello, Dunworthy scoprì che c'era una corda intorno al collo della donna, i cui lunghi capelli biondi erano impigliati nelle rozze fibre intrecciate.

L'hanno impiccata, pensò, senza avvertire la minima sorpresa.

— Ho scoperto cosa sono questi segni sul terreno — annunciò Colin, arrivando di corsa. — Hanno trascinato i corpi fin qui. Dietro il granaio c'è un ragazzo con una corda intorno al collo.

Dunworthy fissò la corda e il groviglio dei capelli, così sporchi che non erano quasi più biondi.

— Hai messo lo stallone nella baracca?

— Sì. L'ho legato ad una trave, perché mi voleva venire dietro.