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Si fermarono, e Colin e Kivrin smontarono di sella. Colin si tolse la sciarpa e la porse a Kivrin, che si sollevò la casacca macchiata di sangue per legarsela intorno alle costole. Dunworthy comprese che il dolore doveva essere ancora peggiore di quanto avesse pensato e che avrebbe almeno dovuto tentare di darle una mano, ma aveva paura che se fosse sceso dall'asino non sarebbe riuscito a rimontare.

Kivrin e Colin risalirono in sella, il ragazzo aiutato da lei, e si rimisero in cammino, rallentando ad ogni svolta e sentiero laterale per controllare la direzione, Colin scrutando lo schermo del localizzatore e indicando mentre Kivrin annuiva in segno di conferma.

— Qui è dove sono caduta dall'asino — spiegò, quando si fermarono a un bivio. — Quella prima notte stavo così male che ho creduto che lui fosse un tagliagole.

Arrivarono a un altro bivio. Aveva smesso di nevicare ma le nubi sovrastanti gli alberi erano fitte e pesanti, tanto che Colin doveva dirigere la luce della torcia sul localizzatore per poterne leggere i dati. Il ragazzo indicò il sentiero di destra, poi rimontò in sella dietro Kivrin e riprese a raccontarle le sue avventure.

— Il Signor Dunworthy ha detto: 'Avete perso i dati.' Poi è crollato addosso al Signor Gilchrist e tutti e due sono finiti per terra — narrò. — Il Signor Gilchrist si è comportato come se lui lo avesse fatto di proposito e non mi ha neppure aiutato a coprirlo. Stava tremando maledettamente e aveva la febbre, e anche se io continuavo a chiamarlo per nome non poteva sentirmi. E il Signor Gilchrist continuava a ripetere: 'La ritengo personalmente responsabile.'

Cominciò di nuovo a nevicare in maniera incerta e si alzò il vento. Dunworthy si aggrappò alla rigida criniera dell'asino, tremando violentemente.

— Non mi volevano dire niente. — stava raccontando Colin, — e quando ho cercato di entrare a vedere la prozia Mary mi hanno detto che ai bambini non era permesso l'ingresso.

Stavano cavalcando contro vento, con la neve che soffiava contro il mantello di Dunworthy ad ogni folata gelida. Lui si protese in avanti fino ad essere quasi appoggiato al collo dell'asino.

— Il dottore è uscito e si è messo a parlare sottovoce con l'infermiera, e io ho capito che era morta — stava dicendo Colin, e Dunworthy avvertì un'improvvisa fitta di dolore, come se stesse apprendendo la notizia per la prima volta. Oh, Mary.

— Non sapevo cosa fare, così sono rimasto seduto lì, e la Signora Gaddson, questa persona davvero necrotica, è venuta e ha cominciato a leggermi dei pezzi della Bibbia che dicevano che quella era la volontà di Dio. Odio la Signora Gaddson — dichiarò con violenza improvvisa. — È lei quella che meritava di prendere l'influenza.

Le loro voci cominciarono a risuonare con sopratoni che echeggiavano contro e intorno agli alberi, per cui lui non avrebbe dovuto essere in grado di capire quello che dicevano, ma stranamente le parole erano sempre più limpide e distinte nell'aria fredda, tanto che pensò dovesse essere possibile sentirle fino ad Oxford, a settecento anni di distanza.

Di colpo pensò che Mary non era morta, che qui, in questo terribile secolo che era peggio di un livello dieci, lei non era ancora morta, e gli parve che quella fosse una benedizione superiore a qualsiasi elargizione avesse il diritto di aspettarsi.

— Ed è stato allora che abbiamo sentito la campana — disse Colin. — Il Signor Dunworthy ha detto che eri tu che stavi chiedendo aiuto.

— Ero io — replicò Kivrin. — Così non va bene, finirà per cadere.

D'un tratto Dunworthy si rese conto che i due erano smontati di nuovo ed erano fermi accanto all'asino, che Kivrin stava tenendo per le briglie.

— La dobbiamo mettere sul cavallo — affermò Kivrin, afferrandolo per la vita, — altrimenti finirà per cadere dall'asino. Avanti, scenda, l'aiuterò io.

Dovettero aiutarlo tutti e due, Kivrin circondandogli la vita in un modo che lui comprese dovette farle dolere le costole e Colin reggendolo in piedi quasi di peso.

— Se soltanto potessi sedermi per un momento — disse Dunworthy, che stava battendo i denti.

