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— Torneremo al sito — tagliò corto Dunworthy, alzandosi con cautela per non toccare la parete.

— Perché? Badri ha detto che avevamo a disposizione almeno un giorno e abbiamo controllato un solo villaggio. Ci sono un mucchio di villaggi qui intorno, e lei potrebbe essere in uno qualsiasi di essi.

Dunworthy slegò lo stallone.

— Potrei prendere il cavallo e andare a cercarla — suggerì Colin. — Potrei cavalcare in fretta e controllare tutti i villaggi per poi tornare ad avvertirla non appena l'avessi trovata, oppure potremmo suddividere i villaggi e controllarne metà per uno, stabilendo che chi dei due la trova faccia un segnale di qualche tipo… per esempio accendere un fuoco o qualcosa del genere, in modo che l'altro lo veda e lo raggiunga.

— È morta, Colin. Non la troveremo.

— Non lo dica! — esclamò Colin, con voce che suonò acuta e infantile. — Lei non è morta! Ha avuto la vaccinazione.

— Quello è il cofanetto che ha portato con sé — spiegò Dunworthy, indicando l'oggetto.

— E allora? — ritorse Colin. — Ci possono essere un sacco di cofanetti come quello, oppure è possibile che lei sia fuggita quando è giunta la peste. Non possiamo tornare indietro e lasciarla qui! Che farei se fossi io ad essermi perso e continuassi ad aspettare che qualcuno mi venisse a prendere senza che arrivasse nessuno?

Il naso stava cominciando a colargli.

— Colin — affermò Dunworthy, sentendosi impotente. — Certe volte si fa tutto il possibile e tuttavia non si riesce a salvare una persona.

— Come con la prozia Mary — precisò il ragazzo, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. — Ma non è sempre così.

Invece lo è, pensò Dunworthy.

— No, non sempre — convenne ad alta voce.

— A volte è possibile salvare una persona — insistette il ragazzo, cocciutamente.

— D'accordo — si arrese Dunworthy, tornando a legare lo stallone. — Andremo a cercarla, ma prima dammi altre due aspirine e lasciami riposare un poco in attesa che facciano effetto. Poi andremo a cercarla.

— Apocalittico! — esclamò Colin, afferrando il secchio e sottraendolo allo stallone che aveva ricominciato a bere. — Vado a prendere altra acqua.

Uscì di corsa e Dunworthy si riadagiò a sedere contro la parete.

— Per favore — mormorò. — Per favore, permettici di trovarla.

La porta si aprì lentamente e Colin apparve sulla soglia, delineato contro la luce dell'esterno.

— La sente? — chiese. — Ascolti.

Era un suono debole, soffocato dalle pareti della capanna, e c'erano lunghe pause fra i rintocchi… ma lui li sentì lo stesso con chiarezza. Si alzò e uscì fuori.

— Vengono da quella direzione — disse Colin, indicando verso sudovest.

— Prendi lo stallone — ordinò Dunworthy.

— È certo che sia Kivrin? Quella è la direzione sbagliata.

— È Kivrin.

35

La campana smise di suonare prima ancora che avessero finito di sellare lo stallone.

— Presto! — esclamò Dunworthy, stringendo la cinghia del sottopancia.

— Non si preoccupi — lo rassicurò Colin, studiando la mappa. — Ha suonato per tre volte, e sono riuscito a determinare la provenienza dei rintocchi. Erano dritti a sudovest, giusto? E questo è Henefelde, giusto? — spiegò, tenendo la mappa davanti a Dunworthy e indicando di volta in volta ciascun punto. — Allora si deve trattare di questo villaggio.

Dunworthy lanciò un'occhiata alla mappa e poi guardò ancora verso sudovest, cercando di tenere chiara nella mente la direzione da cui era giunto il suono della campana. Già cominciava a non essere più certo di quale fosse, anche se poteva avvertire ancora il pulsare del suono. Desiderò che le aspirine si decidessero a fare effetto.

— Avanti, venga — lo incitò Colin, conducendo lo stallone vicino alla porta della baracca. — Salti su e andiamo.

Dunworthy infilò un piede nella staffa e passò l'altra gamba sulla sella… e fu subito assalito dalle vertigini.

— È meglio che guidi io — decise Colin, dopo averlo scrutato con espressione riflessiva, poi montò in sella davanti a lui.