— Non c'è tempo — rispose Colin, ma lo aiutarono a raggiungere il lato del sentiero e lo misero a sedere contro una roccia.

Kivrin infilò una mano sotto la propria casacca e tirò fuori tre aspirine.

— Avanti, prenda queste — disse, porgendogliele sul palmo aperto della mano.

— Quelle erano per te. Le tue costole…

Lei lo guardò con fermezza, senza sorridere.

— Io starò bene — ribatté, e andò a legare lo stallone ai cespugli.

— Vuole un po' d'acqua? — chiese Colin. — Potrei accendere il fuoco e fondere un po' di neve.

— Va bene così — affermò Dunworthy, mettendosi le aspirine in bocca e inghiottendole.

Kivrin stava regolando le staffe del cavallo, fissando le cinghie di cuoio con mano esperta, e dopo averle annodate tornò da Dunworthy per aiutarlo ad alzarsi.

— Pronto? — chiese, mettendogli la mano sotto il braccio.

— Sì — rispose lui, e cercò di alzarsi in piedi.

— Farlo sedere è stato un errore — sentenziò Colin. — Adesso non riusciremo più a rimetterlo a cavallo.

Invece ce la fecero, sistemandogli il piede nella staffa e le mani intorno al pomo e issandolo su, e alla fine Dunworthy fui perfino in grado di aiutarli un poco, offrendo una mano in modo che Colin potesse salire in sella davanti a lui.

Aveva smesso di tremare, ma non era certo se questo fosse un buon segno o meno, e quando si rimisero in marcia, con Kivrin che li precedeva sobbalzando sul mulo e Colin che stava già ricominciando a parlare, lui si appoggiò contro la schiena del ragazzo e chiuse gli occhi.

— Così ho deciso che quando finirò le scuole verrò ad Oxford per diventare uno storico come te — stava dicendo. — Però non voglio andare nel periodo della Morte Nera, ma in quello delle Crociate.

Dunworthy ascoltò con gli occhi chiusi, appoggiato al ragazzo. Si stava facendo buio, erano nel medioevo, nei boschi, due malati e un ragazzo, mentre Badri, un altro malato, stava cercando di tenere la rete aperta e poteva avere lui stesso un'altra ricaduta. Nonostante questo non riuscì a provare né panico né preoccupazione. Colin aveva il localizzatore e Kivrin sapeva dove si trovava il sito. Sarebbe andato tutto bene.

Anche se non fossero riusciti a trovare il sito e fossero rimasti intrappolati lì per sempre, anche se Kivrin non lo avesse perdonato, adesso sarebbe andato tutto bene. Kivrin li avrebbe condotti in Scozia, dove la peste non era mai arrivata, e Colin avrebbe tirato fuori ami da pesca e una padella per friggere dal suo sacco dei trucchi e avrebbero pescato trote e salmoni. Forse avrebbero perfino trovato Basingame.

— Ho guardato i combattimenti con la spada nei video e so come guidare un cavallo — aggiunse Colin, poi di colpo gridò: — Fermo!

Nel dare quel comando tirò con decisione le redini indietro e verso l'alto e lo stallone si arrestò con il naso contro la coda dell'asino, che si era bloccato di colpo. Adesso erano sulla sommità di una collinetta in fondo alla quale c'erano una pozzanghera ghiacciata e una fila di salici.

— Spronalo — disse Colin, ma Kivrin stava già smontando di sella.

— Non andrà oltre, lo ha già fatto in precedenza — replicò. — Lui mi ha visto apparire. Credevo che si trattasse di Gawyn, ma era Roche — aggiunse, togliendo la briglia all'asino che immediatamente si diede alla fuga lungo lo stretto sentiero, nella direzione da cui era venuto.

— Vuoi montare? — domandò Colin, scivolando giù di sella.

— Mi fa più male montare e smontare che camminare — rifiutò lei, scuotendo il capo.

Il suo sguardo era fisso sulla collina successiva, coperta solo per metà di alberi e con la cima candida di neve. Doveva aver smesso di nevicare, anche se Dunworthy non se ne era reso conto, e adesso le nubi si stavano aprendo, rivelando un cielo di un pallido color lavanda.

— Credeva che fossi Santa Caterina — spiegò Kivrin. — Mi ha vista apparire, come lei temeva potesse succedere, ma ha creduto che fossi stata mandata da Dio per aiutarli nella loro ora del bisogno.