I calci che diede ai fianchi dello stallone erano troppo fiacchi e lo strattone alle redini troppo brusco, ma stupefacentemente l'animale si avviò con docilità attraverso la piazza e lungo il viottolo.

— Sappiamo dove si trova il villaggio — affermò Colin, con sicurezza. — Dobbiamo soltanto trovare una strada che porti in quella direzione.

La scoprirono quasi immediatamente: un sentiero piuttosto largo che scendeva un pendio e si addentrava in una macchia di pini; appena dentro il bosco, però, il sentiero si divise in due e Colin si girò a guardare Dunworthy con espressione interrogativa.

Lo stallone tuttavia non esitò e si avviò lungo il sentiero di destra.

— Guardi, sa dove sta andando! — esclamò Colin, in tono deliziato.

Sono lieto che uno di noi lo sappia, pensò Dunworthy, chiudendo gli occhi per non vedere il paesaggio sobbalzante e per soffocare il pulsare alla testa.

Adesso che era libero di fare di testa sua, lo stallone stava senza dubbio tornando a casa e Dunworthy sapeva che avrebbe dovuto dirlo a Colin, ma la malattia stava ricominciando ad aggredirlo e temeva che se avesse abbandonato la presa intorno alla vita del ragazzo anche per un solo momento la febbre avrebbe avuto la meglio su di lui. Aveva un freddo terribile, ma naturalmente era colpa della febbre, come anche le pulsazioni alla testa e le vertigini, e la febbre era un buon segno perché indicava che il corpo stava facendo appello a tutte le proprie risorse per combattere il virus. Il freddo era soltanto un effetto collaterale della febbre.

— Dannazione, fa sempre più freddo — commentò Colin, chiudendosi maggiormente la casacca con una mano. — Spero che non si metta a nevicare.

Lasciò andare del tutto le redini per tirarsi la sciarpa sulla bocca e sul naso, ma lo stallone non se ne accorse neppure e continuò ad addentrarsi sempre più nel bosco con passo deciso. Arrivarono a un altro bivio e poi ad un altro ancora, e ogni volta Colin consultò il localizzatore e la mappa, ma Dunworthy non avrebbe saputo dire se la direzione da lui scelta era quella giusta o soltanto quella in cui il cavallo era determinato ad andare.

Cominciò a nevicare, oppure arrivarono in un'area in cui stava nevicando. All'improvviso la neve prese a cadere tutt'intorno, piccoli fiocchi costanti che oscuravano il sentiero e si fondevano sugli occhiali di Dunworthy.

Le aspirine iniziarono ad avere effetto e lui sedette più eretto sulla sella, serrandosi maggiormente il mantello intorno al corpo e usandone un angolo per asciugarsi gli occhiali. Aveva le mani rosse e intorpidite e le fregò fra loro per scaldarle, soffiandovi sopra. Erano ancora nel bosco e il sentiero era più stretto di quando erano partiti.

— Secondo la mappa Skendgate si trova ad appena cinque chilometri da Henefelde — affermò Colin, pulendo il localizzatore dalla neve, — e noi ne abbiamo percorsi almeno quattro, quindi dovremmo essere quasi arrivati.

Non erano quasi arrivati da nessuna parte, erano nel cuore della Foresta di Wychwood su un sentiero tracciato dalle mucche o dai daini, un viottolo che sarebbe finito alla capanna di un contadino o in un deposito di sale o a ridosso di un cespuglio di bacche che il cavallo ricordava con piacere.

— Ecco, glielo avevo detto — annunciò Colin.

Oltre gli alberi affiorò la sommità di una torre campanaria e lo stallone si mise a trottare.

— Fermo — ordinò Colin, tirando le redini. — Aspetta un momento.

Dunworthy prese le redini e costrinse l'animale riluttante a mettersi al passo mentre uscivano dal bosco e oltrepassavano un prato innevato per arrivare in cima ad una collina.

Il villaggio si allargava sotto di loro, oltre una macchia di frassini, oscurato dalla neve in maniera tale che ne potevano vedere soltanto i grigi contorni: il maniero, le capanne, la chiesa, la torre campanaria. Non era il villaggio giusto… Skendgate non aveva una torre campanaria… ma se anche se ne era accorto Colin non disse nulla. Assestò qualche vano calcio allo stallone, poi si avviarono lentamente giù per la collina, con Dunworthy che teneva ancora le redini.